L'assemblea di Bologna
Confindustria batte cassa col governo, Meloni fa asse con Metsola contro l’Europa ma senza dare risposte
Orsini e Meloni la pensano allo stesso modo e lo sanno. Ma quel che il presidente di Confindustria vuole e chiede la premier non sa come darglielo.
Economia - di David Romoli

Dal palco dell’assemblea di Confindustria, in trasferta per l’occasione da Roma a Bologna, il presidente dell’associazione degli industriali Orsini si rivolge direttamente alla presidente del consiglio italiana e a quella del Parlamento europeo, a Giorgia Meloni e Roberta Metsola, entrambe in sala. Al governo italiano e all’Europa. Alla destra dei Conservatori e a quella del Ppe. Non la manda a dire: “Stiamo affrontando enormi difficoltà”. Il tono nei confronti del governo è vellutato ma la critica sotto pelle è acuminata: “I successi delle imprese vengono spesso scambiati come effetto di grandi strategia di sviluppo che non ci sono state. Bisogna cambiare prospettiva. Anzi ribaltarla”.
Non parole ma soldoni. Il presidente degli industriali chiede al governo 8 mld di sostegno agli investimenti per tre anni, meglio se portati a cinque. L’obiettivo è preciso: 2% di crescita. Le coperture a Giorgetti le suggerisce direttamente lui: spostamento delle risorse del Pnrr non utilizzabili entro il termine di metà 2026, investimenti nella transizione digitale dello stesso tipo di quelli impiegati per la transizione ambientale, sostegno all’automotive, semplificazioni anche con l’accetta. La voce più dolorante è quella dell’energia: il sovraccosto energetico per l’Italia rispetto alla media dei Paesi europei è del 35%, ma con punte che arrivano all’80%. Il grido di dolore è lancinante: “Situazione insostenibile. Agire con urgenza”. Infine i dazi interni: penalizzano quanto e più di quelli minacciati dall’esoso Donald. Il Cahier des Doléances squadernato di fronte all’alta rappresentante delle istituzioni europee è altrettanto fitto. Svettano due voci: il Green Deal, bestia nera delle Confindustrie di tutta Europa, che va rifatto da capo a piedi con ben altra drasticità rispetto a quella con cui agisce la Commissione europea, intervento sul Patto di Stabilità, che “non può essere sforato solo per la Difesa” e dunque un Next Generation Eu anche per l’industria, per ovviare al rischio reale di una desolata de-industrializzazione.
Giorgia e Roberta, le amiche e alleate, rispondono duettando. “L’Europa deve offrire soluzioni, non diventare parte del problema. Dobbiamo abbattere le barriere, non alzare ostacoli”, s’infervora Metsola. Segue lungo panegirico del governo di Roma, con assicurazione finale: “L’Europa è al vostro fianco. Il Parlamento che presiedo è un vostro alleato”. La risposta della premier italiana arriva subito: “Se il Parlamento europeo è dalla nostra parte dipende dalle maggioranze che si formano. Ma tu, Roberta, sei sempre stata e sei dalla nostra parte e per questo ti ringrazio”. Meloni si concentra sui dazi interni: “È fondamentale, a maggior ragione in un quadro di instabilità dei mercati internazionali, che l’Europa abbia il coraggio di rimuovere quei dazi interni che si è autoimposta. Il costo medio per vendere un bene tra gli Stati della Ue equivale a una tariffa del 45%, che nei servizi arriva al 110%. Negli Usa il costo medio per il commercio interno è del 15%”. Sui costi dell’energia la premier sposa in pieno la richiesta di Orsini: “Sono perfettamente consapevole dell’impatto dei costi energetici su famiglie e imprese”. Sul rimedio però è molto più vaga: “ Stiamo lavorando a un’analisi del funzionamento del mercato italiano per comprendere se eventuali anomalie nella formazione del prezzo unico nazionale possano essere la causa di aumenti ingiustificati, perché sarebbe inaccettabile se ci fossero speculazioni sulla pelle di chi produce e crea occupazione”. E sulla richiesta di Orsini, che era il cuore e l’elemento concreto del suo intervento Giorgia, almeno per ora, non può che glissare.
La presenza della premier a Bologna, con codazzo di ministri in fitta schiera, da Tajani a Bernini a Pichetto Fratin, è un successo per quanto riguarda il rapporto con la presidente del Parlamento di Strasburgo. Dalla linea da adottare con Trump, evitare lo scontro però senza farsi fregare dall’astuto commerciante della Casa Bianca, all’immigrazione, la convergenza è piena. Non meno di quanto fosse nella precedente legislatura, quando Meloni, von der Leyen e Metsola avevano dato vita a una sorta di asse amical-politico. Qualcosa un po’ si è incrinato ma il Ppe continua ad avere tutto l’interesse nell’allearsi con la meno irragionevole tra i leader della destra europea ed è ricambiato in pieno dall’inquilina di palazzo Chigi. Meno brillante la convergenza con gli industriali. Orsini e Meloni la pensano allo stesso modo e lo sanno. Ma quel che il presidente di Confindustria vuole e chiede la premier non sa come darglielo.