Violenze e settarismo

Cosa sta succedendo in Siria: tra violenze e settarismo il Paese rischia di andare a pezzi

Dopo oltre un decennio di guerra devastante, una nuova escalation di tensioni solleva interrogativi gravi sul futuro e sulle autorità di Damasco

Esteri - di Giovanna Cavallo

7 Maggio 2025 alle 14:30

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AP Photo/Ghaith Alsayed
AP Photo/Ghaith Alsayed

La Siria sta attraversando una delle fasi più pericolose della sua storia recente, dopo oltre un decennio di conflitto devastante. Una nuova escalation di tensioni settarie — testimoniata dagli episodi di violenza a Jaramana e Ashrafiyat Sahnaya, e nei dintorni del Governatorato di Suwayda iniziati il 28 aprile scorso — ha risvegliato immagini dolorose e sollevato interrogativi gravi sul futuro del Paese e sulla capacità delle autorità di Damasco di contenere una frammentazione sociale sempre più evidente. Una preoccupazione evidenziata dalle diverse testimonianze già a febbraio scorso durante la missione civile “La Siria con gli occhi dei civili” e che ci permettono di restituire uno sguardo dal basso, attento alle sofferenze quotidiane ma anche alla resilienza sociale che resiste, nonostante tutto.

Comunità druse tra l’incudine settaria e il martello sionista

Tutto è iniziato con la diffusione di una registrazione audio attribuita falsamente ad un capo druso contro il Profeta Maometto, che secondo Ragdan, appartenente alla comunità drusa, è stato un chiaro strumento di propaganda volto a fomentare odio settario. “Era evidente che fosse stato fabbricato per giustificare l’attacco alla nostra comunità”, dichiara con grande amarezza. Gli scontri scoppiati in seguito hanno causato la morte di oltre 100 persone, tra cui civili drusi locali e combattenti affiliati a forze ausiliarie sotto il controllo del Ministero della Difesa e nonostante l’assenza di ordini diretti, la responsabilità politica, legale e morale ricade certamente sulle autorità di Damasco. Hazem, testimone diretto degli eventi, conferma: “è stata una violenza settaria. Hanno cercato di sterminare i drusi ovunque fabbricando ogni scusa per giustificare questa aggressione”.

Dopo giorni di caos, un accordo con le fazioni locali druse ha aperto uno spiraglio di de-escalation, ma la paura resta palpabile. “Ora a Suwayda la situazione è instabile ma migliore, grazie all’accordo tra le fazioni locali e il governo. Le forze di sicurezza locali hanno iniziato il dispiegamento. Spero sia un passo verso la stabilità, anche se la paura è ancora tanta” continua Hazem con molta preoccupazione che trapela dalla sua voce. In questo quadro già esplosivo, si inserisce il ruolo ambiguo di Israele, che secondo numerose testimonianze, tenta di sfruttare la vulnerabilità della comunità drusa siriana per espandere la propria influenza regionale. Bombardamenti mirati e dichiarazioni selettive sulla “protezione delle minoranze” sembrano rientrare in una strategia volta a legittimare la propria presenza in Siria e nel Golan e dividere ulteriormente il tessuto sociale siriano. Una tattica che aggiunge benzina a un fuoco settario e che per scongiurare la quale, le rappresentanze druse di Suwayda hanno avviato percorsi negoziali con il Governo Centrale e la Prefettura, per la tutela dei villaggi del Governatorato.

Dopo i massacri del 6 marzo sulla costa, quasi dimenticati, nessuna indagine ufficiale è stata realmente avviata, né sono stati identificati i responsabili. Souhayla Saab, scrittrice siriana di Suwayda, denuncia: “Chi ha commesso quei crimini contro gli alawiti aveva già annunciato futuri attacchi contro i drusi come dimostrano diversi audio diffusi sui social. La commissione per la verità, lanciata dopo il genocidio alawita, è una farsa. Se funzionasse davvero, questi attacchi non si sarebbero ripetuti.” Il silenzio istituzionale su questi eventi riflette la fragilità dello Stato, che sembra incapace o forse riluttante a fermare queste violenze, forse con l’intento di giustificare una maggiore militarizzazione o ridefinire l’equilibrio politico sul campo. Le milizie coinvolte nei crimini di Jaramana e Ashrafiyat Sahnaya hanno apertamente riconosciuto legami con i Ministeri della Difesa e dell’Interno. “Quelli che si definiscono ‘Sicurezza pubblica’ sono spesso simili a gruppi jihadisti stranieri. Si travestono da forze legittime, ma agiscono con brutalità sotto lo sguardo complice dello Stato”, afferma Ragdan. È quindi legittimo chiedersi: lo Stato siriano ha ancora sovranità piena se non riesce a controllare attori armati che agiscono sotto la sua ombra, compiendo esecuzioni extragiudiziali e attacchi settari? La realtà mostra un potere frammentato, privo di legalità e dominato da reti di sicurezza e fazioni militari con agende proprie.

