L'ex presidente dello IAI
“Riad non è Yalta, il risultato può generare il caos”, parla Stefano Silvestri
Parla l’ex presidente dello Iai: “Il vertice convocato da Macron non è stato preparato bene, invece di una forte risposta a Trump è emerso un debole supporto all’Ucraina. Agli Usa non conviene far fuori i propri alleati, ricordiamo cosa accadde quando Gorbaciov decise che l’Europa orientale era inutile e costosa...”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

L’Europa dopo il vertice informale di Parigi. Nell’ “era trumpiana” c’è un futuro per l’Europa e per la Nato? L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera e geopolitica: Stefano Silvestri, già presidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico. Il professor Silvestri è stato anche docente sui problemi di sicurezza dell’area mediterranea presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e ha lavorato presso l’International Institute.
Professor Silvestri, come valutare il vertice informale di Parigi sull’Ucraina?
La riunione di Parigi evidentemente non era stata molto preparata. Invece di essere una forte risposta europea a Trump, Vance, al discorso dell’America, è risultata essere un debole supporto all’Ucraina. Forte sul piano politico, nel senso che ha confermato l’impegno per Kiev, senza però indicazioni precise su cosa gli europei vogliano o possano fare. Tutto il resto, sono un po’ chiacchiere.
In che senso, professor Silvestri?
Nel senso che parlare dei soldati in Ucraina, boots on the ground, avrebbe potuto essere un segnale forte. Dire, ad esempio, se necessario siamo pronti a mandare soldati in Ucraina, avrebbe significato dare un segnale forte d’impegno. Non averlo detto, significa che c’è ancora della confusione. È chiaro che non poteva essere, per una serie di ragioni, una decisione da prendere in questo momento. Il problema è siete disponibili se è necessario o no? Su questo c’è un po’ di confusione. Come c’è confusione su come rispondere a Trump. Su questo anche a Parigi, e in precedenza, sono emerse se non contrapposizioni tra le cancellerie europee, certamente delle differenze non solo nei toni.
Ad esempio?
Beh, la Meloni sembra pensare che in Europa ci sia una posizione antiamericana. Su questo non mi trovo d’accordo. Per niente. Gli europei sono perfettamente consapevoli, tutti, del fatto che la difesa europea dipende sostanzialmente dagli Stati Uniti. Nessuno vuole cacciare gli Stati Uniti dall’Europa. Il problema è negli Stati Uniti, cioè se decidono loro di andarsene. In quel caso, noi che facciamo? Se loro ci chiedono, per non andarsene, di fare di più, non solo sul 5% del Pil ma anche nell’acquistare armi americane, noi europei cosa siamo disposti a fare? Questa non è una posizione critica rispetto agli americani. È una posizione di semplice risposta a quello che gli americani ci chiedono. Che poi ce lo chiedano in maniera più o meno brutale, questo dipende dalla loro “educazione”.
Guardando ad un futuro che si fa già presente. Cosa accadrà dopo Parigi?
Il fatto che quella dell’Eliseo sia stata un’occasione, in parte o in toto, sprecata, è un po’ la dannazione di molte delle iniziative di Macron. Che sono buone come idea ma poi mal preparate e quindi destinate a finire nel nulla o rivelarsi addirittura controproducenti. A Parigi sicuramente si sono delineate due ipotesi e due schieramenti, con molti incerti.
Quali ipotesi?
Una ipotesi più favorevole ad un maggiore impegno in Ucraina, e l’altra ipotesi più attendista, che spera che le cose rientrino nell’ordine per conto loro. In mezzo, un po’ di Paesi incerti, soprattutto per ragioni sia di debolezze politiche interne – pensiamo alla Germania che domenica vota e non può certo prendere adesso decisioni estremamente impegnative – e altri per ragioni finanziarie. Potrebbe essere, però, che da Parigi cominci a definirsi una selezione dei Paesi più disposti ad andare avanti. In quel caso, il discorso sarebbe chi sta dentro e chi ne resta fuori. Non siamo ancora a questo punto, ma potrebbe essere che si crei, proprio perché questa riunione “informale” e ridotta nei partecipanti, non è andata bene, o comunque non nelle aspettative del padrone di casa francese, emergano altre ipotesi.
Alla luce di quanto praticato da Trump e sostenuto, con un discorso sferzante e non certo conciliatorio, del Vicepresidente J.D.Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, con questa amministrazione americana, c’è un futuro per l’Europa e per la Nato?
Questo è quello che ci domandiamo tutti. Non credo che convenga agli Stati Uniti far fuori i propri alleati. Anche se questi alleati sono costosi e possono essere irritanti dal punto di vista americano. Però non escludo che ci possa essere una valutazione di questo genere. Questo sarebbe un bel contrappasso…
Vale a dire, professor Silvestri?
Ricordiamoci come è finito il blocco sovietico. È finito quando Gorbaciov ha deciso che l’Europa orientale, che faceva parte del blocco sovietico del Patto di Varsavia, costava troppo ed era diventata sostanzialmente inutile, e insopportabilmente gravosa, per l’Unione Sovietica. E quindi lui non era più disposta a difenderla, come in passato. E così la Germania si è riunificata e l’Urss è scomparsa. Il caso degli Stati Uniti è un po’ diverso. Però quando si prendono certe decisioni in maniera un po’ affrettata, bisogna mettere anche in conto quelle che potrebbero esserne le ripercussioni.
A proposito dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, e tra Trump e Putin, c’è chi parla, riferendosi all’incontro di Riad, come l’inizio di una “nuova Yalta”. La formula di Riad può avere un futuro?
Sì e no. Nel senso che Yalta – il primo incontro fu a Teheran, visto che oggi s’inizia a Riad è curioso annotarlo – aveva un futuro perché attorno al tavolo c’erano i Paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, che dovevano decidere il nuovo ordine internazionale. Qui la situazione è diversa. Non sono i Paesi vincitori. Sono dei Paesi che vogliono assicurarsi, in un certo senso, una loro zona protettiva. Non sono Paesi che vogliono affermare un nuovo ordine internazionale, ma sono paesi che sono in ritiro dall’ordine internazionale. A mio avviso non avrà lo stesso significato. Quello che può uscire da un accordo russo-americano non è una nuova stabilità ma una nuova instabilità. Si può legittimamente criticare Yalta, criticarne il risultato finale, quello della divisione del mondo in blocchi, ma era stabile. Mentre invece ciò che dovrebbe avviarsi a Riad lascia troppe cose scoperte. È instabile.