Il presidente nazionale Arci
“La piazza di Repubblica non è la nostra, ReArm Eu serve a riconvertire un sistema industriale in affanno”, parla Massa
“La scelta di questo piano di guerra non è piovuta improvvisamente dal cielo. L’indignazione arriva in ritardo. ReArm Europe serve egoisticamente a riconvertire una parte del sistema industriale continentale da tempo in affanno. Ha ragione Schlein: se il tema è la difesa comune perché finanziare i singoli stati, alcuni dei quali rientrano nella sfera d’influenza di Mosca?"
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Walter Massa, Presidente nazionale dell’Arci: Ursula von der Leyen lancia il piano di riarmo UE: 800 miliardi per la difesa. Per poi aggiungere: “La Ue deve riarmarsi, finite le illusioni. Momento della pace attraverso la forza”.
Il piano di questa classe dirigente europea era noto da tempo, è inutile girarci attorno o stupirsi più di tanto. Esattamente un anno fa l’ex presidente del Consiglio Europeo, il francese Charles Michel, con un editoriale pubblicato su diverse testate internazionali – Italia compresa – ci spronava già nel titolo a preparaci ad una stagione di guerra: “Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra”. Non solo, quella proposta fu portata dallo stesso presidente in sede di Consiglio Europeo, fu ampiamente discussa. E basta guardare i bilanci dei singoli stati membri per capire che fu anche approvata. Non c’era Trump, Musk era appena passato armi e bagagli dal sostegno ai democratici americani a uomo immagine del tycoon dal berretto rosso, la classe politica europea barcollava da almeno due anni nel buio sulla questione Ucraina come sul fronte mediorientale e della scuola diplomatica europea neppure l’ombra. Questo per sottolineare che concentrarsi solo sull’oggi, come se la scelta di questo piano di guerra sia piovuta improvvisamente dal cielo, non regge. E, con il massimo rispetto, neppure l’indignazione di piazza che arriva quanto meno in grande ritardo. Motivo per il quale come Arci abbiamo voluto dare un segnale.
La stampa mainstream ripunta l’indice accusatore contro il mondo pacifista di cui l’Arci è parte essenziale: se non si accetta il riarmo si è complici di Putin e ora pure di Trump.
Siamo sempre alle solite. Lei ha mai visto un talk show, una trasmissione di approfondimento in tv, un commento in qualche telegiornale da parte di un qualsiasi esponente del variegato mondo pacifista? Ha mai visto il servizio pubblico invitare in studio qualche esponente di questo mondo? No. Eppure, oltre alle accuse, si pratica costantemente il bullismo verso il pacifismo, senza neppure il coraggio di un confronto serio. Pratica che ovviamente si è poi diffusa sui social e sta diventando cultura. Non dimentichiamo anche i recenti interventi di autorevoli esponenti del mondo della cultura e della società, impegnati da settimane a cercare guerrieri o a spiegarci la mollezza dei giovani di oggi, colpevoli di non aver mai provato la guerra. Io stesso faccio spesso fatica a riconoscermi nella non violenza e talvolta nel pacifismo come fosse una fede, da anni però, a differenza di tutti i commentatori che vediamo in tv e leggiamo sui principali media e che sempre più spesso trattano l’impegno pacifista con disprezzo, come questione che non attiene al vero maschio, mi occupo concretamente e direttamente delle conseguenze delle scelte nefaste e dei tanti conflitti che affliggono questo mondo, e non posso far altro che rivendicare che a questo gioco non ci sto e che di presunti maschi alfa, intellettuali, commentatori o qualunque cosa siano, che per anni sono stati in silenzio quando si perpetravano le più grandi ingiustizie nei confronti dei cittadini e delle cittadine di questo mondo, non ne abbiamo forse tanto più bisogno. E dunque, anche uno come me, dissente in modo chiaro e trasparente, mettendoci la faccia: non me la prendo con i miei concittadini, smarriti e impauriti, che hanno il desiderio di ritrovarsi e manifestare la propria inquietudine per il presente e il futuro, ma con chi ha permesso dall’alto della sua posizione che si arrivasse fin qui, stando in silenzio o supportando questa deriva. E senza mai permettere un confronto vero.
