Dopo la guerra civile
Siria: 12enne alawita legato e ucciso, i massacri a sfondo confessionale nel post-Assad
La violenza a Baniyas, cittadina affacciata sul Mediterraneo. Dopo le violenze esplose a marzo, circa 20mila civili sarebbero fuggiti in Libano
Esteri - di Redazione Web

Aveva soltanto 12 anni, si chiamava Ibrahim Shahin e stava scappando in aperta campagna. Gli hanno legato le mani e lo hanno ucciso a sangue freddo. La vicenda che racconta una fase cruenta e feroce della nuova Siria, appena dopo il ribaltamento al potere che ha nominalmente messo fine a una guerra civile che durava da oltre dieci anni, è stata riportata anche dall’ANSA. È soltanto l’ultima delle violenze che si stanno consumando in Siria: secondo alcuni bilanci sono oltre 1.500 i civili alawiti uccisi dai primi di marzo a oggi. Nessuno sconto per donne, bambini e persone anziane.
Gli alawiti sono la setta, una corrente dell’islam sciita, cui faceva parte la dinastia degli Al Assad, al potere fino al ribaltamento di fine 2024, con il dittatore Bashar rifugiatosi a Mosca, presso l’alleato russo. A inizio marzo erano emersi i massacri di civili nella provincia di Latakia, nell’ovest della Siria. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione con sede nel Regno Unito, aveva parlato di 973 civili e oltre 300 tra miliziani assadiani e membri delle forze di sicurezza governative uccisi. Era stato il momento più delicato della transizione che aveva portato al potere Ahmed al Sharaa, capo del gruppo Hayat Tahrir al Sham che si faceva chiamare precedentemente Abu Mohammed al Jolani, ex leader qaidista e jihadista sostenuto apertamente dalla Turchia.
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I pogrom di marzo contro gli alawiti avevano spinto oltre 20mila civili a fuggire dalla costa al Libano. A un attacco di uomini armati fedeli ad Asssad a Jable – 16 vittime – avevano fatto seguito le azioni governative che secondo i racconti avrebbero colpito anche civili alawiti. “Quando compromettiamo la nostra etica ci mettiamo allo stesso livello dei nostri nemici. Quello che resta del vecchio regime sta cercando una provocazione che porti a violazioni dietro le quali possono nascondersi”, aveva detto Al Shara che dopo la deposizione del regime aveva pubblicato un editto per garantire alle minoranze che vite, proprietà e libertà di culto fossero protette.
L’assassinio di Ibrahim si sarebbe verificato lunedì scorso a Baniyas, cittadina affacciata sul Mediterraneo, nei campi di Harf Banamra, nel primo giorno della festa per la fine del Ramadan. Le foto del cadavere hanno suscitato terrore e sgomento in tutta la Siria. Secondo le informazioni emerse finora, pare facesse parte di una famiglia legata al regime. Uccisi da un gruppo di uomini con il volto coperto anche il padre Somar, lo zio Thaer e il nonno Ibrahim. Uccisi anche il sindaco del villaggio, Jawdat Fares, e il figlio, Najdat. La comunità è quella di una zona agricola, di estrema povertà, ai margini dello sviluppo socio-economico del Paese. Esponenti del regime deposto spesso provenivano da quest’area. Decine di località costiere sarebbero state assaltate nelle zone di Tartus e Latakia.
Ahmad Sharaa ha incaricato una commissione per indagare sulle stragi a sfondo confessionale in corso nel Paese, per indagare sugli abusi e perseguire i responsabili “senza indulgenza”. Le forze governative, dopo l’uccisione di Ibrahim, hanno anche mostrato un leader religioso alawiti locale che dichiarava come le forze di sicurezza di Damasco avessero riportato l’ordine e la sicurezza dopo aver fermato i presunti responsabili, che secondo alcune fonti locali sarebbero arrivati proprio dal vicino posto di blocco gestito dalle forze governative.