Diario di un medico soccorritore

Diario di un soccorritore: trovata una barca vuota, già salvati o morti in mare?

"Molte piccole cose qui hanno significato, ogni minimo cambio di rotta decide della vita di chi è in acqua", scrive il medico di bordo

Cronaca - di Nikolas von Kameke

15 Settembre 2024 alle 08:00 - Ultimo agg. 15 Settembre 2024 alle 11:57

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Foto: Pietro Bertora
Foto: Pietro Bertora

Dal mio diario di bordo.

Siamo usciti in mare da Siracusa in Sicilia. Finora abbiamo avuto da fare formazione e teoria – d’ora in poi diventa tutto concreto. Si parte. Per prima cosa abbiamo lanciato in acqua i Rhibs (Rigid Hull Inflatable Boats, cioè i due gommoni veloci di salvataggio). Ogni volta c’è molto da migliorare. Questa volta ci concentriamo sulla comunicazione radio con il ponte. La mia posizione è il teamlead sul secondo, più piccolo gommone. Per mia grande gioia, quasi tutti i membri del gruppo hanno lavorato insieme, il che naturalmente rende molto più facile. Anche questa volta nell’equipaggio molte persone fantastiche con background molto vari. Veniamo da 12 Paesi diversi. È semplicemente favoloso lavorare con così tante persone che sono qui perché la cosa è importante, per scelta. Passeremo i prossimi giorni a sud della costa italiana per completare le esercitazioni. Presto saremo nella zona Sar (Search and Rescue, ricerca e soccorso) a nord della Libia.

Al momento le persone non fuggono solo dalla Libia, ma anche sempre più spesso dalla Tunisia. Il regime lì ha indurito ancora la persecuzione degli stranieri, ancora più massiccio è il movimento di fuga principalmente verso l’Europa. Come – probabilmente – pianificato, la Tunisia ha stretto accordi vantaggiosi con l’Europa. Per poter rimandare indietro in Tunisia i rifugiati, la Tunisia è stata dichiarata un «Paese d’origine sicuro», è nella lista dei Paesi sicuri. Questa lista vergognosa dice purtroppo poco della sicurezza effettiva (soprattutto per i rifugiati e le minoranze) in questi Paesi, ma dice molto del panico dell’Unione europea e la sua spinta a sbarazzarsi velocemente delle persone migranti. Ogni giorno, la guardia costiera tunisina cattura migranti nel Mediterraneo, dopo che la politica stessa del regime tunisino contro i migranti li ha spinti attraverso l’acqua nell’unica direzione sicura – l’Europa. Moltissimi migranti catturati sono stati deportati il mese scorso nel deserto al confine con la Libia. Senza cibo e acqua. Se sopravvivono, possono riprovare dalla Libia, uno stato inesistente che ottiene anche un sacco di soldi e navi veloci dall’Ue per «fermare» i migranti. Quindi è un sistema meravigliosamente autosufficiente.

Ma torniamo a questa nave: lentamente si fa buio e c’è l’esercizio notturno con la scialuppa di salvataggio. Qui ci sono sempre momenti molto belli, mi sto già godendo molto il tempo in mare. Solo pochi minuti dopo aver mollato gli ormeggi, siamo stati accompagnati da delfini nella baia di Siracusa. Lo prendo come un buon segno. Qui incontriamo la grande fauna del mare quasi ogni giorno: oggi abbiamo già visto diverse specie di tartarughe marine e l’ultima volta – per me per la prima volta – anche uno squalo. Era solo, a 20 metri dalla nostra scialuppa di salvataggio. Era uno squalo sorprendentemente grande che s’è messo a fare i suoi cerchi. Abbiamo rinunciato ad avvicinarci, per non disturbarlo. Un membro dell’equipaggio del mio gommone diceva che si può tentare di attirare gli squali come si fa coi gatti, voleva muovere sotto l’acqua una bottiglia di Pet vuota. Dopo un paio di tentativi l’ho consigliato di usare la mano sinistra…

