Parla il saggista dell'ebraismo

Intervista a Stefano Levi Della Torre: “Antisemita chi è contro la strage a Gaza? Allora lo è chiunque ha una coscienza”

«Non si è mai vista una strumentalizzazione più autolesionista dell’abuso dell’accusa di antisemitismo. La barbarie per difendere la “civiltà occidentale”? Il terrorismo sistematico e su larga scala per combattere il terrorismo? Il razzismo per combattere il razzismo? La crisi della logica mette in luce una crisi di civiltà, etica, cultura, non solo di politica»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

10 Giugno 2025 alle 10:00

Condividi l'articolo

Intervista a Stefano Levi Della Torre: “Antisemita chi è contro la strage a Gaza? Allora lo è chiunque ha una coscienza”

Stefano Levi Della Torre, saggista, critico d’arte, è tra le figure più autorevoli, sul piano culturale e per il coraggio delle sue posizioni, dell’ebraismo italiano.

“Gaza è diventata peggio dell’inferno in Terra”. A denunciarlo è la Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Eppure, in Italia c’è chi ha accusato i promotori della manifestazione nazionale di sabato scorso a Roma, di essere filo-Hamas e di alimentare l’antisemitismo.
È una logica elementare di guerra. Se sei a favore di uno vuol dire che sei contro l’altro. Ma se sei per Israele, con quale Israele ti schieri, visto che il paese è spaccato? Se sei solidale coi palestinesi, sei forse con Hamas che li ha portati alla rovina? Hamas e il governo di ultradestra di Israele sono entrambi nostri nemici, perpetratori entrambi di crimini contro l’umanità. L’accusa che la solidarietà con i palestinesi massacrati sia un appoggio a Hamas è nella logica dei nazionalismi che noi combattiamo. I nazionalismi vogliono annientarsi l’un l’altro. La logica della manifestazione di Roma è al contrario l’affermazione del riconoscimento di due popoli che esistono e che vogliono vivere e sono destinati a convivere. Se l’essere contro una guerra di strage indiscriminata, di costrizione alla morte per fame e per sete, se l’essere contro la riduzione di scuole, di ospedali, di intere città sistematicamente bombardate a un deserto di rovine fosse “antisemitismo”, allora sarebbero antisemite tutte le persone di normale coscienza umana.

E questo a cosa porta?
Non si è mai visto un’apologia più insensata dell’antisemitismo. Una strumentalizzazione più autolesionista dell’abuso dell’accusa di antisemitismo. Eppure, c’è chi regala all’antisemitismo inaspettate virtù pur di difendere i crimini contro l’umanità perché compiuti abusivamente in nome di Israele e in nome degli ebrei. L’antisemitismo è una tradizione secolare che si risveglia, ma chi pretende in nome degli ebrei, vittime per definizione, il privilegio di essere esenti da giudizi e da critiche fomenta l’antisemitismo perché ogni pretesa di privilegio finisce per suscitare ostilità. Anche se si vanta di combatterlo. La barbarie per difendere la “civiltà occidentale”? Il terrorismo sistematico e su larga scala per combattere il terrorismo? Il razzismo che non riconosce ai palestinesi la dignità di esseri umani e di popolo per combattere il razzismo? La crisi della logica mette in luce una crisi di civiltà, di etica e di cultura, non solo di politica. Recentemente, un comunicato dell’esercito israeliano ha dichiarato di aver ucciso (come ormai avviene ogni giorno) qualche decina di persone in cerca di cibo perché tra loro c’erano dei sospetti. Dei “sospetti”? Gravissimo il fatto, ma gravissimo anche che questa sia ritenuta una giustificazione. È il segno del crollo dei criteri più elementari. Colpire nel mucchio, chissà se becchiamo qualcuno: terrorismo stragista allo stato puro. Avverto sintomi che dicono che neppure i riflessi condizionati a favore di Israele non reggono più di fronte alla durata e all’aggravarsi dello sterminio, a questa catastrofe dei palestinesi e a questa catastrofe di Israele. Avverto inaspettati silenzi e reticenze anche nelle istituzioni ebraiche ufficiali dove prima c’era lo scatto nel definire “fake news fonte Hamas” i fatti accertati e la strage sistematica “difesa di Israele”. Persino il presidente della Comunità Ebraica di Milano, che è un seguace di La Russa e di Meloni e che aveva dichiarato sul Corriere che l’unico baluardo contro l’antisemitismo sta nei post-fascisti di Fratelli d’Italia, ora si riferisce a Renzi. Il quale a sua volta ha compiuto con Calenda una goffa separazione dalla manifestazione nazionale di Roma, ma poi si è dichiarato non ostile a questa.

