L'ultima deriva degli Stati dell'illecito

Nessuno Stato ha licenzia di omicidio politico: l’ultima deriva della guerra che fa smarrire i diritti fondamentali

Con la guerra stiamo smarrendo i diritti fondamentali che servono a limitare anche le leggi. Scienziati, capi da stato, possono essere ammazzati preventivamente anche se non sono criminali e neppure processabili.

Esteri - di Massimo Donini

29 Giugno 2025 alle 07:00

Condividi l'articolo

AP Photo/Richard Drew, File – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Richard Drew, File – Associated Press/LaPresse

Ci sono quelli che “non gli fa schifo niente”, pronti oggi a spiegare le ragioni di Netanyahu e di Trump o i vantaggi che potrebbero scaturire dai nuovi interventi. Potremmo decidere di non leggere più i loro commenti che sono impedienti, più che disturbanti. Perché ci sono guerre che non sentiamo nostre. Forse nessuna, ma sicuramente non quelle che sistematicamente violano i diritti fondamentali delle popolazioni, o che servono a distogliere l’opinione pubblica dai più gravi crimini contro l’umanità commessi. Anche noi siamo vittime indirette di questi tempi oscuri. Ma dobbiamo fissare dei punti fermi nel diluvio degli eventi. Perché è in gioco la nostra identità nel mondo e non quella dei capi di Stato. Dunque, non possiamo limitare lo sguardo all’orizzonte dei grands récits che ormai non sono più grandi narrazioni “universali” (forse non lo sono stati mai), se non per la propaganda nazionalista che le sorregge.

Ed è così che fissiamo il punto cruciale. L’occidente non ha più una sua identità perché sono ritornate le nazioni a occuparne il campo. Ci sono sempre state le nazioni, ma non erano al centro identitario delle grandi organizzazioni internazionali. Se avvertiamo come nazionalista la guerra contro l’Iran, come la guerra di Trump e Netanyahu, così come è nazionalista la guerra di Putin, allora qualche nostro statista dovrebbe riassumere il senso della storia, anziché dimenarsi alla ricerca di improvvidi consensi. Perché noi ci sentiamo rappresentati solo da narrazioni che ci conferiscano una identità e un senso di essere nel mondo attuale. E questa identità non è costituita dal pensiero che Israele e Stati Uniti “stanno facendo il lavoro sporco per noi” (dottrina Merz). Si tratterebbe, in fondo, della solita delegazione di interventi armati, ma senza l’autorizzazione di Onu o altre organizzazioni rappresentative. Secondo gli scenari classici che hanno sempre visto la democrazia (sic) solo intenzionalmente esportata con le armi o col pretesto di salvare qualcuno da armi nucleari o di distruzione di massa in preparazione, o di attacchi proditori da parte dei “nemici” (ricordiamo tutti la vicenda di Saddam Hussein e poi tutte le precedenti manipolazioni, dalla guerra in Vietnam, con la Risoluzione del Golfo del Tonchino, a ritroso). Attendiamo che tra qualche anno un film americano lavi le coscienze plaudendo a una democrazia che sa sempre ritrovare la strada della verità.

Ma noi non saremo più tra il pubblico. Sorry. Il canovaccio è davvero logoro, buono solo per le generazioni che non sanno, non hanno visto, non hanno memoria. Come la storia che agli israeliani, poiché gli ebrei sono stati vittime dell’Olocausto, è tutto permesso. Abbiamo da tempo superato questi tabù collettivi. Parliamo invece di quello che succede veramente oggi. Da un lato, valgono sempre le massime latine: Inter arma silent leges. E Si vis pacem para bellum. Sono al centro del presente. Inesorabili regole della guerra. Eppure, qualcosa di nuovo è accaduto. Non sono le leggi in senso stretto che vengono tacitate dai conflitti armati. Sono i diritti fondamentali. Le leggi valgono sempre, perché assicurano solo strategie di governo, non quello che conta davvero. Le leggi, le leges, sono strumenti di governo. Sono i diritti, gli iura, che ne rappresentano un limite e un criterio di razionalità diverso dal mero comando, a costituire l’essenza di ciò che conta. Le leggi senza i diritti non vincolano le coscienze, sono solo parole armate. Con la guerra stiamo smarrendo gli iura. L’imbarbarimento dei valori è arrivato al punto che si dice pubblicamente ciò che pubblicamente viene compiuto: l’omicidio individuale dei presunti nemici.

Non si tratta di nemici in guerra, ma di persone ritenute pericolose per gli interessi in conflitto: scienziati e capi di Stato possono venire uccisi preventivamente. Non sono criminali, non sarebbero neppure processabili in alcuni casi. Sono solo enemies. Non militari, però, come non lo erano i terroristi a Guantánamo. La questione è già stata sollevata (Gideon Levy): chi dà il diritto di uccidere Khamenei e non Netanyahu? Putin e non Trump? Ma la questione è più profonda: non si tratta del diritto di decidere chi, ma del diritto in sé. Uccidere il militare nemico è un atto di guerra. Uccidere un avversario politico non è un atto di guerra, perché è, e resta, un omicidio politico. La conseguenza di questa distinzione è che oggi viene presentato pubblicamente come azione plausibile l’omicidio politico se commesso dagli Stati. Ma poiché gli Stati non hanno questo diritto, non si capisce perché non dovrebbero avere il medesimo pseudo-diritto gli individui. Ciò che fanno gli Stati è uguale a ciò che fanno i terroristi. La differenza è solo nella forza.

I giuristi si sentono oggi senza strumenti, delegittimati dalla logica della forza, e del non diritto. Eppure, devono sapere descrivere lucidamente quello che accade, perché anche lo Stato dell’illecito, per citare il Radbruch che denominava così lo Stato nazista, deve essere definito per poter diventare oggetto di resistenza. Dobbiamo trovare le parole. Sono fondamentali le parole. Neppure si tratta di diritto naturale, in questo caso, ma di semplice non diritto. Al non diritto si può opporre un contrasto legittimo di resistenza individuale e collettiva. Ma anche una qualche conseguenza formale. Le forme di questa resistenza sono varie, ma i primi a dover prendere atto della sua rinascita sono i nostri governanti: non possono legittimare l’omicidio politico, che è un atto di terrorismo di Stato. È un atto criminale, penalmente perseguibile. Se lo fanno si rendono complici di uno Stato dell’illecito, dei nuovi Stati dell’illecito, perché invece di “scrivere la storia”, come sarebbe nelle loro ambizioni, stanno solo ripetendo le sue innumerevoli devianze e aberrazioni.

Contro nemici che neppure sarebbero processabili, le condotte omicide non hanno coperture giuridiche: i loro autori sono nudi di fronte al delitto che commettono, e lo sguardo attonito del mondo, istupidito da migliaia di bombe e morti di massa, è costretto a fermarsi. Dall’insensata carneficina che ha annullato tutti i diritti, la scelta di colpire singole persone riporta allo sguardo una verità dimenticata. Sono singoli, sono persone. Non sono popolazioni. Forse è per questo che si può riuscire, davanti alle persone singole, a ritrovare la bussola, il centro dei valori perduti. Il nostro compito è di ricordare le nostre radici, e agli Stati che le hanno dimenticate, che è proprio del modello nazista di Stato dell’illecito che stanno ripetendo le gesta, da vittime ad autori. E la memoria storica dei nostri governanti, tiepida e altalenante, non può più vacillare. Dovrebbe anzi cercare qui il punto di Archimede per risollevarsi.

29 Giugno 2025

Condividi l'articolo