Conflitto permanente

Netanyahu e la guerra: perché gli israeliani sono stanchi del premier e di combattere

Le immagini dei manifestanti che hanno protestato sotto casa del primo ministro sono state emblematiche. Il paese è spaccato e sta attraversando una lunga crisi politica culminata negli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre: i cittadini non vogliono più morti da ambo le parti, non vogliono più essere bersagli dell'antisemitismo

Editoriali - di Andrea Aversa

11 Novembre 2023 alle 18:23 - Ultimo agg. 12 Novembre 2023 alle 17:31

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Netanyahu e la guerra: perché gli israeliani sono stanchi del premier e di combattere

Una donna che urla contro un poliziotto. Sullo sfondo una bandiera israeliana. Probabilmente quella persona era una familiare dei circa 200 ostaggi rapiti da Hamas durante il barbaro attacco subito da Israele lo scorso 7 ottobre. Non so se in passato, quando lo Stato Ebraico è stato coinvolto in un conflitto, una parte dei cittadini sono andati a manifestare fuori la casa del premier. Addirittura, due giorni fa, hanno provato ad ‘assaltarla‘. Di solito lo Stato di Israele, istituzioni e cittadini, sono sempre stati uniti nel rispondere a un attacco e nel condurre una guerra. Questa volta non è così e quelle immagini ne sono la dimostrazione.

L”assalto’ alla casa di Netanyahu: l’immagine che ha colpito tutti

Israele sta attraversando da anni una lunga crisi politica. Il Paese è andato a elezioni ben cinque volte negli ultimi quattro anni. L’ultima sfida elettorale è stata vinta proprio da Benjamin Netanyahu, il primo ministro più longevo della storia di Israele, in totale al potere per 15 anni. La coalizione di ‘Bibi‘ è tra le più radicali e di destra che abbiano mai governato lo Stato Ebraico. Una maggioranza le cui politiche hanno esasperato i rapporti tra coloni e palestinesi in Cisgiordania. Un esecutivo che ha dato per scontata la possibilità di proseguire nell”occupazione‘ di quel territorio attraverso la costruzione di nuovi insediamenti. Una coalizione che ha voluto dimenticare la questione palestinese, ha sottovalutato Hamas ed ha spostato l’asse socio-culturale degli israeliani verso una maggiore ortodossia.

La fragilità di Israele e le responsabilità di Netanyahu

Eppure, uno dei tratti distintivi della democrazia israeliana è sempre stato proprio la sua laicità e la capacità di isolare le frange più estreme della società ebraica. Ma il 7 ottobre il castello è crollato e le fragilità di Israele sono emerse come un fiume in piena. Senza considerare le proteste della società civile contro la riforma della giustizia avallata proprio da questo governo. È in questo stato che Israele si è ritrovato a combattere una delle guerre più crudeli degli ultimi decenni. Uno scontro che sta mettendo a dura prova la sua esistenza e il suo futuro. Questo è lo scenario che sta consumando lo Stato Ebraico e il suo popolo. È evidente che gli israeliani sono stanchi. Sono stanchi di dover vivere, anzi sopravvivere a uno stato di guerra perenne. A doversi ogni volta difendere da nemici che ne predicano l’estinzione e la distruzione.