***

L’esercitazione per simulare un soccorso con grande quantità di feriti gravi è appena finita e sono seduto per la pausa pranzo all’ombra. Il sole è alto, siamo già più a sud di Malta. Nel mare tranquillo faremo l’ultimo allenamento questo pomeriggio e probabilmente da domani mattina inizieremo a cercare naufraghi nel nord della Libia. Le navi di pattuglia in mano ai libici, finanziate dall’Italia colpiscono i gommoni dei migranti, spesso arrivandogli addosso con forte velocità. Nell’ultima missione, durante un nostro soccorso, un mezzo della cosiddetta guardia costiera libica ha sparato. C’erano ancora persone e l’equipaggio di Humanity 1 ha continuato il salvataggio. Solo quando l’arma ci è stata puntata addosso, i miei colleghi si sono ritirati e hanno dovuto lasciare gli annegati e i fuggitivi ai libici.

Il Centro di coordinamento del salvataggio marino italiano (Mrcc) di Roma dall’anno scorso ha sviluppato una strategia molto efficace per bloccare il salvataggio civile in mare: ordina immediatamente dopo il primo salvataggio di andare in un porto lontano, per lo più nel nord Italia, e così facendo obbliga i soccorritori ad andarsene dalla zona dove c’è da fare salvataggi.
Solo se lungo il percorso ci imbattiamo ancora barche in difficoltà possiamo aiutarle. (Quando è il Mrcc Malta il responsabile da chiamare, l’Mrcc alle chiamate di emergenza per necessità di soccorso nessuno risponde. Non rispondono proprio se hanno il sospetto che le persone in difficoltà in mare abbiano un passaporto e un colore della pelle per l’Mrcc di Malta indesiderati.)
Durante un’operazione nello scorso ottobre, di notte e nel mezzo di una tempesta, soltanto dopo lunghe discussioni con l’Mrcc di Roma siamo riusciti a soccorrere una trentina di persone in difficoltà. Nel corso della notte il tempo è peggiorato, sono sicuro che se non avessimo lottato per dire che noi le persone abbiamo l’obbligo di salvarle, quelle persone non sarebbero sopravvissute.

Così succede che le navi di salvataggio, compresa la nostra, sono obbligate da Roma a lasciare la zona do da pattugliare per cercare naufraghi e sono costrette a tornare verso l’Italia con la nave mezza vuota, anche se ci sarebbe ancora molto spazio per altri naufraghi. Nella nostra nave c’è spazio per diverse centinaia di persone, e ci obbligano a tornare indietro con la nave mezza vuota.
Siamo stati autorizzati a salvare solo 90 persone da 3 barche in una delle mie ultime missioni. Spesso ordinano di tornare indietro con ancora meno persone a bordo. È così che succede. L’Ue non vuole salvare le persone che naufragano. Questa è la ragione per cui il confine meridionale dell’Ue continua ad essere il più letale del mondo.

L’agenzia di protezione delle frontiere dell’Ue, Frontex, ha droni e aerei in uso, ma questi di solito non collaborano con noi. Di solito chiamano la cosiddetta guardia costiera libica, che poi esegue pull-back illegali, cioè riporta la gente in Libia. Alcuni decenni fa, le nazioni marittime si sono date leggi che, tra l’altro, regolano il salvataggio in mare. Una di queste opere si chiama Solas (Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare). Nell’allegato 34, il punto 6 ordina che i sopravvissuti siano portati in un “luogo sicuro”. Devono essere fatti scendere, quindi, in un porto sicuro. La Libia non è un porto sicuro. È un paese in guerra civile, Le persone catturate dalla cosiddetta guardia costiera libica vengono sbattute in celle senza procedimenti giudiziari . Ci restano di solito per molti mesi o addirittura anni, di solito fino a quando non viene pagato un riscatto. Lì, la tortura e lo stupro sono all’ordine del giorno, non sono eccezioni. E la Carta dei diritti umani garantisce alle persone il diritto di fuggire.

