Cadaveri e macerie

Cosa sta succedendo in Siria, a Suwayda è calma apparente dopo l’orrore della guerra

Dopo i raid israeliani e gli attacchi di fazioni islamiste, nella provincia siriana la desolazione fa da sfondo a un orrore ancora vivo

Esteri - di Giovanna Cavallo

23 Luglio 2025 alle 09:00

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AP Photo/Omar Sanadiki
AP Photo/Omar Sanadiki

Dopo giorni di scontri violentissimi, aggressioni e saccheggi, il centro di Suwayda si presenta oggi immerso in una calma solo apparente. Le strade sono pressoché deserte, le saracinesche abbassate, mentre palazzi incendiati e saccheggiati fanno da sfondo ad un orrore ancora vivo: i corpi dei civili giacciono senza vita lungo le strade, perfino attorno all’ospedale centrale, dove nessuno riesce ancora a recuperarli. I residenti si muovono con estrema cautela, consapevoli che alcuni degli assalitori potrebbero essere ancora nascosti tra le rovine dei quartieri bombardati. Solo ieri, le fazioni locali hanno catturato un cecchino nei pressi del centro. Gli ultimi centri pesantemente attaccati da fazioni islamiste connesse ai sunniti delle zone rurali meglio conosciuti come comunità beduine sono Shahba e Arika.Non conosciamo ancora il numero dei morti, i cadaveri sono rimasti sulle strade dopo i combattimenti”, racconta H.A., residente del centro cittadino che in questi giorni ha continuato a inviare aggiornamenti regolari.

I video girati per le strade restituiscono l’immagine di una provincia spettrale, devastata e fumante. Si vedono decine di uomini armati a presidiare l’ingresso dei quartieri civili. Tra i villaggi fuori la cinta cittadina, particolarmente drammatica la situazione nel villaggio di Al-Thaala completamente incendiato e saccheggiato. “Non è rimasto nulla, né case né persone”, racconta un testimone locale. Le ultime denunce che emergono riportano per i villaggi come Al-Tayri, Umm Harteen, Qarasa, Al-Mazraa e Masaken al-Kahraba i segni evidenti dei saccheggi e degli incendi. L’Ing. Faras Al-Baaini, direttore dei Servizi Tecnici del Governatorato, intervistato dalla testata indipendente AlRasad (l’Osservatore) spiega la drammatica assenza di servizi nella città di Shahba, e lancia un appello per trovare soluzioni rapide. La città ora ospita circa 100mila cittadini senza acqua né elettricità, con l’unico ospedale gravemente sotto organico e senza farmaci. Nella zona est della città, dove molti si sono rifugiati, uno degli sfollati racconta: “La situazione non è affatto buona. Non ci sono elettricità né acqua. La connessione telefonica e internet è tornata in parte, ma i bisogni primari restano insoddisfatti.” Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), almeno 128.571 persone sono state sfollate a causa delle ostilità.

Mentre gli scontri innescati da rapimenti e rappresaglie, sono rapidamente degenerati in violenze settarie, Israele ha condotto decine di attacchi aerei nella provincia di Suwayda, colpendo postazioni governative e milizie “filo-beduine”. Un’azione che ha aggravato la tensione e aumentato la frammentazione interna. Diversi residenti denunciano un ruolo destabilizzante: “Israele stringe la popolazione con l’acqua alla gola”, accusano mentre la crisi umanitaria raggiunge livelli drammatici. Domenica mattina, fonti statali siriane hanno confermato l’evacuazione di circa 1.500 beduini mediante autobus verso la periferia e un convoglio umanitario della Mezzaluna Rossa, composto da 32 veicoli, è riuscito a entrare in città, mentre quello governativo è stato respinto, segno della profonda sfiducia “giustificata”. L’appello lanciato da diversi esponenti locali e da membri della diaspora in Italia chiede aiuti umanitari immediati per la popolazione civile. In mezzo alla devastazione, è grazie al lavoro instancabile di giornalisti locali, reporter e attivisti civili che oggi disponiamo di prove e testimonianze fondamentali. In questi giorni, hanno filmato e fotografato aggressioni, intimidazioni, saccheggi ed esecuzioni, spesso ignorate dai media ufficiali. Nonostante la dichiarazione del presidente Ahmad al-Sharaa di un cessate il fuoco di due giorni fa, le violazioni sono continuate.

Per evitare che tutto venga dimenticato o cancellato, sono stati creati canali Telegram per raccogliere e archiviare le prove, con l’intento dichiarato di costruire un dossier e impedire l’impunità dei responsabili. Tra queste prove, una confessione video diffuso da SyrDoc mostra un soldato catturato e appartenente al Ministero della Difesa siriano.  L’uomo ammette che l’attacco contro Suwayda è stato condotto con l’intento deliberato di violenza contro i civili. A completare il quadro di orrore, sui muri di Suwayda sono state documentate scritte estremiste con minacce dirette di sterminio, parte di una campagna sistematica di pulizia religiosa. Tra i graffiti apparsi sulle case saccheggiate si leggono frasi di odio e colme di minacce, un linguaggio inequivocabile, che evoca l’immaginario jihadista e rivendica l’appartenenza a una visione settaria e violenta del conflitto. A Suwayda, città simbolo della resistenza civile e della convivenza interreligiosa, queste parole sono percepite non solo come una provocazione, ma come una minaccia esistenziale.

È in questo contesto che si fa sempre più fragile il percorso di transizione auspicato da ampi settori della società civile. Una priorità per le comunità siriane e per le componenti del Governo, come da loro spesso dichiarato. Un percorso che puntava alla ricostruzione dal basso, alla giustizia comunitaria e a una Siria unita e pluralista, ma che oggi sembra in serio pericolo, schiacciato tra pressioni armate, ingerenze straniere, vendette settarie e disillusione crescente. La popolazione di Suwayda, aveva iniziato a contribuire e neanche un mese fa, attraverso assemblee locali, “aveva eletto alcune commissioni civiche per tenere vivo uno spiraglio di autodeterminazione”, dichiara Maen. Ma senza garanzie di sicurezza e giustizia, la transizione rischia di trasformarsi in un vuoto, colmato da chi vuole imporre il proprio dominio con la forza. Siamo tornati indietro. Oggi è il tempo del lutto, e delle lacrime dei familiari uccisi. È il tempo delle indagini sui crimini, delle responsabilità per le decine di violazioni dei diritti umani, per punire chi ha promosso e permesso saccheggio e devastazione. Ora serve tempo e azioni per ristabilire la sicurezza, per smettere di avere paura.

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23 Luglio 2025

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