Parola alla scrittrice

Intervista a Edith Bruck: “Posso perdonare per me, non per gli antenati”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

30 Maggio 2023 alle 14:30

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Intervista a Edith Bruck: “Posso perdonare per me, non per gli antenati”

“Giro l’Italia da oltre 60 anni per raccontare ai ragazzi il mio vissuto e nonostante la grande fatica che faccio mi ripagano con le loro lettere, con i loro fiori, credo che sia molto importante. Vado avanti perché secondo me è sempre attuale, siamo sempre coinvolti nelle guerre, nel fascismo, nel razzismo, credo che i ragazzi abbiano bisogno di sapere quindi vado avanti anche se con molta fatica. Mi sono sempre detta che se riesco a cambiare dieci persone, almeno ha senso la mia sopravvivenza – ha aggiunto – Per me è veramente un dovere. Tutti mi dicono che devo imparare a dire di no, ma non ci riesco quindi sono qua e sono dappertutto in Italia”. È la “lezione di Edith”. Che prosegue da 92 anni.

Di origine ungherese, Edith Bruck è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, ne adotta la lingua. Nei suoi libri ha reso testimonianza dell’evento nero del XX° secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Chi ti ama così (Marsilio 1994), (Marsilio 2002), Lettera da Francoforte (Mondadori 2004), Specchi (Storia e Letteratura 2005), Andremo in città (L’Ancora del Mediterraneo 2006), Quanta stella c’è nel cielo (Garzanti 2009), Privato (Garzanti 2010), Mio splendido disastro (Lampi di Stampa 2011), La donna dal cappotto verde (Garzanti 2012), Quanta stella c’è nel cielo (Garzanti 2014), Il sogno rapito (Garzanti 2014), Signora Auschwitz. Il dono della parola (Marsilio 2014), Chi ti ama così (Marsilio 2015), La rondine sul termosifone (La Nave di Teseo, 2017), Versi vissuti. Poesie (1975-1990) (Eum, 2018), Ti lascio dormire (La Nave di Teseo, 2019), Il pane perduto (La Nave di Teseo, 2021, vincitore del Premio Strega), Tempi (La Nave di Teseo, 2021) e Lettera alla madre (La Nave di Teseo, 2022).

E il più recente Sono Francesco (La Nave di Teseo), in cui Edith Bruck scrive del suo incontro con Papa Francesco. “Io purtroppo devo tutto al mio passato: i miei libri, i miei versi, i premi letterari, i riconoscimenti per la mia testimonianza… e forse, anzi sicuro, anche ciò che oggi quasi due miliardi e mezzo di cattolici nel mondo sognano, incontrare Papa Francesco, non a piazza San Pietro, ma nella propria casa, vederlo nel vano della porta di ingresso, increduli, emozionati di fronte alla sagoma bianca che apre le braccia con un sorriso tenero e inonda di calore che chiama l’abbraccio, mentre gli occhi affogano di lacrime”. Di grande impatto emotivo è il docufilm “Dove vi portano gli occhi: a colloquio con Edith Bruck”.

Il titolo del filmato biografico della scrittrice trae spunto dalla risposta data a un gruppo di ex internati nei lager nazisti che, arrivati al confine con l’Ungheria, avevano chiesto “E adesso dove andiamo?” e la risposta fu “Dove vi portano gli occhi”. Nel racconto si ripercorrono l’infanzia, l’adolescenza, la cattura e la prigionia ad Auschwitz, il difficile ritorno dal lager, la vita dopo la liberazione e l’arrivo in Italia. “Sono stata strappata agli affetti e alla quotidianità che ero poco più che una bambina – racconta Bruck nel docufilm -. Sono stata deportata, il mio corpo è stato violato, non capivo come degli esseri umani potessero arrivare a compiere tali brutalità. Una delle prime cose che ricordo con emozione, quando l’incubo finì, fu l’arrivo in Italia, alla stazione di Bologna. Un soldato mi chiese ‘come ti chiami?’. Era la prima volta dopo tanto tempo che una persona mi chiedeva il mio nome. Non ero più solo un numero”.