Perché parlo sempre della «cosiddetta guardia costiera libica»? Il termine “guardia costiera” insinua che si tratterebbe di un’organizzazione statale regolamentata. Questo non è i il caso. L’accordo tra Europa e Libia si basa sulla cooperazione dell’Unione europea con i più potenti signori della guerra sulla costa del paese, e in questo modo, con i nostri soldi di contribuenti, finanziamo i pull-back illegali e quindi le violazioni dei diritti umani che avvengono in Libia e l’incarcerazioni di aventi diritto a richiedere rifugio. I soccorritori civili in mare sono quindi, come attori non statali, nell’assurdo ruolo di far rispettare i diritti umani che gli Stati si sono dati. E di monitorare quel che avviene avendo contro quegli stessi Stati, ci creano ostacoli, ci impediscono di farlo. In questo senso, il salvataggio in mare non ha molto in comune con posizioni particolarmente di sinistra o con intenti rivoluzionari, il salvataggio in mare dei migranti rende concreto il diritto delle persone ad essere salvate, secondo le regole vigenti che gli Stati che quelle regole si sono dati non rispettano. Ora la pausa pranzo sta per finire e vi saluto calorosamente.

***

Da ieri mattina siamo nella zona di ricerca e salvataggio (Sar). Questo è di solito per me il tempo più estenuante. È un gioco continuo di tensione e lasciarsi andare – anche se quest’ultimo di solito non mi riesce davvero. Sentiamo costantemente di nuove emergenze in mare, cerchiamo di trovarli queste barche in difficoltà nell’enorme zona Sar a nord della Libia, le acque internazionali dove attualmente siamo l’unica nave di salvataggio. A seconda di quanto è distante la barca in difficoltà da trovare, facciamo turni di più persone a controllare il mare con i binocoli dal ponte più alto della nave, il topdeck. Faccio fatica a non oscillare tra la speranza di trovarli e la paura di ciò che possiamo trovare. Voglio aiutare e il mare che vedo attraverso le lenti del binocolo lo vedo vuoto. Sono arrabbiato con le autorità internazionali e orgoglioso di questa di persone con cui sono in mare.

Cosa possiamo fare con la nostra enorme e lenta nave su questo vasto mare? Questa mattina ho avuto il mio primo turno di vedetta sul ponte coi binocoli: 90 minuti a fissare concentrati l’orizzonte: la metà inferiore acqua, la metà superiore cielo. È una cresta d’onda all’orizzonte? O una piccola barca che è apparsa tra le valli delle onde per una frazione di secondo? Posso continuare a ruotare il binocolo e lasciare l’onda a sé stessa? O se lo faccio sono colpevole di aver trascurato 30 persone in difficoltà in mare? Troverò di nuovo quel punto quando tornerò indietro a guardare tra pochi minuti? Il collega, che sta di turno con me perché siamo in doppio look out, vede un piccolo oggetto luminoso tra le onde. Quattro minuti dopo lo vedo anche io: un tanica gialla, forse un nuotatore o una rete da pesca improvvisata.

Stacco gli occhi dal binocolo e guardo intorno per rilassare lo sguardo, guardo il cielo alla ricerca di droni e aerei di Frontex e anche il mare intorno, ci potrebbero essere imbarcazioni trascurate mentre guardavo al binocolo. Molto vicino alla nostra nave passa un tubo gonfiato da un pneumatico dell’auto. Quel tubo racconta una storia completamente diversa: persone che fuggono e i loro soldi sono troppo pochi anche per quei rottami che galleggiano a fatica. Usano i tubi allora, li portano come un anello di nuoto di emergenza.

Scrivere queste impressioni mi aiuta, il mio cuore è spezzato. Moltissime piccole cose qui hanno un significato, ogni minimo cambio di rotta può avere un ruolo nella vita di chi è in acqua. E ogni oggetto in mare ha una storia. Ieri sera abbiamo trovato una barca, era vuota. Sento orrore quando avvisto alla deriva e abbandonate. Cosa è successo alla gente? Sono finiti tutti nella tempesta dei giorni passati? Sono stati catturati dalla cosiddetta guardia costiera libica? O sono stati salvati? Passando molto vicino a quella barchetta abbiamo potuto vedere dentro il graffito con la data di una settimana fa e una cifra chiave che vuol dire che sono stati salvati. In questo momento sto ascoltando nella nostra radio di bordo: “Brigde, Bridge, Lookout” – “Lookout, Bridge, go ahead” – «Piccolo bersaglio bianco 12 o’clock, puoi controllare il radar?!» – «Distanza per favore?» – «Horizon line». Di nuovo silenzio. Probabilmente è solo una barca da pesca. Ma forse no.

(1/CONTINUA)

di: Nikolas von Kameke - 15 Settembre 2024

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