Confermato il licenziamento del garante

M5s, Conte stravince e minaccia Beppe Grillo: “Il simbolo non si tocca, non siamo di sinistra”

Beppe posta l’addio al M5s paragonandolo a un Truman Show. Il comico è già al lavoro per la scissione, ma Giuseppi avverte: “Ci vediamo in tribunale”

Politica - di David Romoli

10 Dicembre 2024 alle 09:00

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Photo by Roberto Monaldo / LaPresse
Photo by Roberto Monaldo / LaPresse

Stavolta la vittoria di Conte è completa, senza zone d’ombra o possibili dubbi. Il quorum è stato raggiunto di nuovo ma con 4mila votanti in più rispetto alla prima votazione, che hanno portato l’affluenza dal 54,90% al 61,23%. È salita anche la percentuale dei sì al quesito chiave sull’abolizione del garante, lievitata fino a oltre l’80%. La richiesta del fondatore ed ex garante di ripetere il voto si è così trasformata in un boomerang e in una mazzata finale. Greve come al solito Marco Travaglio, che è il principale grande elettore di Conte, infierisce: “Lo avevano mandato a quel paese, lui ha chiesto di farcisi rimandare e così è stato. Politicamente è stramorto: si è fatto ammazzare due volte”. RIP.

In queste condizioni una scissione e la nascita di una “Rifondazione pentastellata” non sono impossibili ma in ogni caso non sembra possano impensierire Conte. Il vincitore, in una diretta su Fb, canta vittoria a gola spiegata, esulta anche perché nelle ultime settimane si sono aggiunti 8mila nuovi iscritti, segnala che “non ci sono ragioni politiche” per una scissione che sarebbe solo “a favore dell’autocrazia”. In effetti, anche i pochi nomi pesanti che avrebbero potuto esporsi a favore di Grillo, da Di Battista a Virginia Raggi, Mariolina Castellone, hanno evitato di farlo. Chiara Appendino, indicata come antagonista del leader però mai su posizioni grilline, esulta per “la vittoria della democrazia”. Si è esposto in queste settimane solo Toninelli e lo ha fatto anche ieri: “Beppe non si darà per vinto, impugnerà il simbolo e lo farà diventare proprio”.

Questa eventualità preoccupa Conte già di più. In politica i simboli pesano, specialmente per un elettorato come quello rimasto ai 5S. Perdere nome e simbolo sarebbe un guaio. Qui, di conseguenza, l’ex premier passa ai toni ruvidi. Informa tutti – ma in realtà Grillo – di aver già messo al lavoro un team di avvocati, quindi lancia una minaccia esplicita : “Chi si azzarda a intralciare il M5s troverà una solida barriera legale: pagherà gli avvocati, anche i nostri, la lite temeraria, e anche i danni. Questa comunità non può prestarsi a intenti distruttivi”. Stessa minacciosità nei confronti di quanti volessero revocare in dubbio la regolarità della votazione: “Chi rimesta nel torbido la pagherà caramente. Siamo alle meschinità più bieca e io difenderò questa comunità con le unghie e con i denti”.

I fronti sui quali si è combattuta la guerra interna ai 5S erano due: il ruolo di Grillo, ora depennato, e la regola dei due mandati. Gli iscritti hanno supportato, sia pure con maggioranza lievemente meno oceanica, anche l’abolizione del vincolo che per Grillo e Casaleggio era il muro portante del Movimento. Ora il leader promette che verranno eliminati, perché “bisogna competere con gli avversari ad armi pari”. Però “senza carrierismi”. Oddio, e come si fa? Per ora il nuovo padrone assoluto del Movimento non lo dice. Promette di avanzare una proposta che poi, naturalmente, sarà plebiscitata, pardon “sottoposta al voto degli iscritti”.

Il Movimento di Grillo e Casaleggio, quello che per 10 anni ha condizionato e orientato la politica italiana da ieri non c’è più. Che cosa lo sostituirà non è però chiaro. Nel weekend il leader ha fatto imbestalire il Pd affermando che il Movimento “è progressista ma non di sinistra e se si votasse ora ci presenteremmo da soli”. Non si tratta di una riproposizione del “né di destra né di sinistra” cavallo di battaglia del comico sconfitto. Quello significava potersi alleare con tutti e combattere tutti allo stesso modo. Ora Conte limita le opzioni a due: accordo con gli altri partiti del fronte progressista o corsa solitaria, escludendo possibili alleanze con i partiti della destra.

Non significa solo competere per la leadership del Campo Largo, sia in termini di candidatura a premier che di proposte politiche. Vuol dire rifiutare ogni vincolo di coalizione sui singoli temi. Conte infatti martella interrompendo per un attimo il peana: “Domani sarò a Bruxelles e lanceremo una battaglia per dire no al piano di riarmo Ue. Quei soldi devono essere usati per salvare le filiere produttive e impedire che i costi della transizione energetica si abbattano sulle fasce più deboli. E vedremo chi è progressista e chi no”.

Finché si tratta di sfidare il Pd nella gara a chi è più progressista, il Nazareno potrebbe anche accettare serenamente. In fondo è nell’interesse dello stesso Pd che i presunti alleati arrivino almeno a un risultato elettorale a due cifre, senza il quale tanto varrebbe dare la partita vinta agli avversari a tavolino. Ma se ciò significa mettere in dubbio fino all’ultimo l’alleanza o chiarire che comunque i 5S voteranno sempre a modo loro le cose cambiano. Perché se da una parte c’è una coalizione, diversificata ma unita, e dall’altro due alleati in contesa permanente non ci vuole molto a prevedere chi ha più chances di vittoria.

10 Dicembre 2024

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