Di quell’esperienza terribile nei campi, Edith Bruck potrebbe raccontare, e lo ha fatto nei suoi libri, tantissimi episodi. Ne riportiamo uno: “Portavamo con le nostre braccia dei giubbotti ai soldati a otto chilometri da Bergen-Belsen. Ero molto debole, non riuscivo più a portarli e li ho buttati per terra. A quel punto altre ragazze lo hanno fatto, e si è creata sulla neve una striscia di giubbotto azzurri. I soldati hanno chiesto chi avesse cominciato, considerandolo un atto di ribellione. Eravamo sull’attenti, impietrite. Il soldato ha estratto la pistola dicendo che se la “colpevole” non avesse parlato, avrebbe ammazzato ogni seconda persona della fila. Ha cominciato a mirare, allora ho fatto un piccolo passo avanti; mi ha colpito ferendomi dietro l’orecchio e gettandomi a terra. Allora mia sorella maggiore si è scagliata contro il tedesco in mia difesa e l’uomo è caduto. Lei è corsa ad abbracciarmi e abbiamo recitato insieme la preghiera della morte; vedevo con la coda dell’occhio il tedesco che si avvicinava con la pistola in pugno, contavo i suoi passi, ma non mi importava più niente, ero stanca di lottare per la vita. Arrivato di fronte a noi, si è scrollato la neve dai pantaloni e ha rimesso la pistola nella fondina. Pensavo che mi avrebbe torturato con le mani nude ma è indietreggiato e ha detto: “Se oggi una schifosa ebrea osa posare le sue luride mani su un te-de-sco – ha scandito con orgoglio, col tono di chi si sente il Padreterno – allora merita di sopravvivere”.

Un passato che non passa. E che marchia il presente e ipoteca il futuro. Razzismo, intolleranza, guerre. Un antisemitismo che continua a infettare l’Europa. Recentemente, Lei ha messo in guardia sul tentativo in atto, non solo in Italia, di mistificazione della storia. In che cosa avverte oggi questo pericolo?
La storia è già mistificata. Lo è da subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ed è andata avanti sempre di più. Per questo che io da 62 anni che vado nelle scuole a parlare ai ragazzi. Siamo riempiti di mistificazioni. Se un Paese non si confronta col proprio passato allora si può fare qualsiasi cosa. Non credo che né l’Italia né l’Ungheria né tutta l’Europa si siano confrontate con il proprio passato.

Perché questa “rimozione”, signora Bruck?
Perché è difficile fare i conti con i crimini che hanno commesso. Su questo, la scuola insegna poco e male, in famiglia i vecchi hanno poco spazio parlare, non contano niente, e i genitori hanno poca comunicazione con i figli.

I giovani hanno “fame di conoscenza”?
Sì, enorme. Lo posso assicurare. È una cosa incredibile, loro “mangiano” le parole, anche con gli occhi. Hanno bisogno di sapere. Sono chiusi nel loro mondo, comunicano tra di loro, e questo non va. Hanno una “fame” enorme di sapere quello che è accaduto ieri. Loro non lo sanno. È pericoloso per loro, per il loro futuro.

Quando racconta la sua esperienza nei lager nazisti, quali sono le domando che più le vengono rivolte?
Sono fondamentalmente tre, e risentono del fatto che viviamo in un mondo cattolico. Se io perdono, se credo in Dio, se odio.

E cosa risponde loro?
Odiare non odio nessuno. In vita mia neanche quelli della Hitlerjugend (la gioventù hitleriana, n.d.r.), che mi sputavano addosso quando ero nuda nelle parti intime. Mi facevano pena. Una pena enorme.

E sul perdono?
Io posso perdonare per me. Ma non per gli annientati. Se lo facessi, loro non perdonerebbero me. Questa è stata sempre la mia risposta, e continuerà ad esserlo fino alla fine dei miei giorni. Quanto al credere, è la cosa più difficile. Uno dovrebbe spogliarsi nuda. È difficile credere, soprattutto quando si vive in un mondo che non crede. Io ho imparato da una famiglia, quella dei Risi, totalmente agnostici a rispettare ogni vita, anche non umana. Mia suocera salvava le formiche con lo zucchero, Nelo, mio marito, ha liberato un topo dal bagno. Rispettare ogni essere vivente. Avere cura di ogni essere umano di qualunque religione o colore sia.