Che manifestazione è stata quella di Roma?
Una manifestazione enorme, che ha visto la partecipazione di esponenti palestinesi e qualcuno ha persino annodato audacemente la bandiera palestinese con quella israeliana a significare una prospettiva comune dei due popoli. Ho trovato invece incapace di politica la posizione del movimento degli studenti palestinesi, in cui il risentimento (giustificato) per le inerzie e le ambiguità del passato ha impedito una relazione critica con un movimento complessivo che si va formando: hanno rifiutato la manifestazione di Roma perché serva dei padroni e in ritardo. In ritardo lo siamo tutti, anche chi si è mosso da sempre o sin da subito dopo il 7 ottobre 2023. In vista della mobilitazione di Roma è uscito anche sul “Riformista” un appello pro-Israele e anti -propal, che, nello stile fiammeggiante e lamentoso di Fiamma Nirenstein, tra cinismo e sentimentalismo, sorvola sulla catastrofe di Gaza e della Cisgiordania aggredita dai coloni, e ha raccolto alcune migliaia di firme; ma forse non tutti i firmatari hanno letto il testo altrimenti si sarebbero accorti del ridicolo e il ridicolo non si addice alla situazione.

Recentemente, la senatrice a vita Liliana Segre, ha avuto parole forti di condanna della politica portata avanti da Netanyahu. L’ha definita ripugnante.
Mi sembra che la senatrice Segre abbia sempre autorevolmente declinato la sua terribile esperienza in senso universalistico, traendo dalla memoria diretta della Shoah criteri e principi che valgono per tutti, compresi gli ebrei e Israele, non per delineare una giustificazione di qualunque azione si faccia a nome di Israele o degli ebrei. Ma certo non voglio sostituirmi a lei interpretandola. Credo succederà a molti di associare immagini del passato con quelle di Gaza. Mi perseguitano le foto del Ghetto di Varsavia del 1943, con i corpi per strada morti di fame coatta, molto prima dell’inizio del trasferimento al Campo di sterminio di Treblinka.

La politica, come il giornalismo, dovrebbe conoscere il valore delle parole. Il loro peso. Perché in Italia c’è chi insorge, s’indigna, scrive editoriali furibondi, quando si usa la parola genocidio per descrivere ciò che è in atto a Gaza?
Lucidamente, lo scrittore israeliano David Grossman ha dichiarato, dopo un lungo silenzio, che la criminale aggressione di Hamas non giunge più a coprire come spiegazione ciò che Israele sta facendo. Affermo, da parte mia, che l’estrema destra israeliana ha finito per trasformare quell’aggressione in un’occasione da cogliere per una guerra che punta a una soluzione finale della questione palestinese: con la distruzione delle strutture sociali ed economiche dei palestinesi, con la strage di massa, la deportazione, la pulizia etnica, con lo sradicamento definitivo della società palestinese dalla Palestina. Questi mi sembrano i fatti, per cui ha senso indagare se ad essi si attagli la fattispecie del genocidio, se ai fatti si associno le dichiarazioni razziste di esponenti di ultradestra del governo israeliano che confermano intenzioni di genocidio. Ma l’accusa di genocidio che coinvolga ebrei come perpetratori comporterebbe anche un’ambiguità specifica: quella di rappresentare il conflitto tra nazismo ed ebrei come un cortocircuito tra due gruppi criminali, a cui l’umanità possa assistere da spettatrice, non direttamente coinvolta, libera del peso e delle responsabilità che derivano da crimini contro l’umanità. Il poter accusare Israele di crimini affini a quelli nazisti aiuta a rilegittimare l’antisemitismo, compreso quello nazista. Questo non deve fare della parola “Genocidio” un tabù, ma almeno avvertire delle sue conseguenze specifiche. La parola genocidio vorrebbe anche dire che le vittime si fanno carnefici, ma qui non si tratta delle vittime della Shoah, ma del vittimismo del nazionalismo israeliano, coloro che buttano la memoria ebraica sul mercato della propaganda politica, per far passare l’idea che ogni oppressione che esercitano, ogni aggressione che compiono è sempre e per sempre un atto di legittima difesa. Ma il vittimismo aggressivo era la logica del fascismo e del nazismo, che si proclamavano vittime delle democrazie, del comunismo, e soprattutto di un “complotto ebraico” occulto e onnipotente.

Israele è ancora una democrazia? Haaretz ha definito quello di Benjamin Netanyahu un governo in cui “i ministri fanno a gara a chi è più fascista”. Fascista, non genericamente di destra.
Il fascismo si manifesta non solo per i suoi caratteri nazionalistici, autoritari, repressivi, clericali e razzistici, ma anche per il suo consenso di massa. Questo in Israele c’è come forte tendenza. La guerra la favorisce, ma fa crescere anche l’opposizione. Israele è un paese pluralistico, multietnico, multireligioso e insieme laico, e questo è un pregio, che però affatica la democrazia che si basa su una griglia di compromessi difficili e instabili. Il governo di destra intende trasformare la incompleta democrazia israeliana in una democratura subordinando il sistema giuridico all’esecutivo, e accentuando il carattere di etnocrazia a favore della maggioranza ebraica rispetto alle altre componenti altre. È una tendenza affine a quella di Trump negli States. Quasi la metà del paese si era mobilitata, prima del 7 ottobre 2023, contro questa prospettiva del governo. Alla fine della guerra ci sarà una resa dei conti. Io non so che paese ne verrà fuori, se sconvolto da una guerra civile tra le sue anime, quella clerico-fascistica dei coloni o quella democratica, o se risorgerà dalla catastrofe come democrazia che ha sconfitto il suo fascismo interno, comunque con gravi perdite.

10 Giugno 2025

Condividi l'articolo