L'evasione di stato del trafficante libico

Uccidere per Ragion di Stato: altro che via giudiziaria per il caso Almasri, l’Italia stracci gli accordi con la Libia sui lager

Ha ragione Cacciari, la via giudiziaria non porta da nessuna parte. Il problema è imporre al governo di annullare gli accordi con Tripoli sui lager

Politica - di Piero Sansonetti

2 Febbraio 2025 alle 09:45

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Foto Cecilia Fabiano / LaPresse
Foto Cecilia Fabiano / LaPresse

Nessuno più – neanche nei giornali e nei partiti di destra – sostiene che sia stata una cosa giusta liberare Osama Almasri, cioè organizzare la sua evasione di Stato dal carcere dove era stato portato dalla polizia italiana su ordine della Corte di giustizia dell’Aja. Dicono tutti che è stata una porcheria.

Persino il mitico Bruno Vespa, indignato con gli oppositori del governo, ha scandito questa parola: porcherie. Sostiene che spesso i governi le fanno e non c’è niente di male. Non è – se ho capito ragionamento di Vespa – che il governo non abbia fatto una porcheria ad organizzare l’evasione di un criminale tra i peggiori in circolazione, solo che non è una novità. Ed è legittimo. (Poi non si capisce perché, scusate la digressione, quelli di Askatasuma non dovrebbero occupare le case…).
E allora appare all’orizzonte questa nuova parola magnifica: Ragion di Stato. I sapienti dicono che la ragion di stato è superiore al diritto, è superiore alle leggi, è superiore alla democrazia, e che siccome il governo ha agito per ragion di stato, zitti tutti.

La ragion di stato è un’idea filosofica, non è una norma di legge. Vaghissima. In questo caso parliamo di una presunta ragion di stato che giustificherebbe la copertura, da parte italiana, di un numero incredibile di delitti, omicidi, stupri e stragi che avvengono nei lager libici. In che consiste la ragion di stato? Nel fatto – ci spiegano – che se i libici ne uccidono tanti, quelli che sono morti non possono migrare in Italia. E così limitano gli sbarchi. Più morti e meno immigrati irregolari, meno profughi, meno “negri”. Questa è l’idea di fondo. E uno – dico uno normale, non un politico o un giornalista – magari si chiede: fino a che numero di omicidi può valere la ragion di stato? Cento, mille? O anche molti molti più, con parecchi altri zeri?

E poi un altro si chiede: ma la sicurezza nazionale da difendere, con le sagge iniziative di Piantedosi, quale sarebbe? Cioè qual è il rischio che corriamo se non liberiamo il killer? Che arrivino in Italia cinque o seimila profughi in più e magari pretendano che sia rispettato l’articolo 10 della nostra Costituzione, con la possibilità che qualcuno gli dia ragione? Non è una questione secondaria, questa. Perché nessuno è riuscito a spiegare in che modo l’ipotesi di una ragion di stato possa eliminare il dovere della magistratura ad intervenire in presenza di una notizia di reato. È la stessa pretesa di quelli che dicono: se un una spara e uccide per difendersi non deve essere indagato. Ma questo è impossibile. Se c’è una persona uccisa deve esserci anche una indagine. Poi sarà chi indaga, e successivamente chi giudica, a dire se è stata o no legittima difesa.

Stessa cosa per la ragion di Stato. Io posso anche invocare la ragion di Stato, ma poi qualcuno dovrà decidere se è vero o no. Non è che basta la parola di un ministro o del premier. Dovrà un magistrato stabilire se quei cinque o seimila profughi mettono in pericolo la sicurezza nazionale. Non basta che lo certifichi la Meloni stessa, cioè la persona che può essere sospettata di avere commesso il reato. Mi viene in mente un aneddoto che riguarda Gianni Agnelli. Una volta Agnelli, negli Stati Uniti finì a un tavolo di poker con lo Scià di Persia, fuggito da Khomeini. A un certo momento il piatto salì in modo impressionante, milioni e milioni, perché sia Agnelli che lo Scià, Reza Pahlavi, rilanciavano di continuo. Alla fine lo Scià si fermò e disse :“Vedo”. Agnelli allora scoprì un punto altissimo: poker di “K”. Lo scià restò impassibile e pronunciò solo tre parole: “poker d’assi”. Agnelli sbiancò (o forse no) e chiese di vedere il poker. Lo scià rimise le sue cinque carte nel mazzo, senza mostrarle, e disse altero: “parola di re”. E si prese il piatto. Beh, vedo una certa rassomiglianza coi fatti di oggi. Mi pare che lei – dico Giorgia – abbia risposto proprio così alle polemiche: “parola di regina…”.

Dice giustamente Massimo Cacciari:Sinistra, non fare il solito errore di rivolgerti alla magistratura per battere com’è tua usanza la via giudiziaria al posto della lotta politica”. Giustissimo. Del resto a me pare che l’idea che tutta questa vicenda debba risolversi in uno scontro tra pezzetti di magistratura e governo (pezzetti: perché poi ci sono altri pezzi di magistratura che invece, da quel che si capisce, sono in combutta col governo) è l’idea che sta animando la politica del centrodestra. Da tre giorni si parla solo di avvisi di garanzia o cose simili, e di complotti dei Pm contro Meloni, e nessuno parla della questione vera. Che ha un nome, difficile da pronunciare ma un nome ce l’ha: Almasri. Ci sono settori dello Stato, o dei governi, o persone fisiche che in passato o nel presente hanno avuto stretti rapporti e accordi con questo personaggio? È la loro verginità da salvare l’oggetto vero della ragion di Stato? Penso di sì.

Benissimo. Salviamola la loro verginità. Figuratevi se siamo noi a chiedere processi o pene! Rinunciamo a chiedere loro conto, di destra o di sinistra che siano (qualcuno anche di centro) per i disastri che hanno combinato. Però andiamo al nocciolo della questione: l’Italia, che è un paese civile e uno stato di diritto, non può firmare carte nelle quali assegna ai tagliagole il compito di tagliare la gola a dei fuggiaschi che cercano salvezza in Italia. Giusto? Invece lo fa da almeno otto anni. E allora la sinistra, invece di sperare un’altra volta nei Pm, dovrebbe concentrarsi lì. I reduci dai campi libici, sopravvissuti, che oggi sono in Italia, questo chiedono. L’Italia stracci gli accordi con la Libia e chieda che siano chiusi i lager. Questa è la battaglia da fare. Il resto è fuffa.

2 Febbraio 2025

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