L'anno del governo
Il 2024 è stato l’anno flop del governo. E il 2025 sarà peggio
Questa sera il discorso di fine anno di Mattarella: sarà breve, non drammatico, si occuperà anche della prigionia di Cecilia Sala. Meloni festeggia i successi in politica estera ma è atterrita per il futuro
Politica - di David Romoli
Chi si aspetta che stasera, nel suo decimo messaggio agli italiani, un record, Sergio Mattarella riprenda i toni di estremo allarme per le sorti della democrazia con i quali aveva parlato pochi giorni fa ai vertici istituzionali resterà probabilmente deluso. Dal Colle sui contenuti del discorso filtra pochissimo. Si sa che il Presidente vuole una messa in scena molto sobria, che non intende andare oltre i 15 minuti di discorso e che il capitolo più incandescente, il caso della giornalista Cecilia Sala, ieri era ancora in bianco. Il Presidente aspetta di avere a disposizione il quadro più recente della situazione per decidere come procedere su un terreno minato come quello.
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Il discorso del Presidente
Il Presidente, però, non sembra intenzionato a suonare di nuovo l’allarme rosso. Al contrario, rivolgendosi non alle istituzioni e ai partiti ma ai cittadini, mira a incoraggiare e rassicurare pur non nascondendo le ferite aperte e le ragioni di insicurezza e disagio. Dunque parlerà delle guerre in corso, per ribadire l’importanza della pace ma di una pace giusta, parlerà di precariato e di lavoro sottopagato, di carceri e di disagio giovanile. Anche di giubileo, ovviamente: glissare sull’anno santo appena inaugurato sarebbe una scortesia impensabile per un politico abile e per un cattolico come Sergio Mattarella. Non bisogna però pensare che il capo dello Stato intenda nascondere sotto i tappeti del Colle la sua preoccupazione per lo stato della democrazia e per i rischi, che considera gravi, che gravano sul suo futuro.
Parlando alle istituzioni aveva insistito sulla necessità di evitare divisioni insanabili e contrapposizioni articolate sulla formula amico/nemico perché quello è il fianco esposto della politica e delle istituzioni. Rivolgendosi ai cittadini e agli elettori insisterà sul versante che vede loro e non i partiti come agenti di una situazione minacciosa per la tenuta della democrazia. Quindi insisterà sulla necessità di partecipare, sulla vitalità della democrazia, che è tale solo quando la medesima democrazia è avvertita da tutti come bene comune, dunque quando tutti sentono di partecipare direttamente al suo percorso. Il Presidente intende prima di tutto provare a contrastare l’astensionismo, che di quella disaffezione e mancanza di partecipazione è il segnale più vistoso e immediatamente pericoloso. Ma è probabile che faccia capire di intendere anche qualcosa di più ampio del solo esercizio del diritto/dovere di votare. Potrebbe sottolineare insomma la necessità di partecipare alla democrazia a tempo più o meno pieno e non solo nelle urne, anche perché in assenza del primo requisito sarebbe molto difficile, per non dire impossibile, recuperare il secondo.
La riduzione della politica a un contrasto incapace di trovare momenti di dialogo da un lato, la disaffezione e il disinteresse per la democrazia contribuiscono, ciascun elemento a modo proprio ma con piena omogeneità, al dissolvimento di quella concezione di “bene comune” che il Presidente ritiene invece essenziale perché la democrazia sia davvero tale. La reazione delle forze politiche al suo discorso di due settimane fa fu estremamente deludente. Difficilmente le cose andranno meglio stasera. Perché si arrivi a quel superamento della contrapposizione secca amico/nemico e a un ritorno della partecipazione in nome di una democrazia intesa da tutti come bene comune, infatti, sarebbe necessario che le forze politiche, ma anche gli elettori, rinunciassero alla sfida da stadio, o da guerra civile mimata, che costituisce oggi la più sicura risorsa delle singole forze politiche e soprattutto delle aree contrapposte.
L’anno del governo: come sarà il 2025
L’anno che finisce registra senza dubbio successi vistosi della Premier sul palcoscenico della politica estera e in particolare europea. Ma quanto a scelte politiche capaci di incidere subito sulla vita dei cittadini il bilancio è invece in rosso fiamma. Due giorni fa il Senato ha ratificato una manovra, discussa in realtà solo dalla Camera, tra le più nude e povere della storia repubblicana. I margini di manovra erano troppo stretti anche solo per litigare, essendo inutile assaltare una diligenza di fatto vuota. La premier ha magnificato l’esangue manovra con i soliti toni iperbolici. Più realistico, il ministro Giorgetti ha parlato di “manovra prudente” ed era un eufemismo. Salvo confermare il taglio del cuneo fiscale, misura inaugurata da Draghi, il governo di centrodestra non ha potuto e saputo fare altro. Agli elettori può presentare solo un lungo elenco di promesse disattese, dalle pensioni alla flat tax alla riforma fiscale. I conti macro, per il momento sono soddisfacenti, ma la cosa è di scarsa consolazione per una popolazione impoverita che continua a fare i conti con prezzi della spesa in crescita nonostante il calo dell’inflazione complessiva e salari più o meno da fame.
L’anno prossimo sarà peggio. L’uragano Trump forse non travolgerà l’Europa ma neppure si può pensare che non la tocchi affatto, con i dazi, con la richiesta di aumento delle spese militari o con entrambe le malaugurate voci. La crisi tedesca si riflette già pesantemente sulla produzione industriale di un Paese come l’Italia, che vive di componentistica destinata in buona parte proprio alla Germania. Le regole del nuovo Patto di Stabilità, che sono molto più rigoriste di quanto il governo non racconti, morderanno ancora più a fondo nel 2025. Le promesse non mantenute resteranno tali. Non è che l’opposizione stia messa meglio. Non è riuscita ancora a dar vita a un vero polo alternativo alla destra. Soffre per la mancanza di una leadership riconosciuta da tutti come tale e il tempo inizia a stringere. Soprattutto non è stata in grado di mettere in campo una proposta alternativa concreta e credibile, se si fa eccezione per la proposta di salario minimo portato a 8 euro lordi che è in realtà ben poca cosa. Proposte più serie, come quella di una vera patrimoniale, il centrosinistra o non è in grado di farle o deve farle sottovoce e senza crederci troppo pena ulteriori lacerazioni interne.
Con alle spalle risultati, ciascuno a modo proprio, deludenti, i poli non possono che far ricorso alla chiamata alle armi contro “il nemico”, col quale di conseguenza non possono esserci margini di dialogo e ove ci fossero bisognerebbe bruciarli subito, cosa che peraltro entrambi si industriano di fare se e quando necessario. In un clima simile recuperare la disaffezione o, peggio, scommettere su un ritorno della partecipazione democratica alla vita pubblica è un auspicio obbligatorio per il primo cittadino ma è anche una missione impossibile.
Mattarella, però, insisterà e continuerà probabilmente a martellare anche l’anno prossimo non solo per la preoccupazione – già fragorosamente espressa – sulle sorti della democrazia, ma anche perché è cosciente di quanto necessario potrebbe rivelarsi, nei prossimi anni, saper offrire l’immagine di un Paese unito almeno sui principali elementi di interesse nazionale. Con l’Europa bisognerà probabilmente riaprire una trattativa con l’obiettivo di rivedere le maglie di un patto di Stabilità che Germania e Francia hanno voluto rigido salvo poi essere i primi Paesi a esserne penalizzati. Pensare che possa farlo un Paese dilaniato al vertice e assente alla base sarebbe pura fantapolitica.