Sa come la definisco? Una scelta politica.
Come si argina, dal suo punto di vista, il “ciclone Trump” che si è abbattuto sull’Europa?
Intanto non pensando che tutto è precipitato con l’arrivo di Donald Trump e facendosi qualche domanda in più sul perché siamo arrivati fino al punto in cui, rispetto agli equilibri nel mondo, è tornata la legge del più forte, ossia la legge della giungla. E anche ponendoci seriamente la questione di quanta complicità vi sia stata nelle classi dirigenti europee. Ricordo che questa stagione, lunghissima, si impose negli anni ‘80 quando Margaret Thatcher illuminò il mondo conservatore con una frase che ancora oggi esemplifica al meglio il pensiero dominante nel credo della destra liberista: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’ideologia neoliberista c’è, si vede, oggi si tocca con mano e in quest’ultima fase in particolare sta mostrando in modo inequivocabile tutta la sua violenza e crudeltà. Qualcuno la definisce una fase ultraliberista, altri, a partire dal presidente dell’Argentina Milei, anarco-capitalista. È inquietante, si fonda esclusivamente sull’uso della parola libertà: la libertà di fare ciò che si vuole, la libertà di far saltare tutto il sistema, la libertà di far prevalere i più forti sui più deboli. Non siamo dunque di fronte alla destra che abbiamo conosciuto in questi anni, questa, se possiamo definirla così, è una destra economica che usa lo spazio politico per distruggere lo spazio pubblico, rappresentata non da pensatori o politici, ma direttamente dai vari dominatori economici del mondo, Trump, Musk, Milei per citare i più noti. E’ una destra ultra capitalistica che ha un disegno ben chiaro: sovvertire quelle che noi abbiamo conosciuto come democrazie, le istituzioni liberali, abbattendo con una scure un secolo di conquiste rispetto ai diritti. Siamo al rifiuto esplicito della democrazia, che sostanzialmente si compie mettendo in conflitto perenne capitale, tecnologia, lavoro e democrazia.
Che fase stiamo vivendo?
Siamo sotto attacco e sono sotto attacco le pietre miliari dell’Europa pensata a Ventotene, fondate sull’illuminismo e sullo Stato di diritto. E quindi penso che non basti più sostenere che difendiamo la democrazia, non penso che la libertà da sola possa essere la declinazione con cui noi interpretiamo il principio democratico. Unitamente alla libertà, la democrazia ha senso se accompagnata e sostenuta dal principio di solidarietà e da quello di uguaglianza. Principi che ci riportano alla Costituzione, che dobbiamo tornare ad anteporre a questo ultra-capitalismo, tornando a battersi per le cose in cui si crede e riconquistare una credibilità che in politica è tutto.
È indubitabile che mentre Putin tratta con Trump, la Russia continui ad armarsi e a fare guerra. Perciò la UE è solidale con Zelensky. Ma la stessa UE resta inerte su Gaza e davanti alla pulizia etnica messa in atto da Israele. In attesa di fare della Striscia la “Riviera del Medio Oriente” senza un palestinese in circolazione…
La domanda contiene già la risposta e, aggiungo, inquadra alla perfezione e in poche parole la non credibilità di questa Europa. E smonta visibilmente questa nobile teoria che dobbiamo armarci per difendere l’Ucraina. Non è vero nulla. Il piano ReArm Europe serve egoisticamente a riconvertire una parte sostanziale del sistema industriale continentale che da diversi anni è in affanno. E non serve essere dei dotti economisti per sapere che le armi e le guerre sono straordinari regolatori economici in momenti di crisi. Ha ragione la segretaria del Partito Democratico: si può discutere, ma se il tema è la difesa comune europea perché finanziare i singoli stati, alcuni dei quali palesemente rientrano nella sfera d’influenza di Mosca? È incomprensibile. Qualcuno ci dice che questo è solo il primo passo. Ma un passo verso dove? Forse un primo passo verso la difesa comune europea poteva essere fatto nella direzione di avere finalmente una politica estera comune. Ma anche qui ci viene detto che, con le attuali condizioni, avere una politica estera comune è sostanzialmente impossibile. E dunque che fa l’Europa? Permette ai singoli stati di armarsi. E siamo davvero sicuri che i singoli stati si armeranno per difendere l’Ucraina? A me pare tutto folle e soprattutto mette in controluce che dei palestinesi (e fondamentalmente degli ucraini) non interessi niente a nessuno. Ciò che sta emergendo dai rapporti delle Nazioni Unite sulle atrocità commesse dall’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania è davvero allucinante e mi riporta ad una frase pronunciata quasi un anno fa quando arrivai alle porte dell’inferno di Rafah: sadismo di stato. E anche qui, a proposito di media mainstream, tutti tacciono.