Oggi non manca il rispetto per l’altro da sé?
Non c’è rispetto. C’è razzismo, c’è discriminazione, c’è un fascismo strisciante, guardi l’attuale governo. Questa destra giustifica il fascismo. È una cosa che spaventa e che trovo davvero molto preoccupante. Basta vedere quello che è accaduto alla Rai…

Lei come se lo spiega?
Vogliono comandare tutti e tutti. Non si possono giustificare. Sono spaventata. Non posso giustificare questo assalto alla Rai. Cambiare tutti quanti, è una cosa penosa. Io credo che l’unica salvezza per l’Italia ancora oggi è Mattarella.

Lei ha avuto modo d’incontrare il Capo dello Stato?
L’ho già incontrato due-tre volte. Lo incontrerò di nuovo il primo giugno. Il suo ultimo discorso è stato di un coraggio e di una onestà intellettuale straordinari, un azzardo per l’Italia attuale, quando riconosce la famiglia arcobaleno…Credo che sia anche un messaggio alla destra.

La forza della memoria. E il rischio dell’oblio.
Ho sentito la mia amica Liliana Segre quando ha detto che con noi finisce tutto, che non ha speranza che rimanga molto della memoria e mi è dispiaciuto molto sentire questa cosa. Io credo che resti qualcosa, che la nostra testimonianza, i nostri libri, i nostri versi, il nostro gridare, i nostri pianti non siano stati inutili. Non per noi, ma proprio per i giovani, per il futuro dei giovani, per un mondo minimamente migliore, sarebbe molto grave se fosse stato vano tutto quello che abbiamo detto, tutto quello che abbiamo scritto e tutto quello che è successo, se sarà dimenticato. Io spero che resti qualcosa.

Lei ha avuto modo di conoscere, e su questo ha scritto un bellissimo libro, Papa Francesco.
Non solo l’ho conosciuto. Lui è venuto a casa mia. Abbiamo parlato per due ore. D’allora ho parlato con lui altre tre volte. Spero di vederlo presto. Ha chiamato per il mio compleanno, il 3 maggio. Poi ne ha parlato in Piazza San Pietro, e mi ha fatto gli auguri in pubblico. Poi mi ha chiamato a casa. Alzo la cornetta e sento una voce dire: Edith? E io: chi parla? E lui: Francesco. Gli ho chiesto anche quando ci vediamo, perché gli sono molto affezionata. Vengo io o vieni tu, ha risposto. Era come parlarsi tra amici, con Francesco, non con il capo della Chiesa cattolica.

Sul piano umano, della persona, cosa l’ha colpita di più di Papa Francesco?
È una figura molto emozionante. Non parlo della piazza, dei suoi discorsi in pubblico. Ma vederlo personalmente, il suo accento, il suo sorriso, l’abbraccio, perché anche lui è un “abbraccione” come me…Molto caldo, molto affettuoso, molto familiare. Non so perché, ma io mi emozione ogni volta, anche al telefono. È talmente umano e questo lo rende ancor più empatico, incisivo. Io ho incontrato anche i due papi prima di lui, e non mi hanno fatto questo effetto. Li ho incontrati in Sinagoga, ed è tutto un’altra cosa. Con la visita a casa mia, Francesco ha lanciato un messaggio che andava molto al di là dei muri dell’antica Sinagoga di Roma. Dopo dieci minuti, lo sapeva mezzo mondo. Mentre dell’incontro alla Sinagoga, hanno detto due parole in televisione, tutto era calcolato, quanto devono dire e cosa, i giornali uguale. I perdoni chiesti da tutti i papi nella Sinagoga non ha fatto grande notizia. Il fatto che Francesco sia venuto a casa ha avuto un effetto universale. Dopo avermi consegnato i suoi doni, un grande volume del Talmud e la Menorah, simbolo di Israele, al contrario di noi, si sentiva subito a casa e parlava con le poche persone presenti in tono familiare, dolce, con il suo accento spagnolo che per qualche verso sembrava infantile, di quel bambino che è in lui e anche in me, due innocenti che si sono incontrati arricchendosi a vicenda di un bene immediato e duraturo. Mentre mangiava la torta di ricotta che avevamo preparato, insieme a tante altre cose sulla tavola, mi chiese cosa stavo scrivendo. Gli mostrai dal mio ultimo libro di versi una delle poesie, intitolata Educazione, lui la lesse e ne chiese una copia. Il suo calore aleggia ancora nella casa, dove la sua figura bianca ogni tanto mi appare sulla poltroncina vuota, che l’attende con nostalgia, per festeggiare i dieci anni di pontificato, per tanti anni ancora con la sua umanità calda che sparge nel mondo e le sue parole, che sono un’invocazione di pace e fratellanza.

