Uccisi altri 44 civili
Israele continua ad uccidere nella Striscia, Hamas a caccia dei “collaborazionisti”: la tregua a Gaza già scricchiola
I militari di Tel Aviv uccidono 44 civili e denunciano la mancata consegna di 20 delle salme. La replica: “Sono tra le macerie, le stiamo cercando”. Partita la caccia dei miliziani ai collaborazionisti
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Non è crisi, ma il segno che l’attuazione dell’accordo su Gaza è tutt’altro che in discesa. Israele ha deciso di chiudere da oggi il valico di Rafah, al confine sud della Striscia di Gaza con l’Egitto, e di ridurre il transito di aiuti umanitari fino a quando non avrà ricevuto da Hamas i corpi degli ostaggi deceduti. Lo riferisce l’emittente televisiva israeliana «Channel 13», secondo cui, con l’attuazione di questa decisione, la leadership politica di Israele ha seguito le raccomandazioni degli apparati di sicurezza che consigliavano di imporre sanzioni ad Hamas in caso di mancato rispetto delle clausole dell’accordo per il cessate il fuoco.
Dopo il rilascio di 20 ostaggi vivi, Hamas avrebbe dovuto consegnare i corpi di 28 ostaggi, ma ne ha restituiti soltanto quattro. All’origine della mancata consegna di 24 salme vi sarebbe la difficoltà a trovarli a causa dei bombardamenti dei mesi scorsi, che Hamas aveva segnalato più volte. Non è la prima volta che Israele utilizza la «politica» del blocco degli aiuti alla popolazione stremata. Diverse organizzazioni internazionali, dalla Caritas all’Unrwa, in questi mesi hanno accusato Israele di usare «la fame della popolazione come arma di guerra».
La restituzione delle salme degli ostaggi è una «sfida enorme» e l’operazione «richiederà tempo» data la difficoltà di localizzare i resti sotto le macerie a Gaza. Lo ha affermato un portavoce della Croce Rossa Internazionale sottolineando le difficoltà maggiori rispetto alla liberazione dei rapiti vivi. «Potrebbero volerci giorni o settimane, e c’è la possibilità che non vengano mai ritrovati», ha sostenuto.
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Doveva essere annientato. E invece… Invece Hamas ha iniziato a schierare combattenti armati e polizia in diverse zone di Gaza, apparentemente nel tentativo di riaffermare la propria autorità nella Striscia, dopo l’accordo di cessate il fuoco concordato con Israele la scorsa settimana. Come riferisce il Guardian, le immagini arrivate lunedì dal rilascio degli ostaggi israeliani mostrano decine di combattenti di Hamas in un ospedale nel Sud di Gaza, mentre continuano a registrarsi scontri ed esecuzioni in altre zone della Striscia. I canali Telegram associati ad Hamas hanno affermato che “collaboratori e traditori” sono stati presi di mira, riferendosi alle milizie sostenute da Israele nel territorio, mentre uomini armati di Hamas hanno ingaggiato violenti scontri con una potente famiglia locale, la «famiglia» Daghmoush, a Gaza City nel fine settimana. Notizie ufficiose parlano di scontri a fuoco, persone eliminate, caccia all’uomo.
Hamas ribadisce il ruolo di potere dominante, tiene il territorio, cerca di eliminare le sacche di resistenza rappresentata da alcuni clan storici o recenti. Oltre ai Daghmoush sono in linea di tiro i seguaci di Hussam al Astal e Abu Shabab, piccole realtà nate con l’aiuto di Israele. Nell’elenco dei bersagli sono poi finiti i «collaborazionisti», veri o presunti, braccati dagli affiliati alla polizia speciale di Hamas, la Arrow Unit, nata proprio con questo scopo. È improbabile che la violenza minacci immediatamente l’attuale accordo di cessate il fuoco con Israele, ma solleva notevoli preoccupazioni sul disarmo di Hamas, fa notare il Guardian, una clausola chiave sebbene poco definita dell’accordo, e sulle sfide che dovrà affrontare la nuova forza di stabilizzazione formata da truppe regionali e dovrebbe essere schierata a Gaza.
Ma a Gaza si continua a morire
Sono 44 i palestinesi uccisi e 29 i feriti dalle forze israeliane a Gaza nelle ultime 24 ore. Lo riferisce al Jazeera citando fonti del ministero della Sanità della Striscia. Il ministero ha reso noto che 38 corpi sono stati estratti da sotto le macerie e altri ancora sarebbero intrappolati. Sei i palestinesi uccisi da un bombardamento israeliano su Gaza City e Khan Yunis, nel nord e nel sud della Striscia, nonostante la tregua in vigore nell’enclave. Lo riferisce l’emittente panaraba qatariota al-Jazeera, secondo cui ci sono stati anche numerosi feriti. In particolare, fonti dell’ospedale Al Mamadani hanno riferito che cinque civili sono stati uccisi quando droni israeliani hanno aperto il fuoco su persone che stavano ispezionando le proprie abitazioni nel quartiere di Shujaiya, a est di Gaza City. Le forze israeliane, in una dichiarazione, hanno affermato di aver aperto il fuoco per rimuovere una «minaccia», dopo aver individuato dei «sospetti» che tentavano di oltrepassare la «linea gialla» nella Striscia di Gaza.
