Fiom, Fim e Uilm in piazza
Manifestazione a Roma, sciopero dell’automotive: “Settore a rischio”
Ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia, si diceva una volta. Falso. Ciò che restituisce dignità alla classe operaia salverà il nostro Paese
Cronaca - di Marco Grimaldi
Il 1980 è l’anno in cui sono nato. A Torino, una città operaia, una delle grandi capitali mondiali dell’auto. Il 1980 è anche l’anno della Marcia dei quarantamila. Per gli eredi del movimento operaio è una data sciagurata: quella che segna la frattura dell’unità fra i salariati del ceto medio, quadri e impiegati della Fiat, e gli operai.
Lo sciopero degli operai contro la cassa integrazione
Quegli operai erano in sciopero da trentacinque giorni contro la messa in cassa integrazione di 24.000 persone a zero ore senza garanzie di rientro. Contro il licenziamento di più di 14mila lavoratori. E ringrazio per l’onestà intellettuale Marco Bentivogli per quanto ha scritto sulle pagine de Il sole 24 ore: descrivere quel 14 ottobre come “una reazione civile a problemi di ordine pubblico innescati dal conflitto di fabbrica”, come ha fatto John Elkann sulle medesime pagine il giorno prima, è quantomeno ingeneroso. Da quel conflitto è scaturita ciò che giustamente Luciana Castellina ha chiamato “una grande agorà permanente”: il piazzale davanti a Mirafiori è stato per anni un avamposto della democrazia, uno spazio di confronto di masse che studenti e operai raggiungevano da tutta Italia come un luogo di interpretazione e attuazione della nostra Carta, con i consigli di fabbrica, gli aumenti uguali per tutti, le 150 ore, lo studio alternato al lavoro.
Il ruolo di mirafiori come avamposto della democrazia
Mirafiori e il movimento operaio torinese sono stati il simbolo di un’offensiva per il cambiamento del mondo. Ciò che è finito quel giorno del 1980 ha lasciato un vuoto civile, al contrario di quanto pensa Elkann. Ma d’altra parte non mi aspetto che i due poli di una dialettica appunto conflittuale leggano la storia nello stesso modo. Eppure, con un po’ di lungimiranza, anche un liberale può rendersi conto che avere inibito e ‘mostrificato’ quel conflitto spolpando la classe operaia ha portato a una vittoria davvero discutibile. Se vincere significa smettere di innovare e di investire, incassare denaro pubblico senza generare e redistribuire ricchezza e lavoro, spostare la produzione dove il costo del lavoro è più basso, distribuire dividendi lasciando annegare i salariati in un mare di cassa integrazione, direi che più che a una vittoria siamo davanti a un furto con scasso e a una ritirata con disonore.
La crisi di identità e la deindustrializzazione di torino
Per tutti questi anni ho continuato a vivere a Torino. Ho assistito, insieme a una città in un’irrisolta e persistente crisi di identità, a un doloroso processo di deindustrializzazione e alla lunga fuga della Fiat. Una fuga che, meglio tardi che mai, ora tutti vedono nei suoi drammatici effetti sociali. Un’agonia che dura da ben prima dell’arrivo dell’elettrico e degli effetti della crisi tedesca, nonostante la narrazione di Tavares. Ed è frutto di una strategia di disinvestimento nel nostro Paese cominciata molto tempo fa. Eppure, non mi rassegno. Non ci rassegniamo all’immagine della “Penisola dei famosi”, in cui si pensa di poter sopravvivere di Airbnb economy, evasione e lavoretti. Non si rassegna chi a febbraio nella marcia clima lavoro ha ripercorso il perimetro di Mirafiori.
La necessità di una transizione ecologica nell’industria automobilistica
Perché in Italia le auto si possono ancora progettare e produrre dentro la transizione ecologica. Perché Torino merita di essere cuore industriale italiano anche nell’era del motore elettrico. Perché il ritardo accumulato è tanto, da Stellantis e dal Governo, eppure ancora si può partire da lì per restituire dignità al lavoro e una speranza a tutta la collettività. “Vi sento arrabbiati”, ha detto con i detti stretti Tavares di fronte al Parlamento. Oggi vedrà quanto sui volti delle tute blu unite in piazza a Roma per lo sciopero nazionale Fiom Fim Uilm. Noi saremo con loro. Con dei piani, con un progetto che ha visto le opposizioni insieme. Perché scendono in piazza non solo per il loro futuro, ma per il futuro di tutte e tutti. Ciò che va bene per la Fiat va bene per l’Italia, si diceva una volta. Si diceva il falso. La verità, oggi come allora, è che ciò che restituisce dignità alla classe operaia salverà il nostro Paese.