Manifestazioni in tutta l'America

Proteste anti-Trump a tappeto, gli USA in piazza: in America è il No King’s Day

Fermato dagli agenti a Los Angeles il senatore latino, Alex Padilla, che aveva provato, identificandosi, a porre una domanda durante la conferenza stampa di Kristie Noem, Segretaria per la Sicurezza

Esteri - di David Romoli

14 Giugno 2025 alle 09:00

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AP Photo/Wally Skalij – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Wally Skalij – Associated Press/LaPresse

È il “No King’s Day”, il giorno in cui l’America griderà in piazza di non essere disposta a sottomettersi alle fantasie regali di un presidente che cerca il potere assoluto. Le manifestazioni saranno 1500, dislocate in 1400 località diverse. Dovrebbe essere la più forte protesta di piazza da quando The Donald si è insediato alla Casa Bianca. Oggi il presidente compie 79 anni e caso vuole che proprio in questa storica giornata abbia deciso di celebrare i 250 anni delle forze armate americane con una parata militare a Washington, la più sfarzosa dal 1991.

Sfileranno 6mila soldati, in divise sia attuali che del passato, 150 carri armati e 50 aerei si leveranno in volo, con tanto di acrobazie e lancio di paracadutisti. La parata con la quale Trump vuole celebrare più se stesso che l’esercito costa 50 milioni di dollari e ha irritato prima di tutti proprio i veterani delle guerre in Afganistan e Iraq, che hanno appena visto decurtati i fondi per l’assistenza agli ex militari. Proprio la capitale è una delle poche città in cui non ci sarà protesta per strada. Trump aveva promesso ferro e fuoco contro le proteste: “A chi protesta si risponderà con grande forza. Sono persone che odiano l’America”. Gli organizzatori hanno scelto di non cadere nel tranello spostando la marcia in un anello di località alle porte della capitale, mettendola così di fatto sotto assedio.

Va da sé che la manifestazione è prevista particolarmente folta e soprattutto particolarmente combattiva nello Stato epicentro della protesta, la California. E qui Trump potrà schierare contro i sovversivi e gli invasori non solo le forze di polizia e i marines ma anche la Guarda nazionale, nonostante la sentenza che due giorni fa lo aveva proibito. La guerra santa di Trump contro i migranti, ma in realtà contro chiunque gli si opponga, si combatte nelle aule di tribunale almeno tanto quanto nelle piazze che ogni giorno di più sono riempite dalla protesta. Sulla base dell’ordine restrittivo emesso mercoledì dal giudice distrettuale di san Francisco Charles Breyer, Trump avrebbe dovuto ritirare i quattromila riservisti in forza alla Guardia Nazionale che presidiano Los Angeles. Il giudice aveva infatti accolto il ricorso del governatore della California Gavin Newsom e dichiarato pertanto “illegale” il ricorso ai riservisti, ordinando di “resituire immeditamante il controllo della Guardia Nazionale della California al governatore dello Stato”.

Ieri però nella durissima disfida a colpi di ricorsi e sentenze è stato il presidente a segnare il punto. La Corte federale d’appello del Nono Circuito degli Usa ha sospeso l’ordinanza del giudice federale, restituendo sino a martedì prossimo alla Casa Bianca il controllo sulla Guardia Nazionale californiana. Il Dipartimento di Giustizia, dopo aver definito l’ordinanza “una straordinaria intrusione nell’autorità costituzionale del Presidente”, aveva fatto ricorso in appello e la Corte, pur prendendo tempo sino a martedì prossimo per la sentenza reale, ha comunque sospeso l’ordinanza. Dei tre giudici che compongono la Corte d’appello chiamata a decidere due sono stati nominati da Trump e uno da Biden. In ogni caso la sospensione permette al presidente di disporre dei riservisti nelle manifestazioni convocate per oggi.

Il presidente ha festeggiato e ringraziato la Corte con toni incendiari: “Se non avessi mandato l’esercito Los Angeles oggi sarebbe in fiamme. La abbiamo salvata”. È un assaggio di come la Casa Bianca si prepara a fronteggiare le proteste di oggi. Non è l’unico né il più allarmante. La sera precedente il primo senatore latino-americano nella storia degli Usa, Alex Padilla, è stato messo in manette per aver osato interrompere la conferenza stampa della segretaria per la Sicurezza interna Kristi Noemi. La ministra stava illustrando le poderose misure che verranno messe in campo per reprimere la protesta di oggi. Padilla l’ha interrotta dicendo di avere “delle domande da fare”. Gli agenti della sicurezza lo hanno spintonato, buttato a terra, ammanettato e portato via nonostante dai video si senta chiaramente che il senatore si identifica con tanto di nome e ruolo istituzionale. “Gli agenti hanno pensato che si trattasse di un’aggressione. Avrebbe dovuto identificarsi”, li ha giustificati ineffabile la segretaria ignorando completamente la realtà dei fatti. Segnali per quello che potrebbe succedere oggi.

14 Giugno 2025

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