Due paesi, due stati
Dopo 30 anni dagli accordi di Oslo, tutti i trattati di pace falliti tra Israele e Palestina: e oggi un patto è più lontano che mai
Il 13 settembre del 1993 ci fu l'iconica stretta di mano tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin davanti a un sorridente Bill Clinton. Poi l'omicidio del premier israeliano cambiò la storia. Nel 2000 ci fu il grande rifiuto del leader palestinese degli accordi di Camp David. Oggi, l'occupazione dei territori da un lato e il terrorismo dall'altro, sono più radicati e forti che mai. Nel mezzo la diplomazia e l'economia con gli Accordi di Abramo
Esteri - di Andrea Aversa
L’accordo prevedeva l’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese che avrebbe governato in autonomia su alcuni dei territori presenti in Cisgiordania (la parte palestinese che apparteneva alla Giordania) e su Gaza (precedentemente zona controllata dall’Egitto). L’Anp avrebbe avuto anche una forza militare e di sicurezza propria che in accordo con l’esercito israeliano avrebbe prevenuto qualsiasi focolaio terrorista. Israele avrebbe mantenuto l’egida su alcuni territori occupati con lo scopo di difendere i propri confini. Si era trattato di un primo passo, entro cinque anni sarebbe dovuto nascere un vero e proprio stato palestinese.
Tutti i trattati di pace falliti tra Israele e Palestina
Era questo il succo degli ‘Accordi di Oslo‘ (così chiamati perché firmati nella capitale norvegese), dei quali oggi ricorre il 30esimo anniversario. Un processo di pace iniziato con il presidente Usa George H. Bush nel 1991 e concluso nel 1993 da Bill Clinton. Ma nel 1995, a Tel Aviv, il sogno ‘dei due popoli in due stati‘ fu stroncato da un attentato che uccise Rabin. L’autore fu un fanatico della religione ebraica contrario all’accordo. Il governo laburista cadde, la destra vinse e un giovane Benjamin Netanyahu divenne premier per la prima volta. Purtroppo quello non rimase un caso isolato. Ecco tutti i trattati di pace falliti tra Israele e Palestina.
Il tentativo di ‘Bibi’
Proprio Netanyahu per dare seguito al percorso iniziato da Rabin, strinse un patto con Arafat: Israele si sarebbe ritirato dalla città santa di Hebron, lasciando la porta aperta a possibili e futuri accordi di pace. Ma il processo naufragò, il premier israeliano perse le elezioni successive e il dialogo tra le parti si interruppe per l’ennesima volta. Una possibile svolta è arrivata nel 2000, in quell’anno fu forse offerta la più grande opportunità alle autorità palestinesi, sia in termini di legittimità che per la creazione di un proprio stato. Pure in quel caso le trattative si rivelarono un enorme fallimento.
Camp David
A quei tempi in Israele era premier il laburista Ehud Barak. Sotto la sua guida, il dialogo con Arafat subì un’accelerata. Per la prima volta dopo l’assassinio di Rabin, un accordo tra lo stato ebraico e quello palestinese sembrava molto concreto. Barak propose di concedere ai palestinesi la totalità dei territori presenti in Cisgiordania, più la striscia di Gaza, con Gerusalemme Est capitale. Ma Arafat pretese che nel patto fosse anche compreso il rientro di tutti i profughi palestinesi fuggiti o espulsi da Israele. Il leader arabo però, voleva che essi tornassero a vivere nei confini dello stato ebraico e non in quelli del possibile e nuovo stato palestinese. Barak fu costretto a rifiutare.
Da Sharon a Olmert
In Israele salì al potere Ariel Sharon. La sua passeggiata provocatoria sulla Spianata delle Moschee accese la scintilla per la seconda intifada palestinese. Tuttavia, l’ex generale, intraprese anche lui un percorso di pace: sotto la sua guida lo stato ebraico si ritirò da Gaza smantellando i propri insediamenti. Ma proprio quando erano in corso nuove trattative e il dialogo tra i due avversari sembrava ripreso, Sharon fu colpito da un ictus che lo estromise dalla scena politica. Il suo successore Ehud Olmert non ebbe neanche il tempo di iniziare un processo di pace: il suo governo fu travolto da scandali legati alla corruzione. Così tornò al potere Netanyahu.
Abu Mazen, Hamas e gli accordi di Abramo
Anche dal lato palestinese le cose erano intanto cambiate. Quando nel 2004 morì Arafat, a capo dell’Anp salì Mahmoud Abbas noto come Abu Mazen. La sua storia, oltre che dalle numerose controversie, accuse e gaffe, sarà segnata per sempre da un fatto storico: la spaccatura interna al mondo politico e militare palestinese che portò la frange terrorista di Hamas a governare la Striscia di Gaza. Di recente i rapporti tra Israele e il mondo arabo in generale sono stati caratterizzati da un processo di ‘normalizzazione’. Sono di tre anni fa gli Accordi di Abramo, un patto storico che lo stato ebraico ha firmato con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan. E probabilmente nel futuro prossimo, a questo elenco di paesi, potrebbe aggiungersi l’Arabia Saudita.
L’aumento delle tensioni
Tuttavia i rapporti tra Israele e Palestina sono più tesi che mai. Il governo di estrema destra che è alla guida dello stato ebraico, vorrebbe fare della ‘Terra dei Padri‘ una nazione confessionale. Sta legittimando una politica estrema sull’occupazione dei territori ed è molto contrario a qualsiasi apertura nei confronti dei palestinesi. D’altro canto, questi ultimi, sono guidati da gruppi terroristici. Se a Gaza c’è Hamas che periodicamente lancia razzi contro israele, in Cisgiordania si è insediata la jihad islamica, i cui membri sono spesso autori di attacchi in territorio israeliano. La frange è sostenuta da Hezbollah e quindi dall’acerrimo nemico dello stato ebraico: l’Iran.