Nel nord della Striscia, una fonte dei servizi di emergenza ha riferito del ferimento di alcuni palestinesi da parte delle forze israeliane nella zona di Halawa, a Jabaliya al Balad. Nel sud, fonti palestinesi hanno reso noto che una persona è stata uccisa e altre sono rimaste ferite dal fuoco di un drone israeliano nella località di Al Fakhari, a est di Khan Yunis, mentre il complesso medico Nasser ha riferito del ferimento di due persone da parte delle forze israeliane. Intanto, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) afferma che la quantità di macerie a Gaza sarebbe sufficiente a riempire tutto il Central Park di New York con uno strato alto 12 metri o a costruire 13 piramidi giganti a Giza, in Egitto. Jaco Cillers, rappresentante speciale dell’amministratore dell’Undp per un programma di aiuto ai palestinesi, afferma che secondo le ultime stime congiunte delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e della Banca Mondiale, per ricostruire Gaza saranno necessari 70 miliardi di dollari. Tale cifra è stata calcolata a settembre ed è superiore ai 53 miliardi stimati a febbraio.
«I danni e le macerie stimati in tutta Gaza ammontano a circa 55 milioni di tonnellate», ha affermato, «un altro modo per descriverlo, oltre all’esempio di Central Park che ho citato, è che equivale anche a 13 piramidi di Giza». «Questa è l’entità e la portata della sfida», ha aggiunto Cillers durante una conferenza stampa delle Nazioni Unite a Ginevra, in videoconferenza da Gerusalemme. Ha detto anche che nei prossimi tre anni saranno necessari 20 miliardi di dollari, mentre il resto sarà necessario in un periodo più lungo, forse decenni. Cillers ha sottolineato i «buoni segnali» provenienti da potenziali donatori, come quelli del mondo arabo, dell’Europa e degli Stati Uniti, senza specificare ulteriori dettagli.
Trump spera nella «ricostruzione di Gaza» e afferma di non aver ancora deciso sulla soluzione dei due Stati. E ai giornalisti a bordo dell’Air Force One che lo riportava in America da Sharm el-Sheikh ha risposto: «Stiamo parlando di ricostruire Gaza. Non sto parlando di uno Stato unico, di uno Stato doppio o di due Stati. Stiamo parlando della ricostruzione di Gaza. Molte persone apprezzano la soluzione di uno Stato unico. Alcune persone apprezzano la soluzione di due Stati. Vedremo. Non ho ancora rilasciato dichiarazioni in merito», scrive il Guardian, citando le parole del presidente Usa. Cessate il fuoco non è sinonimo di pace. Per questo la mobilitazione per la Palestina va rilanciata. Per porre fine all’occupazione illegale della Cisgiordania, consentendo la nascita di uno stato palestinese, è decisivo che l’Italia e l’Unione europea interrompano ogni relazione commerciale con gli insediamenti illegali israeliani.
Senza farsi condizionare dal piano di pace americano che, pur rappresentando un passo indispensabile per la fine del genocidio nella Striscia di Gaza, manca di ogni rifermento al destino dell’area e alla difesa del diritto di autodeterminazione del popolo palestinese”, l’appello lanciato da Amnesty International Italia, COSPE e Oxfam Italia, promotrici della campagna Stop al commercio con gli insediamenti illegali, con una coalizione di oltre 20 organizzazioni. Una richiesta – sottolinea una nota – che arriva alla vigilia del Consiglio Ue dei ministri degli Esteri e del Consiglio europeo del 20 e 23 ottobre, ribadita ieri alla Camera dei Deputati nel corso di un incontro con le forze politiche e Basel Adra, regista palestinese Premio Oscar con “Non Other Land”, che ha portato la propria testimonianza.
“Solo da gennaio sono stati sfollati con la forza oltre 40 mila persone palestinesi dai campi profughi di Jenin, Tulkarem, Nur Shams e Al-Far’a a causa delle operazioni militari e degli attacchi dei coloni protetti dall’esercito di Israele, che si sono moltiplicati: sono centinaia le vittime dall’inizio dell’anno. Nel frattempo, è stata approvata la costruzione di 3.400 nuove unità abitative in un blocco che collega Gerusalemme Est e l’insediamento illegale di Ma’ale Adumim”, si spiega. “Nonostante questo contesto però l’Unione europea ad oggi resta il primo partner commerciale di Israele, con un volume totale di scambi di 42,6 miliardi di euro nel ‘24. L’Italia nello stesso anno ha importato beni e servizi per oltre 1 miliardo di euro, con un volume totale di scambi pari ad oltre 4 miliardi”, prosegue la nota.
“Oggi in tutta Europa sono presenti prodotti provenienti dalle colonie illegali, ma etichettati ‘Made in Israel’ a causa di politiche doganali incoerenti o disapplicate. – sottolinea Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – Per questo motivo chiediamo con forza che l’Italia, rispettando il parere consultivo emesso dalla Corte Internazionale di giustizia nel luglio 2024, adotti uno strumento normativo nazionale, che preveda la sospensione degli accordi commerciali italiani con Israele e porti il governo ad assumere una decisa posizione a favore della revisione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele includendo questo ambito”.
“L’idea che l’attuazione delle prime disposizioni di un precario accordo tra Hamas e Israele debba far dimenticare due anni di crimini di diritto internazionale e distogliere l’occasione dalla quotidiana illegalità praticata dallo stato israeliano e dai suoi coloni nella Cisgiordania occupata è profondamente errata”, ha aggiunto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Una pace giusta non si concilia con colonie e occupazione. Un messaggio forte e chiaro.