Il presidente di Antigone

Parla Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone: “La truffa di Meloni sulla sicurezza: il governo seppellisce in carcere giovani e fragili”

Il passaggio dal ddl al decreto? “Dal governo disprezzo per il parlamento”. “Il dl ha enormi profili di incostituzionalità, spinge verso una criminalizzazione delle lotte sociali, sono norme che si ispirano a un modello di dubbia consistenza democratica. È il più grande attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana”

Interviste - di Angela Stella

5 Maggio 2025 alle 07:00

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Photo credits: Marco Ponzianelli/Imagoeconomica
Photo credits: Marco Ponzianelli/Imagoeconomica

Professor Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone. Partiamo dal punto di vista del metodo: si è passati dal ddl al dl sicurezza. Qual è il suo giudizio su questo?
Il Governo con palese disprezzo del Parlamento, impegnato da oltre un anno nella discussione del ddl sicurezza, ha deciso che andava annichilito il dialogo, andava cancellata ogni ipotesi di discussione. È un passaggio grave nella storia parlamentare italiana. Gli stessi deputati e senatori appartenenti alle forze politiche di maggioranza dovrebbero rivendicare un proprio ruolo nella costruzione delle leggi. Altrimenti si autoconfinano dentro un meccanismo di svilimento dell’istituzione parlamentare. Il Governo con la decretazione di urgenza ha azzerato tutto senza però cambiare i contenuti del testo normativo, nonché fingendo di tenere in considerazione delle preoccupazioni del Presidente della Repubblica, informalmente segnalate. Un’enorme presa in giro.

Secondo lei esistono profili di incostituzionalità?
Esistono enormi profili di incostituzionalità, a partire dalla forma del decreto legge in materia penale. Mancano palesemente i requisiti di urgenza e necessità, rispetto a un testo che era in discussione da tanti mesi. La democrazia è dialogo, ascolto, dibattito. Tra i tanti profili di incostituzionalità alcuni sono legati alla procedura scelta (si pensi alla disomogeneità del testo e al suo essere distonico rispetto ai principi di cautela che dovrebbero governare la materia penale), altri ai tanti contenuti vessatori in essa presenti, molti dei quali palesemente in contrasto con il diritto penale liberale. Cesare Beccaria nel lontano 1764 aveva improntato il suo modello penale moderno sui principi di dolcezza delle pene, proporzionalità, chiarezza, legalità. Principi che Luigi Ferrajoli ha riproposto di recente per ribadire la sua teoria del diritto penale minimo, un diritto autenticamente capace di minimizzare la violenza. In molte delle norme penali presenti nel testo sono messi in crisi i principi di tassatività, offensività e proporzionalità. Sono introdotte fattispecie penali dal contenuto incerto che non consentiranno ai giudici di valutare quale è la condotta vietata.

In particolare?
Mi soffermo su una delle norme presenti nel decreto legge 2355, quella che introduce il delitto di rivolta penitenziaria. Andrà a seppellire sotto anni e anni di prigione migliaia di persone, le più vulnerabili, le più giovani. La norma punisce chi si limita a resistere passivamente a un ordine, genericamente motivato. E lo punisce fino a otto anni di carcere. La vita in una comunità, sia essa un carcere, sia essa una caserma, una scuola, una famiglia, è fatta di continui rapporti, dialoghi, proteste, voci alte e voci basse. Qualora sia introdotta questa norma saranno seppelliti in carcere ragazzi, persone con problemi psichiatrici, tossicodipendenti. Sono loro che, come chi conosce il carcere ben sa, non sanno farsi la galera. Sono loro che disobbediscono agli ordini, che dal legislatore non sono stati neanche definiti legittimi. I mafiosi non disobbediscono. I mafiosi hanno altri strumenti di pressione. Esemplifico. Tre ragazzi che non vogliono uscire dalla cella, tre persone che battono le sbarre per segnalare un problema, tre persone che rifiutano il cibo o le medicine andranno a processo. Manca palesemente la ragionevolezza e manca palesemente la tassatività. È un passo di non ritorno verso il carcere regolato nel 1931 dal regime fascista, quando i detenuti dovevano camminare a testa bassa, in silenzio. Neanche l’allora Guardasigilli Rocco aveva pensato a un reato di questo tenore, violativo dei principi di offensività, proporzionalità (la rivolta con resistenza passiva è punita quanto i maltrattamenti in famiglia) e tassatività.

Nel caso arrivassero all’attenzione di questa nuova Corte Costituzionale, lei nutre fiducia rispetto a pronunce di illegittimità?
Immagino che non pochi avvocati e giudici solleveranno questioni di legittimità costituzionale sulle tante norme presenti in un decreto legge che mira a criminalizzare il dissenso entificando il lavoro delle Polizie, come in un’antica tradizione nazionalista. Negli ultimi anni la Corte Costituzionale, si pensi alla decisione sulla affettività in carcere, ha cercato di rimediare all’inerzia del legislatore e a porre freni alla bulimia punitiva. Speriamo che si continui a produrre una giurisprudenza in questa direzione.