La demonizzazione delle comunità secondo linee religiose sta aggravando fratture sociali già profonde, mettendo a rischio la coesione nazionale — un valore al centro dell’impegno storico dei Drusi siriani. Da sempre promotori di un’identità siriana inclusiva, i Drusi hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella difesa dell’unità del paese, opponendosi alle logiche settarie e contribuendo in modo attivo alla stabilità delle istituzioni, anche nei momenti più critici della storia recente. Negli scorsi mesi durante i primi passi di una transizione ancora incerta, le loro rappresentanze hanno continuato, come altri, a richiamare l’attenzione sulla necessità di valorizzare la pluralità culturale, religiosa ed etnica della Siria, come fondamento imprescindibile per la ricostruzione di una governance legittima e condivisa.

Tuttavia, in un clima avvelenato da sospetti incrociati e retoriche identitarie, si moltiplicano le trappole dell’odio: narrazioni manipolate, provocazioni strumentalizzate e crimini impuniti alimentano paure collettive e giustificano reazioni violente. Questo meccanismo pericoloso genera una spirale nella quale ogni comunità si sente minacciata e risponde secondo logiche di sopravvivenza, anziché di convivenza e il settarismo diventa uno strumento di potere, mentre la riconciliazione si allontana. Voci che si richiamano a un futuro condiviso — come quelle che provengono dalle comunità druse — vengono spesso marginalizzate o delegittimate, soprattutto quando non coincidono con le priorità delle nuove autorità. È così che il rischio di una Siria frammentata si fa sempre più concreto, proprio mentre le sue componenti più consapevoli continuano a battersi per un progetto nazionale inclusivo e non settario.

Quale via d’uscita e quale ruolo internazionale?

In un contesto così teso ciò che viene ripetutamente chiesto dalle persone siriane è un supporto concreto verso il patto sociale che in molti auspicano, includente verso tutte le componenti della società siriana. La transizione avviata necessita di una partecipazione autentica di tutte le comunità, ponendo fine all’incitamento settario attraverso una magistratura indipendente e l’applicazione di leggi severe contro chi lo promuove. Souhayla ci ricorda come la giustizia transizionale deve rappresentare la base imprescindibile per la riconciliazione nazionale, con processi equi e non vendette collettive. A fronte di una crisi di tale portata, la responsabilità della comunità internazionale è ineludibile e deve prioritariamente porre fine alle interferenze straniere — soprattutto quelle turche e israeliane — che alimentano il conflitto, spesso strumentalizzando le comunità locali a fini geopolitici.

Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e le potenze regionali devono andare oltre le dichiarazioni e adottare misure concrete per la protezione dei civili, promuovendo e finanziando osservatori indipendenti nei territori a rischio e sostenendo una vera transizione politica. In questo quadro, la società civile italiana ed europea è chiamata a un ruolo attivo e continuativo: vigilare, documentare, fare pressione politica e promuovere spazi di ascolto per le voci demonizzate. “La frammentazione non deve diventare una spirale irreversibile. Il dialogo nazionale coraggioso deve riconoscere i crimini, smantellare lo stato di sicurezza e costruire una Siria decentrata, giusta e pluralista.” Le diverse dichiarazioni delle organizzazioni civili lanciano questo monito che diventa uno dei pilastri delle rivendicazioni che ruotano tutte attorno alla transizione che deve essere caratterizzata dalla tutela dei diritti umani e dalla partecipazione.

*Forum per Cambiare l’Ordine delle Cose

7 Maggio 2025

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