L'ex premier in difficoltà
Conte rischia, il veto a Renzi e la strana minaccia al M5S: “Se mi cacciate, me ne vado”
Rottura tra il leader pentastellato e Renzi e continue spaccature interne al Movimento mettono l’ex premier in difficoltà: vale la pena rischiare tutto per il campo largo?
Politica - di David Romoli
Giuseppe Conte si è imbarcato di nuovo in un gioco pericoloso, anzi nel gioco più pericoloso che ci sia per il centrosinistra: quello dei veti, spesso incrociati. Elly Schlein, che con quello scoglio all’interno del partito e a maggior ragione del campo largo o stretto che sia, deve fare i conti, da quando è segretaria si era forse illusa che l’incubo fosse finito. Invece era solo una pausa. Ieri, con un’intervista fiume su La Stampa, il leader dei 5S è tornato all’attacco col pollice verso nei confronti di Renzi: «Sarà impossibile offrire spazio a chi negli anni non ha mai dimostrato vocazione unitaria ma solo capacità demolitoria e ricattatoria». Niente di personale, per carità. È solo che non ci si può fidare «di chi da tempo più che politica fa affari in giro per il mondo».
La frecciata sull’affarismo di Renzi serve soprattutto a offrire un alibi all’“avvocato del popolo” che in fondo, essendo stato alleato di Salvini e con Salvini al governo, tanto titolo per censurare le giravolte politiche di chicchessia non ce l’avrebbe. In realtà gli affari di Renzi sono il problema minore. Un po’ pesa il carattere di Conte, che non dimentica i torti e se la lega al dito come pochi. Considera e non a torto Renzi il principale responsabile della sua cacciata da Chigi per far posto a Draghi e non si è scordato quella cocente umiliazione. Ma molto di più pesa la guerra interna al Movimento, lo scontro con Grillo che, a seconda di come deciderà di muoversi il padre fondatore, potrebbe rivelarsi più pericoloso del previsto. Conte mette sul tavolo la sua permanenza alla guida del Movimento. Se l’Assemblea costituente, nel prossimo autunno, boccerà la sua linea di adesione piena al centrosinistra sarebbe «il primo a trarne le conseguenze». Non che sia proprio un grande sforzo. La bocciatura della linea del leader equivarrebbe alla sua cacciata dal posto di comando. È un po’ come se dicesse «Se mi cacciano me ne vado».
Ma Conte, a fronte dell’attacco frontale di Grillo e di un folto gruppo di ex pezzi da novanta del Movimento, sa di dover mettere sulla bilancia qualcosa per controbilanciare il passo senza ritorno in direzione dell’alleanza con il Pd, Non può esporre il fianco alla critica che lo dipingerebbe come rassegnato a una postazione subalterna. Prima delle europee il miraggio era competere per la candidatura a premier, in forza della sua popolarità e delle indiscusse doti mediatiche. Le urne del 9 giugno hanno spazzato via quella illusione, ma il problema resta. Il veto ai danni dell’ex segretario del Pd, che peraltro deve fare i conti con una robusta resistenza anche all’interno della sua Italia viva, serve a dimostrare che il Movimento ha voce in capitolo e almeno in parte le mani sul timone del vascello del centrosinistra. Del resto, per lo stesso motivo Conte non si ferma qui e rilancia di brutto sulla politica estera. Come se nulla fosse, insiste per il ritiro dell’ambasciatore da Israele, un passo che per Elly equivarrebbe al suicidio all’interno del Pd ma scarta anche in materia di Ucraina, dicendosi contrario all’offensiva di Kiev: «Con questa azione non siamo più nella logica della difesa perché contribuisce attivamente all’escalation». Pur confermandosi contrarissimo all’invasione russa, il leader dei 5S sottolinea poi che «nel 2022 c’era già una concreta proposta di accordo per la pace che è stato fatto saltare».
Né la segretaria del Pd né il diretto interessato, Renzi Matteo, hanno reagito all’affondo. Entrambi sanno perfettamente che Conte ha bisogno di sparate del genere, quasi in stile Salvini, per prepararsi al possibile scontro con Grillo nella prossima Costituente 5S e non danno quindi troppo peso alle sue parole. Per la leader del Pd, peraltro, tornare indietro a questo punto e accettare quella logica dei veti che ha determinato il disastro delle ultime elezioni sarebbe impossibile. Meglio quindi non attizzare la fiamma e aspettare che Conte, una volta vinta la battaglia nel Movimento, torni su posizioni più ragionevoli. Ma il gioco è appunto pericoloso, perché il frequentissimo ricorso ai veti incide non solo sulle trattative di vertice ma anche sulla disposizione degli elettori che spesso prendono i giuramenti ultimativi più sul serio di chi li pronuncia e puniscono i ripensamenti nelle urne.