L'eurodeputato Pd
Intervista a Brando Benifei: “Sui dazi l’Ue deve difendere gli interessi dei cittadini”
«Va affermata una sovranità europea come base per difendere e rilanciare un modello democratico e di diritti, sociali e di libertà, fulcro della nostra identità europea. Se perdessimo questa prospettiva, il necessario impegno per costruire la difesa europea perderebbe di senso: quale Europa staremmo difendendo?»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Brando Benifei, eurodeputato dal 2014 e capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo dal 2019 al 2024. C’è fermento nel Partito Democratico. Al centro del quale c’è l’Europa. Al di là dei richiami a Ventotene e ai padri fondatori, il PD ha una visione e soprattutto una politica condivisa sull’Europa?
Il Partito Democratico anche grazie al lavoro della Segretaria Elly Schlein è oggi l’avanguardia della battaglia per la federazione europea in Italia. La scelta di associare il nostro impegno al progetto del Manifesto di Ventotene ha un chiaro significato politico e programmatico: l’Europa deve essere unita e deve essere un’Europa sociale come quella disegnata in quel testo. Certamente il mondo è cambiato e oggi le sfide sono in parte diverse ma colpisce come l’attualità dello scritto in questione si manifesti anche riguardo a temi oggi centrali come il governo dei flussi migratori e la questione ambientale. Il punto cruciale oggi è affermare una sovranità europea come base e precondizione per difendere e rilanciare un modello democratico e di diritti, sociali e di libertà, che sono il fulcro della nostra identità europea. Se perdessimo questa prospettiva anche il necessario impegno per costruire la difesa e la sicurezza europea in un mondo profondamente cambiato perderebbe di senso: quale Europa staremmo difendendo? Non possiamo smarrire la rotta di valori fondamentali che oggi sono l’unico argine a derive illiberali e antisociali che emergono nel nostro dibattito pubblico e purtroppo sono ora fortemente sospinte da forze economiche e oligarchiche, interne all’Unione o anche provenienti da oltreoceano.
Il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Jack Starmer patrocinano la “coalizione dei volenterosi”, con la convinzione, propria anche della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che la pace si conquista con la forza. È questo l’orizzonte della sinistra europea?
L’Europa deve decidere se ambire a difendersi da sola dai rischi del mondo globale, dai conflitti tradizionali ma anche e soprattutto dai rischi quotidiani del cybercrimine, della resilienza delle infrastrutture critiche, della solidità compromessa delle istituzioni. Senza sicurezza certamente non c’è Stato e quindi nemmeno può esserci l’Unione Europea. Ma se questo fosse l’orizzonte ultimo della nostra politica saremmo gravemente fuori strada: se la società europea viene gravata da sempre maggiori diseguaglianze e fratture, se i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri finisce che non abbiamo più nulla da difendere se non delle sacche di privilegio di pochi, altro che valori democratici. Perciò non si può pensare che la salvezza della democrazia e della libertà in un mondo dove cresce la fascinazione per l’autoritarismo oggi possa prescindere da un impegno più ampio e convinto per combattere le disuguaglianze. Senza questo torna il nazionalismo, torna la rottura dell’Europa: ciò che dovremmo evitare per affrontare i grandi cambiamenti in corso.
Lei è tra gli 11 europarlamentari dem che si è astenuto sul Libro Bianco della Difesa. Chi ha votato a favore l’ha fatto sulla base di due convincimenti: non staccarsi dalla famiglia socialista e, nel merito, ritenendo che il piano di riarmo era un passo verso la difesa comune europea.
Negli ultimi giorni una nuova votazione all’Europarlamento ha visto ricompattare il Partito Democratico con un voto favorevole al prosieguo dell’impegno per la difesa europea e la scelta di ribadire la critica a un piano sbilanciato nella scelta di provvedere all’aumento della spesa per la difesa meramente nazionale, una scelta miope e impossibile come ha ben spiegato in questi giorni Mario Draghi, che finirebbe a portare la sola Germania a irrobustire la propria spesa militare.
Per questo è inevitabile che nei prossimi mesi si arrivi a lavorare su nuove forme di indebitamento comune che noi riteniamo debbano essere non solo relative all’impegno per la difesa ma anche per un allargamento complessivo della capacità e dell’ambizione del bilancio comunitario per settori come la transizione ecologica, la sovranità digitale, la tutela dei diritti sociali. Un aumento disordinato della spesa nazionale ben oltre il 2% del PIL concordato in sede NATO porterebbe solo ad aumentare inefficienze e ad acquistare ulteriori armamenti dalle industrie americane senza dare alcun impulso allo sviluppo delle imprese europee, agli appalti comuni e all’interoperabilità dei sistemi.
Sul Financial Times, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tessuto le lodi di J.D.Vance, il Vicepresidente Usa che non passa giorno senza che “schifi” l’Europa. Alleati o vassalli?
La genuflessione di Meloni nei confronti del Vicepresidente degli Stati Uniti non può essere definita se non come una imbarazzante sconfessione di qualunque considerazione riguardo all’interesse nazionale italiano ed europeo. Può essere infatti nel nostro interesse assecondare una narrativa che indica l’Europa come un continente parassita e scroccone, per porre condizioni e vincoli per il nostro futuro rapporto transatlantico? La verità è che siamo dentro un grande negoziato che coinvolge anche i rapporti con le altre grandi potenze globali e il governo italiano dovrebbe sapere che soltanto difendendo le scelte europee di questi anni si può lavorare a trovare soluzioni ai conflitti non solo commerciali ma in realtà del tutto politici, che riguardano la difesa del modello europeo, delle nostre leggi, del ruolo dell’Europa nel mondo.
L’Europa alla guerra dei dazi. Dallo scontro con gli Stati Uniti, l’Europa, in primis l’Italia, non rischia di uscirne con le ossa rotte?
Abbiamo ascoltato l’annuncio del Presidente Trump sui nuovi dazi: l’Unione Europea ora deve fare tutto il necessario per difendere gli interessi dei cittadini europei e con essa l’Italia, senza reticenze. Ciò significa mantenere la lucidità per esplorare tutte le strade possibili al fine di spingere gli Stati Uniti al tavolo delle trattative, ma anche mostrare determinazione nella risposta, che deve essere netta. Abbiamo bisogno di contromisure più ampie che colpiscano nei punti più sensibili, non solo sui beni, ma anche sui servizi a partire dalle grandi aziende tecnologiche e dal settore finanziario. Inoltre, dovremo valutare possibili risposte sui diritti di proprietà intellettuale e sull’esclusione delle imprese statunitensi dagli appalti pubblici dell’Unione Europea, per massimizzare la pressione e porre fine al più presto a questo scontro commerciale che non abbiamo iniziato. Come Presidente della Delegazione per i Rapporti con gli Stati Uniti dell’Europarlamento sarò negli Stati Uniti la prossima settimana e molte volte nei prossimi mesi per lavorare a contrastare una spirale di scontro al cui contrasto la diplomazia parlamentare può giocare un ruolo. Ma l’Unione Europea deve anche uscire dagli schemi tradizionali per superare la logica imposta da Trump…
In che modo?
Servono incentivi per le aziende e per i cittadini statunitensi a venire a lavorare e creare valore in Europa, in un mercato unico stabile e sostenibile. Bisogna augurarsi che il governo italiano voglia lavorare in questa direzione, unitamente alla risposta europea e senza farsi azzoppare dalle divisioni tra i tre partiti di maggioranza, come abbiamo visto in queste ultime settimane e giorni. Per adesso sembrano brancolare nel buio o peggio giustificare le azioni sbagliate della Casa Bianca.