Il via libera a Fitto

Von Der Leyen abbraccia patrioti e xenofobi, i socialisti rassicurano “Vigileremo”

Il Pd sostiene che l’avvento dell’italiano in commissione non cambia la maggioranza. Niente di più falso. E a Strasburgo il voto di fiducia non esiste: ora i Sovranisti hanno la strada spianata

Politica - di David Romoli

22 Novembre 2024 alle 14:00

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AP Photo/Omar Havana – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Omar Havana – Associated Press/LaPresse

Il Pd e la verità si sono presi a pugni parecchie volte nel corso del tempo e qual è il partito a cui non è mai capitato? Stavolta però il negare l’evidenza al noto grido “Negare sempre, negare tutto” raggiunge vertici quasi inarrivabili. La tesi è semplice, e del resto fatta propria dall’intero Pse sia pure con qualche decibel, in meno. Raffaele Fitto rappresenta nella Commissione europea l’Italia tutta, non il governo. Dunque la vicepresidenza che gli è stata assegnata non implica affatto modifiche nella maggioranza che in luglio votò Ursula von der Leyen per la seconda volta presidente della Commissione né tanto meno modifiche nella linea politica della medesima Commissione e dell’Unione.

La tesi non potrebbe essere più falsa e peraltro la contraddizione con quanto gli europarlamentari del Pd affermavano sino a pochi giorni fa è tanto stridente quanto clamorosa. Ma anche più eloquenti sono i nudi dati di fatto. I Verdi italiani hanno deciso di non aspettare lunedì prossimo, come il resto del loro eurogruppo, per decidere cosa faranno nel voto finale sulla Commissione, mercoledì prossimo nell’aula di Strasburgo. Voteranno contro ma è quasi certo che tutta la cinquantina circa degli europarlamentari Verdi negherà il consenso alla squadra di Ursula, forse con la formula del no aperto o forse con una più anonima astensione. In ogni caso che siano fuori dall’intesa di luglio è già certificato dall’assenza della loro firma in calce al documento in 9 punti firmato mercoledì da Popolari, Socialisti e Liberali.

Quelli verdi non saranno i soli voti mancanti. La delegazione francese dell’eurogruppo socialista ha già annunciato il suo no, altrettanto farà “con molta amarezza” l’eurodeputato eletto come indipendente nelle liste del Pd Tarquinio. Tra i Popolari saranno gli spagnoli, delegazione folta, a bocciare la commissione perché non accettano la vicepresidenza di Teresa Ribeira. Ma questi sono casi di dissenso all’interno dei singoli gruppi. La defezione dei Verdi invece implica ufficialmente una modifica nella composizione della maggioranza. Ci sarà infatti il voto di FdI e forse di altre delegazioni del gruppo dei Conservatori, Ecr, e chissà che, se proprio necessario, non arrivi qualche salvagente anche dalle file più radicali, quelle dei Patrioti. Il cambio di maggioranza è dunque ufficiale e indiscutibile.

Non si tratta di uno slittamento di poco conto. Verdi e FdI (o peggio) hanno visioni opposte su un fronte centralissimo nella politica europea: il Green Deal. Immaginare una sostituzione indolore sarebbe più che ingenuo. Il Pd, per bocca del suo capogruppo alla Camera Boccia, giura che sarà “vigile” in particolare proprio sul Green Deal: “Se von der Leyen si sposterà a destra noi non ci saremo”. Applicata al Parlamento europeo è un’affermazione stentorea ma priva di alcun senso. A Strasburgo il voto di fiducia non esiste. Una volta incassato il semaforo verde mercoledì prossimo i socialisti non avranno alcuna arma per ostacolare l’eventuale spostamento a destra. Salvo naturalmente il voto dell’aula dove però, sul tema del Geen Deal e non solo su quello, correrebbero in soccorso gli altri gruppi di destra, i Patrioti e i Sovranisti.

Quello spostamento è più che probabile. Per la semplice ragione che sul Green Deal, come sull’immigrazione, i Popolari sono molto più vicini alle posizioni della destra che a quella dei partiti con cui votarono in luglio. È vero che in questi mesi sui temi della guerra e dell’economia FdI e i Conservatori hanno sempre votato con i partiti della sedicente maggioranza, ma ciò rende ancora più stretto il vincolo tra loro e i Popolari, non essendoci di fatto sostanziale punti d’attrito. La realtà è che l’alleanza di luglio è sempre stata posticcia e tenuta insieme con uno spago liso. Quella tra i Popolari e i Conservatori è un’intesa politica, cementata dal rapporto personale tra la presidente di Bruxelles e quella di Roma.

Il rapporto tra Ursula e Giorgia, e delle due con la presidente popolare dell’europarlamento Roberta Metsola, è sempre stato molto forte. Proprio von der Leyen è stata sin da subito la prima e principale sponsor in Europa di quel protocollo con l’Albania che in Italia il Pd bersaglia quotidianamente. Pare che mercoledì sera, nel fuoco dell’ultimo scontro, proprio Ursula si sia impuntata per lavare “l’umiliazione subita da Meloni in luglio”. A maggior ragione la sola vera intesa politica nella prossima Commissione sarà tra Popolari e Conservatori, o almeno tra Ppe e la principale delegazione dei Conservatori, quella italiana.

22 Novembre 2024

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