Il delitto di Chiara Poggi
Garlasco, il caso del legale di Sempio: ha confuso il Tribunale per Instagram?
“Guerra dura senza paura”, ha scritto sui social la penalista. Che condisce il suo post di enigmi e faccine, poco rispettosi di un atroce delitto
Cronaca - di Susanna Schimperna

«Lotta dura senza paura» si urlava e si scriveva sui muri nel ’68, inneggiando alla lotta contro lo Stato borghese. «Lotta dura senza paura!» se ne uscì ad alta voce, una trentina di anni dopo, un farmacista romano a una signora che, arrivato finalmente il suo turno, aveva chiesto «Guttalax in gocce, supposte di glicerina per adulti, sei confezioni di clismi, sempre per adulti», sussurrando per non essere sentita dagli altri in attesa. Ma come non capirlo, il farmacista. Ci sono esternazioni istintive che non si riescono a reprimere (e la battuta sarebbe rimasta lì, ascoltata da una quarantina di orecchie, non fosse stato presente quello spiritaccio toscano di Gianni Boncompagni, che fece circolare la storia per tutta Roma Nord).
Sono passati più o meno altri trent’anni. E oggi, cioè l’altro ieri 20 maggio, a usare lo slogan è un’avvocata, che non intende combattere contro lo Stato borghese o commentare la lotta di qualcuno contro la stipsi, ma prendersela, si ipotizza, contro la magistratura. Grida, l’avvocata? No. Alza la voce? Ma no. Lei è social, come si conviene a una Millennial, quindi scrive su Instagram, suggellando il messaggio (in cui “Lotta” viene sostituita da “Guerra”: che gusto, che finezza… di questi tempi, poi) con l’emoticon di una tigre e poi, tocco di genio, aggiungendo sotto “CPP we love u”, con un bel cuoricino azzurro a fianco. Sa che così farà più rumore che strillando a pieni polmoni dalla finestra, e soprattutto che susciterà curiosità e domande, otterrà l’attenzione di tutti i media, diventerà – ecco il vero successo – “virale”.
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Che vuol dire quell’acronimo, CPP? Codice di Procedura Penale? L’interpretazione più accreditata del post è questa: l’uomo che l’avvocata difende non si è presentato in Procura per l’interrogatorio per un vizio di forma, e l’avvocata vuole lanciare il messaggio che lei sì (a differenza dei magistrati), lei il Codice lo conosce, anzi, lo ama proprio e gli dà affettuosamente, familiarmente del tu (scrivere “u” invece di “you” veramente sarebbe più da Centennials, cioè Generazione Z, ma cercare di sembrare più giovane non è un reato). Dopo un po’, un altro pensiero profondo, tra virgolette e senza attribuzione: “Lascia che l’oceano ti insegni che puoi essere sia calmo che caotico, gentile e forte”. Sarà un’anticipazione della strategia difensiva che l’avvocata intende seguire?
Comico, non fosse tragico. Perché è di una tragedia che stiamo parlando. L’avvocata si chiama Angela Taccia, e difende – insieme a Massimo Lovati – Andrea Sempio, indagato per il delitto di Garlasco. Una ragazza morta, un ragazzo condannato, riapertura delle indagini, un altro ragazzo, Sempio appunto, che rischia la condanna. È accettabile che in uno scenario del genere si abbia voglia di comporre messaggi criptici e quiz con cuoricini su Instagram? Non lo è. È invece deprimente, desolante, squalificante. Non è possibile, quando si ha un ruolo così importante come quello di avvocata in un caso che riguarda un omicidio, che venga usato il linguaggio degli influencer, di più, che si ragioni proprio come un’influencer, persona che ogni giorno si sveglia e deve inventarsi qualcosa per acchiappare like e condivisioni.
Molti troveranno più interessante discutere delle tesi dell’altro avvocato di Sempio, Massimo Lovati, che ha rilasciato dichiarazioni in cui si parla di macchinazioni, DNA preso clandestinamente, sicari. Ma è sbagliatissimo pensare che non sia importante il modo in cui si esercita il ruolo di avvocato difensore. La deontologia professionale, che dovrebbe esistere ancora, pretende una roba sintetizzata nella parola “decoro”, che sarà pure una parola desueta, ma va usata per ricordare che non possiamo rendere tutto show, pettegolezzo, passatempo da social. Non quando ci sono di mezzo morti, assassini, carcere, dolore.