L'assemblea a Bologna

Strategia cercasi: Confindustria fa i conti con la crisi

Non sarebbe meglio se Confindustria rompesse gli schemi e si occupasse anche dei salari?

Economia - di Piero Sansonetti

27 Maggio 2025 alle 10:18

Condividi l'articolo

Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Oggi si riunisce a Bologna l’assemblea della Confindustria. La Confindustria è una dei pilastri della vita del paese. Raccoglie circa 150 mila imprese. E queste imprese danno lavoro a circa 5 milioni e mezzo di lavoratori. Producono una fetta importante del Pil. Confindustria nella storia dell’Italia ha sempre avuto un grandissimo peso politico. È molto raro che un governo decida lo scontro frontale con Confindustria. I governi che hanno scelto questa via si sono rotti la testa.

L’assemblea di Confindustria è convocata con un titolo apparentemente burocratico e scontato. Ma non tanto. Questo: “Strategie, innovazione, competitività”. In realtà le tre parole sono abbastanza ripetitive, perché si immagina facilmente che nelle strategie rientri l’innovazione e che l’idea di Confindustria sia di usare l’innovazione per migliorare la competitività. Il problema è esattamente questo. In un momento nel quale la storia del capitalismo internazionale – e quindi dell’Occidente – sta subendo dei colpi forti e evidenti, è sufficiente che una grande organizzazione di imprenditori si limiti a discutere nell’orto della propria competitività? Non è forse vero che negli ultimi anni abbiamo visto che il capitalismo non è solo competitività, che ha bisogno dello Stato, che deve reinventare la globalizzazione, che non può più affidarsi al liberismo anni 80 e all’“invisibile mano del mercato” ma deve entrare e prendere posizione sui grandi problemi politici?

Se Confindustria resterà una semplice organizzazione corporativa ed economia non avrà un grande futuro. Quello che non è riuscito ad insegnarci Lenin ce l’hanno insegnato il Covid e Trump: il mercato è una struttura molto debole, capace di funzionare se tutto il resto funziona, ma certo non in grado di governare una crisi o una svolta nel mondo. È quasi sparito negli anni del Covid, rincantucciato in una grotta in attesa che il virus morisse. Ed è impazzito sotto i colpi della strategia politica imprevedibile e reazionaria di Donald Trump. Ma se il mercato non ce la fa, è inutile immaginare lo scenario di una globalizzazione capitalistica che per volere di Dio comanda sulla politica, condiziona la cultura, il sapere, il costo della democrazia. Quella globalizzazione non esiste più. Il capitalismo sta attraversando un periodo di crisi profonda perché vede messi in discussione molti dei suoi punti fermi e la sua ideologia. Una grande organizzazione come Confindustria non dovrebbe affrontare a questa altezza i problemi? E cosa vuol dire affrontarli a questa altezza? Uscire dall’idea che la competitività sia tutto. Porsi il problema della qualità della competitività.

Dico una cosa molto semplice. Non è detto che riuscire a produrre una merce riducendo il costo del lavoro sia la soluzione migliore per un insieme di aziende che vuole essere competitiva. Perché ridurre il costo del lavoro vuol dire aumentare le differenze sociali, aumentare la povertà, terremotare il mercato. Se la Confindustria si concepisce come una associazione di imprese ciascuna delle quali deve semplicemente migliorare i suoi interessi immediati, accetta un ruolo misero di corporazione che non aiuterà la comprensione e l’uscita dalla crisi. Se invece si concepisce come una società capace di guardare a quello che Rousseau chiamava “l’interesse generale”, può cambiare i termini della lotta politica.

Esemplificato ancora di più: un paese come l’Italia che distribuisce salari sempre più piccoli, (mentre negli altri paesi i salari aumentano), e che si bea dell’aumento dei profitti, e delle rendite, non ha futuro come paese. Se il paese non ha futuro, neanche Confindustria ha futuro. Non sarebbe meglio se Confindustria rompesse gli schemi e si occupasse anche dei salari? Come? Per esempio, sparigliando, se chiedesse il salario minimo garantito al quale accennava già Leone XIII nella “rerum novarum”?

27 Maggio 2025

Condividi l'articolo