80 anni dalla liberazione di Auschwitz
Se questo è un uomo, da Aushwitz ai lager libici: dopo la Shoah è il nuovo negazionismo che avanza
Sei milioni. Sono il fardello di morti e di ignominia che l’Europa si porta addosso. Chi si oppose? Praticamente nessuno. Qualcuno non sapeva, qualcuno fingeva di non sapere, qualcuno sapeva e temeva. Qualcuno condivideva.
Editoriali - di Piero Sansonetti

Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no
(Primo Levi, 1946).
Sei milioni. Sei milioni di persone uccise nei campi di concentramento. Appena ottanta anni fa. Ne sopravvissero pochi. Qualcuno è ancora vivo. Qui in Italia, credo, meno di venti. Tra loro i nomi più famosi, Liliana Segre, Edith Bruck, Sami Modiano. Sei milioni: in gran parte ebrei, e poi rom e sinti (quelli che noi oggi chiamiamo zingari, per allontanarli). No: non furono i musulmani gli assassini. Furono i tedeschi. Con l’aiuto degli italiani, soprattutto, e poi dei francesi e di svariati altri governi europei. Chi si oppose? Praticamente nessuno. Qualcuno non sapeva, qualcuno fingeva di non sapere, qualcuno sapeva e temeva. Qualcuno condivideva.
Sei milioni. Sono il fardello di morti e di ignominia che l’Europa si porta addosso. Lunedì cade l’ottantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. È bene che mai e mai e mai ci si dimentichi dell’Olocausto, della Shoah e del Porrajmos, cioè del punto più basso, infame, raggiunto dalla civiltà occidentale. Il fascismo e il nazismo non sono stati un incidente nello sviluppo magnifico e progressivo della democrazia liberale. Sono stati l’espressione feroce dei limiti della nostra civiltà, fondata su valori egoisti e violenti: il guadagno, la concorrenza, la guerra, la supremazia di classe, la norma del più forte. E di conseguenza il razzismo.
Oggi l’antisemitismo dilaga. È bastato un fuoco a farlo divampare in tutto il mondo. In pochi minuti un numero incredibile di persone ha stabilito che opporsi alle politiche violente e dissennate di Netanyahu coincidesse con la denuncia delle malefatte dei “perfidi giudei”. Siamo tornati agli anni Trenta. Lo spettro del sionismo – male dei mali – per giustificare le idee e le parole più orrende. Cosa c’entra – mi chiedo – la difesa del popolo della Palestina con il cancro antisemita? E come si può cadere di nuovo nell’orrore dei pregiudizi e nell’uso di parole faziose e piene di odio? Cosa vuol dire “io non sono antisemita io sono antisionista?” Ve lo dico io. Vuol dire: io sono antisemita.
Pubblichiamo in questo numero del giornale due interviste: una ad Edith Bruck e una a Wiesel. Bruck dice: “ho pena per i miei aguzzini”. Wiesel dice: “non posso perdonarli”. Ha ragione Bruck. Ha ragione Wiesel. Le loro differenze sono la loro grandezza. E ripensando ora ai silenzi sulla shoah, e alle negazioni, il pensiero va ai silenzi di oggi. Penso ai lager in Libia, in Tunisia. Sarà ora di smetterla di coprirli, di finanziarli? O preferiamo fare come fecero quelli di Salò? E trattare Almasri come quelli della banda Koch?