L’Arci non ha aderito alla manifestazione di domani (oggi per chi legge) indetta a Roma da Repubblica. Si sente un “disertore”?
Come dicevo prima la presidenza nazionale dell’Arci ne ha discusso e, a larga maggioranza, ha ritenuto di dare un segnale non contro la piazza in sé, di cui abbiamo rispetto, ma per tutto quello che anche questa intervista prova a mettere in luce. Anni di silenzi e omissioni compresi. In questo quadro drammatico è comprensibile lo smarrimento e la preoccupazione, così com’è comprensibile la voglia di ritrovarsi insieme. Alcuni dei nostri compagni di viaggio parteciperanno, altri no, ma è indubbio che lo smarrimento che è la molla della convocazione sia anche il nostro. E non lo neghiamo. Per questo, al di là delle sigle e dei collettivi, abbiamo rispetto per quella piazza che sarà soprattutto una piazza di uomini e donne che partecipano e vogliono rispondere stando insieme alle barbarie. Ma oggi quella piazza non può essere la nostra fino in fondo per una scelta politica. Qualcuno deve farsi carico di non far annacquare tutte le ragioni di cui parlavo, perché oggi questo è un vero rischio e perché dopo il 15 marzo dovremo andare avanti. Per questo noi scegliamo di non esserci e anche perché crediamo che la priorità sia un’altra: contrastare con una grande mobilitazione europea il Piano europeo ReArm e sconfiggere quell’idea che si è imposta nel tempo nel nostro continente della Fortezza Europa. L’Arci poteva permettersi di dare questo segnale, netto e inequivocabile, senza fronzoli e nella trasparenza, garantendo spazio e disponibilità al confronto delle idee e da questa posizione, senza alimentare sterili e inutili contrapposizioni, facendo così il gioco dei mercanti d’armi e dei loro vassalli, prepararsi al dopo. È questa la vera sfida. Così ci siamo posti nei confronti della piazza del 15 marzo e così ci poniamo nei confronti di tutte le forze politiche, associative, sindacali e di movimento. In questo 2025, che segna il trentesimo anniversario della tragica scomparsa di Alex Langer, non esserci il 15 marzo per noi significa anche e soprattutto provare a fare da ponte tra chi aderirà e chi non aderirà. Non possiamo permettere che si costruisca l’ennesima trincea dentro questo campo. Più che disertori oggi ci sentiamo un ponte. La preoccupazione per le sorti dell’Europa è genuina, ma occorre consapevolezza della fase e degli errori, e l’impegno a costruirla con chiarezza e senza ambiguità. Il mondo non finirà il 15 marzo, la proposta del segretario generale della CGIL di ritrovarci subito dopo per una grande assemblea sull’Europa che abbiamo sempre sognato e sostenuto, quella della pace, della giustizia sociale e del primato della democrazia, ci convince e, per come si potrà, vedrà l’Arci protagonista. Mi auguro che da quella giornata emerga anche una tensione e un lavoro per la costruzione di un grande mobilitazione europea contro questa Europa in mimetica.