Signora Bruck, con l’ebraismo che rapporti ha?
È difficile da spiegare. Dal punto di vista religioso, la mia religione è il comportamento umano. E lo è da tutta la vita. Dalla liberazione dal nazifascismo fino ad oggi, io non ho denunciato neanche i cinque soldati che ho portato a casa dopo la liberazione. Ho dato da mangiare dopo la guerra a dei tedeschi in un campo di transito, erano lì dietro il nostro campo di emigrati con le pentole vuote. Non sono tornata dal campo con un desiderio di vendetta, di rivalsa, con l’odio. Io cerco di dare il mio piccolissimo contributo per cambiare questo mondo disastroso.

Chiedere giustizia, anche per i tanti che non possono più parlare, questa non è una cosa che rimane importante anche a distanza di così tanto tempo?
È molto importante. Quando mi chiedono del perdono, io rispondo che se lo facessi quelli che ho visto morire nei campi non me lo perdonerebbero. Non si può. Questo perdonare è molto cattolico. Io credo che l’uomo debba fare i conti con se stesso e con la propria coscienza per non ripetere quello che stanno facendo da quando il mondo è mondo. Quando uno ammazza qualcuno e poi va a confessarsi, dice dieci ave Maria e poi tutto è finito. Le proprie colpe si pagano e poi si cerca di migliorare la propria vita. Non è che io possa assolvere qualcuno.

Lei ha vissuto una vita straordinaria…
Disastrosa, sarebbe meglio dire.

Perché disastrosa?
Perché ho un vissuto che non passa mai. Un vissuto che non ti abbandona mai, neanche per un attimo, almeno per quanto mi riguarda. Non si può e, aggiungo, non si deve dimenticare neanche un attimo. È un dovere morale testimoniare, andare avanti, per provare a cambiare qualcosa. Papa Francesco mi ha detto dell’importanza di una “goccia di bene” in un mare nero. Io gli ho detto che avevo già fatto una pozzanghera. Abbiamo riso insieme. Io cerco di fare il possibile. E credo, in sincerità, di aver fatto tutto quello che era nelle mie possibilità fio all’ultima goccia di energia. Anche oggi ho avuto un incontro, in video, con una scuola di Ancona. Purtroppo sono scoppiata a piangere. Quasi non riuscivo a finire. I ragazzi mi hanno chiesto se oggi avesse di fronte a sé i suoi genitori, cosa gli direbbe? Non ho retto e sono scoppiata a piangere. Dimenticare non è possibile. Non è possibile e non lo si deve fare. Sarebbe un delitto. Per fortuna che sappiamo ancora piangere. Se non piangiamo più, siamo finiti. Tutto sarebbe finito. Non abbiamo più emozioni. Non c’indigniamo. E io sono, ancora oggi a 92 anni, molto indignata. Pensi a quello che accade oggi e che ci riguarda, non solo l’Ucraina. Ogni cosa dovrebbe riguardarci e indignarci. Non conta solo quello che avviene dietro la porta. Il mondo ormai è connesso, è interdipendente. E poi è inaccettabile quando si vuol piegare la storia, nella sua pagina più orribile, alle ragioni del presente.

A cosa si riferisce, signora Bruck?
Penso a quanto affermato dal presidente dell’Ucraina, quando paragona la tragedia che sta vivendo il suo popolo, gravissima, inaccettabile, alla Shoah. Nulla è paragonabile alla Shoah. Il nazismo è stato una industria della morte. Hanno usato tutto ciò che utilizzabile delle persone, vive o morte. I materassi fatti con i capelli delle persone sterminate…Il solo ricordarlo mi fa star male. Dobbiamo andare avanti, raccontare sempre quello che è accaduto nei tragici anni della seconda guerra mondiale per combattere anche il pericolo di mistificazioni della storia. Le nuove generazioni hanno bisogno di conoscere la storia e vanno messe in guardia su ciò che è stato il fascismo e il nazismo e poi sui pericoli del razzismo che continua ad essere presente anche oggi. Il fascismo è ancora tra noi.

30 Maggio 2023

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