Può elencare quali sono gli aspetti più critici nel merito?
Antigone da novembre 2023 ha affermato che il testo era palesemente in contrasto con le regole classiche della rule of law. Su questo producemmo un documento circostanziato insieme all’Asgi. Non cito il delitto di rivolta penitenziaria di cui ho già parlato. Il testo, in tante altre sue norme, si pone in evidente contrasto con una serie di principi costituzionali che reggono il nostro ordinamento giuridico, specificamente nel campo del diritto penale, del diritto dell’immigrazione e del diritto penitenziario. Le nuove disposizioni che il Governo vorrebbe introdurre appaiono, infatti, impostate ad una logica repressiva, securitaria e concentrazionaria: la sicurezza è declinata solo in termini di proibizioni e punizioni, ignorando che è prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana e dovrebbe essere finalizzata all’uguaglianza delle persone. Il disegno di legge del Governo strumentalizza, invece, le paure delle persone e contravviene ai doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione.

Ci spieghi meglio.
Le norme spingono verso una criminalizzazione delle lotte sociali, trasformando in reati comportamenti che hanno a che fare con il disagio e la marginalità sociale, oltre che con le disuguaglianze economiche e con le grandi questioni sociali. Temi come quello delle occupazioni delle case andrebbero affrontati con le tradizionali vie del welfare comunale, del dialogo, della composizione dei conflitti e dell’integrazione sociale; allo stesso modo gli atti di protesta per il miglioramento climatico dovrebbero essere oggetto di dibattito pubblico, quali che siano le modalità di tale dibattito, purché siano evidentemente pacifiche e non-violente.

E invece?
Si prevedono abnormi aumenti di pena che potrebbero, tra le altre nefaste conseguenze, determinare un sovraffollamento ingestibile del sistema penitenziario, già in crisi. Nella logica repressiva delle lotte sociali che caratterizza il decreto legge, alla polizia e più in generale all’autorità di pubblica sicurezza viene riconosciuto un privilegio, in ragione del ruolo che essi svolgono, in quanto rappresentanti dell’autorità costituita nella “pubblica piazza”, privilegio che di fatto si trasforma sul piano giuridico in una vera e propria immunità funzionale che, ancora una volta, determina una criminalizzazione dei manifestanti. Una lesione loro inferta vale di più di quella provocata dalla polizia. Le norme del decreto legge governativo, infine, si ispirano a un modello di diritto penale di matrice autoritaria e non liberale che risponde ad una ben chiara matrice culturale e politica, di dubbia consistenza democratica.

In che modo?
In nome di una indefinita, quanto pericolosa, idea della “certezza della pena” si prevedono norme che mascherano intenti discriminatori, come quella che prevede il carcere (non cambia nulla pure se si tratta degli Icam) per le donne in stato di gravidanza, norma dall’evidente contenuto simbolico, finalizzata a reprimere un particolare gruppo sociale, connotato sul piano culturale e razziale, ossia le donne rom. Rischia di assecondare le pulsioni razziste già presenti nella società. Parliamo di una decina di persone in tutta Italia. Non è questa sicurezza ma disumanità contro le donne e contro i bambini che nasceranno.

Davvero questo dl incarcererebbe anche Gandhi?
Se Gandhi fosse detenuto e si rifiutasse, seduto a gambe incrociate nella sua cella, di obbedire a un ordine di un poliziotto penitenziario sarebbe processato per rivolta. Se Gandhi fosse nelle strade a protestare con il proprio corpo senza produrre danni a persone o cose sarebbe ugualmente processato. È la criminalizzazione della disobbedienza nonviolenta.

Si privilegia molto la tutela delle forze dell’ordine a discapito di altre categorie di persone. Si va verso uno Stato di Polizia?
L’Osce, l’Onu e il Consiglio d’Europa hanno affermato che c’è un rischio per la tenuta dello stato di diritto. Noi abbiamo parlato del più grande attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana. Speriamo che le istituzioni di secondo livello tengano. Su questo sono fiducioso.

In generale lei avverte una torsione securitaria nell’azione di Governo e della maggioranza?
Purtroppo c’è una torsione securitaria che costituisce un cambio di paradigma. Di fronte a questo scenario uso le parole di papa Francesco rivolte all’associazione internazionale degli studiosi di diritto penale: “Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di inclusione sociale. Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste. In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni”.

Sul carcere sembra essere calato l’ennesimo assordante silenzio. Eppure il sovraffollamento permane e si continua a morire. Qual è la situazione al momento?
La situazione in carcere è drammatica. Sovraffollamento, suicidi, chiusure ingiustificate, rottura con il mondo sociale, proteste, morti. Il sistema penitenziario è in crisi grave. Una crisi che ha colpito anche il sistema minorile, per la prima volta anch’esso sovraffollato e in fiamme.

In questa situazione generale cosa possono realmente le opposizioni politiche e la società civile?
Possono fare molto. Prendere coscienza che la crisi di una democrazia si vede dai temi di confine, come quello penale e carcerario. Bisogna parlare alla zona grigia della popolazione e spiegare che la sicurezza così declinata è una truffa elettorale. Contro il dl sicurezza le opposizioni hanno reagito. Lo ha fatto anche la società civile. Lo sta facendo anche l’accademia. Bisogna occupare gli spazi dell’informazione per costruire un’altra narrazione.

5 Maggio 2025

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