La presa di posizione della Spagna
Von der Leyen a rischio, i socialisti minacciano la crisi a Bruxelles: e Sanchez terremota l’Ue sull’intesa con Israele
Alta tensione a Bruxelles. Von der Leyen nel mirino dei socialisti che minacciano di lasciare la maggioranza. Schlein sta con Madrid: “Basta affari con Israele”
Esteri - di David Romoli

Di fronte ai colpi di maglio di Donald Trump, il cui tentativo di sfondare l’Unione europea una volta per tutte è palese e quasi dichiarato, l’Unione stessa dovrebbe saper fare muro. Invece è più che mai divisa ed è una divisione di ogni tipo: tra gli interessi contrastanti dei diversi Stati membri, sui singoli dossier come immigrazione e Green Deal, all’interno della stessa precaria maggioranza faticosamente messa insieme dopo le elezioni europee. Come possa una Ue così ridotta reggere alla doppia offensiva americana su riarmo e dazi è un enigma al momento irrisolto.
Il viatico per uno dei Consigli europei più delicati della storia della Ue, quello che si è aperto ieri a Bruxelles e si concluderà oggi, non avrebbe potuto essere peggiore. Il gruppo europeo del Pse, Socialisti e Democratici, si riunisce prima dell’inizio dei lavori e quando lascia la sala la leader del Pd italiano, che nell’eurogruppo conta la delegazione più numerosa, spara ad alzo zero sulla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e sul partito di ampia maggioranza relativa, il Ppe. Le tensioni non sono una novità. Sin dalla nascita di una stentata nuova “maggioranza Ursula” composta da Ppe, Pse e Verdi, la presidente e il Partito popolare hanno giocato di sponda con la destra, i Conservatori di Giorgia Meloni ma se del caso anche i Patrioti di Orbàn, Le Pen e Salvini, ogni volta che è stato necessario affondare pezzi del Green Deal detestato dai Popolari quanto dalle due destre.
L’ultima mazzata in ordine di tempo è stato il ritiro imposto dalla destra di una direttiva sull’ambiente arrivata a un passo dal traguardo. La presidente degli eurodeputati Pse Garcia Perez, dopo una sfuriata a quattr’occhi con Ursula, aveva già notificato l’esasperazione del Pse: “Così non si può andare avanti”. Ieri Elly ha aggiunto un carico pesante: “I nostri voti non possono essere dati per scontati, dal momento che il Ppe non si sente vincolato a un patto di maggioranza con le forze europeiste. Non possiamo accettare che qualcuno pensi a maggioranze diverse a seconda dei suoi interessi, la politica dei due forni”. Ma Schlein va al contrattacco anche sulla questione del riarmo all’indomani del vertice Nato. “L’aumento della spesa militare al 5% rischia di ipotecare il futuro delle prossime generazioni. In Italia parliamo di un aumento cumulativo nei prossimi dieci anni di 445 miliardi. Rischia di essere la fine dello stato sociale, vuol dire mettere fine al sistema al servizio sanitario nazionale di sanità pubblica”. Quanto la minaccia di staccare la spina a Ursula sia temibile è incerto. Nell’europarlamento non esiste voto di sfiducia: per tradurre in pratica la sua ribellione il Pse dovrebbe votare contro il bilancio europeo, precipitando l’Unione nel caos nel momento peggiore. Ma in ogni caso la ormai conclamata inesistenza di una maggioranza nel Parlamento europeo è destinata a destabilizzare comunque la già traballante Unione. Il Pse è all’attacco anche sul fronte di Gaza.
L’Unione, sin qui, è stata inesistente. La premier italiana è stata molto attiva, negli ultimi giorni e anche al vertice dell’Aja, nel cercare una proposta in grado di portare al cessate il fuoco. Ma il premier spagnolo Sanchez non si accontenta delle parole e reclama sanzioni contro Israele, sino alla denuncia dell’accordo commerciale della Ue con lo Stato ebraico. “A Gaza – ha detto il premier spagnolo – c’è una situazione catastrofica di genocidio: appoggiamo la richiesta dell’Onu di accesso degli aiuti, di cessate il fuoco e andare avanti verso la soluzione dei due stati”. “Israele – ha proseguito Sanchez – sta violando l’articolo due, quello sui diritti mani, dell’accordo tra Ue e Israele: oggi chiederò la sospensione immediata di questo accordo. Non ha nessun senso che abbiamo portato avanti 18 pacchetti di sanzioni contro Mosca per la sua aggressione all’Ucraina e poi l’Europa, in un doppio standard, non è capace nemmeno di sospendere un accordo di associazione con Israele dopo le due sue continue violazioni di diritti umani”. Il Pse è sulla stessa linea. Elly tira le somme della posizione decisa nel pre-vertice dell’eurogruppo: “Chiediamo di sospendere l’accordo di cooperazione, un embargo totale delle armi da e verso Israele e sanzioni contro il governo Netanyahu”. Ma contro le sanzioni e la denuncia dell’accordo sono schierati Paesi pesanti come la Germania e l’Italia.
La Spagna socialista è al centro anche di un altro dossier, quello dei dazi. Mancano ancora due settimane alla scadenza della tregua dichiarata da Trump, il 9 luglio, ma ovviamente la questione è già all’odg. Una parte dell’Unione, tra cui l’Italia, è favorevole ad accettare la stessa mediazione del Regno Unito, dazi non oltre il 10%, altri Paesi ritengono quella percentuale troppo alta e inaccettabile. A complicare le cose c’è appunto il caso spagnolo. Sanchez, pur avendo firmato il documento della Nato sull’impennata della spesa militare, non intende dar seguito a quell’impegno e ha incassato ieri la piena solidarietà di Elly Schlein. Il premier socialista spagnolo considera il 2,1% del Pil devoluto in armi e sicurezza sufficiente e comunque insuperabile senza ricorrere a nuove tasse o a tagli feroci sullo Stato sociale. Trump lo minaccia di rappresaglia con dazi particolarmente duri ma la trattativa sulle tariffe non è sui singoli Paesi: è con l’intera Ue. In un negoziato che nelle prossime due settimane sarà particolarmente delicato e a rischio di naufragio il caso della Spagna potrebbe montare sino a diventare un guaio di prim’ordine.