Chi è Benjamin Netanyahu, il premier che nessuno vuole più al potere

Stanchi di politici che non sono riusciti a trovare una soluzione per una convivenza pacifica con i palestinesi (al netto degli accordi di pace rifiutati dalla controparte). E anche in questo senso l’attuale guerra con Hamas potrebbe essere un significativo punto di svolta. Potrebbe esserlo anche per i rapporti geopolitici tra israele e gli stati arabi. Questi ultimi sono infastiditi dall’interventismo di Hamas. Non è un caso che l’impegno di Netanyahu si è concentrato principalmente sugli aspetti diplomatici e di politica estera. Così sono nati gli Accordi di Abramo. Patto stipulato con stati musulmani come gli Emirati arabi uniti, il Bahrain, il Marocco e il Sudan. Era già pronta la firma di Riyad, un avvenimento clamoroso che avrebbe portato il reciproco riconoscimento, in modo ufficiale, tra lo Stato Ebraico e la potenza dell’Islam sunnita, l’Arabia Saudita. Ma la guerra e lo zampino dell’Iran hanno stravolto tutto, ricompattato – almeno in facciata – il fronte arabo e isolato Israele. ‘Bibi‘ è persino riuscito a far infuriare l’alleato di sempre, gli Stati Uniti, impegnati su troppi fronti a pochi mesi dalle elezioni presidenziali.

Gli israeliani stanchi di combattere e dell’antisemitismo

Infine gli israeliani sono stanchi di subire le conseguenze dei combattimenti. Si sta parlando di una comunicazione main stream di parte. A sostegno delle ragioni dello Stato Ebraico. In realtà sia sui media tradizionali e soprattutto su quelli ‘digitali’ (i social, usati dai giovani) il dibattito, diventato – purtroppo – scontro ideologico, è diventato abbastanza equilibrato. Ma veniamo ai fatti: tranne due manifestazioni, una a Roma organizzata da Il Foglio e una di qualche giorno fa a Milano per chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani, le piazze si sono mobilitate solo per i palestinesi e – giustamente – per le vittime civili di Gaza. Proteste dove spesso ci sono stati striscioni e cori antisemiti. Dove sono stati urlati slogan privi di qualsiasi significato e che non sono in grado di offrire proposte per il famoso e mai realizzato principio dei “due popoli, due stati“. Perché bruciare la bandiera con la Stella di David? Perché boicottare le università e le industrie israeliane? Episodi di odio e violenza contro gli ebrei sono esplosi in tutta Europa. Avvenimenti che hanno fatto andare la memoria indietro nel tempo, a quelli che sono stati gli anni più bui per il popolo ebraico.

Il futuro di israeliani e dei palestinesi

Ecco, forse gli israeliani non vogliono più pagare per gli errori commessi da chi li governa. Errori che li rende ‘nemici‘ dell’opinione pubblica, degli ignoranti e degli estremisti. Di giovani che conoscono poco la storia ma che sono influenzati da un sistema culturale e universitario rimasto agli anni ’70, dove la sinistra (soprattutto radicale) ha creato una sua egemonia del pensiero. Gli israeliani, gli ebrei, sono dunque additati come quel popoloforte, potente‘, alleato degli americani e dell’Occidente, degno di essere messo alla gogna, da quell’anti-occidentalismo, da quell’anti-americanismo e da quel sentimento anti-ebraico e anti-israeliano che si manifestano ogni qual volta si verificano queste tragedie in Medio Oriente.

La cultura ideologica: la propaganda anti ebraica, anti israeliana, anti occidentale e anti americana: due pesi e due misure

Come se le nazioni arabe non avessero responsabilità. Una propaganda che colpisce non i politici o i governi ma tutti gli ebrei e gli israeliani in quanto tali. E le prove ci sono: si contano sulle dita di una mano, le manifestazioni organizzate per le vittime dello Yemen, della guerra civile siriana, della brutale repressione esercitata dal regime iraniano. Quelle per le vittime armene, curde, rohingya, tibetane, uigure. Per i dissidenti bielorussi, georgiani, turchi. Niente più mobilitazioni per gli ucraini. Nessuna protesta contro il neo imperialismo promosso da Cina, Russia e Turchia. Solo per fare alcuni esempi. Troppe volte si dimentica che il dissenso e il proprio pensiero li si può esprimere solo se si vive in una democrazia.

L’ipocrisia del pacifismo

Forse quella donna a Gerusalemme avrebbe voluto urlare tutto questo a Netanyahu. Con la speranza di riabbracciare i propri parenti rapiti dai terroristi di Hamas, per poi vivere in pace. Senza più guerre.

11 Novembre 2023

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