L'iniziativa contro il dl
Un anno di digiuno collettivo contro il dl sicurezza
365 adesioni allo sciopero della fame a staffetta promosso dalle associazioni per chiedere al parlamento di non convertire il dl. Oggi la conferenza stampa alla Camera
Giustizia - di Leonardo Fiorentini

Trentanove articoli, divisi in 88 commi. 22 fra nuovi reati e nuove circostanze aggravanti, un’accozzaglia di norme repressive, pericolose per l’ordine democratico e in molti casi irrazionali. Questo è il decreto sicurezza contro il quale un ampio movimento della società civile da mesi sta organizzando una ferma opposizione, affiancando alla battaglia delle opposizioni nelle aule parlamentari la mobilitazione nelle piazze. Una coalizione ampia e determinata a contrastare un provvedimento che mina i principi dello stato liberale e rafforza la logica securitaria a scapito dell’inclusione, della giustizia sociale e dei diritti civili.
In vista della grande manifestazione di Roma, convocata dalla Rete No DL Sicurezza per sabato 31 maggio, A Buon Diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Cnca, Forum Droghe, L’Altro Diritto, La Società della Ragione, Ristretti Orizzonti, Forum Disuguaglianze e Diversità e Sbilanciamoci! hanno promosso un digiuno a staffetta. Accogliendo l’invito di Don Luigi Ciotti a usare il corpo come strumento di protesta nonviolenta contro le leggi ingiuste, e raccogliendo il testimone tenuto una settimana da Franco Corleone, il digiuno collettivo ha raccolto ormai oltre 365 adesioni. Più di 365 giorni, un anno di digiuno diffuso in tutta Italia, per chiedere al Parlamento di non convertire in legge il Decreto Sicurezza. Il provvedimento del Governo, frutto dello scippo al Parlamento di un disegno di legge privo di qualsiasi carattere di necessità ed urgenza, è anche un vero e proprio atto di prepotenza istituzionale. Viola nella procedura e nella sostanza la Costituzione e le convenzioni sui diritti umani, come evidenziato dal Consiglio d’Europa e dalle Nazioni Unite che hanno denunciato la violazione dei diritti civili e politici garantiti dalle convenzioni internazionali sui diritti umani.
La destra usa la paura, e quando non c’è la crea, alla ricerca del mantenimento del consenso. “Ci hanno eletto per questo” dicono più o meno esplicitamente, per confermare la narrazione del Governo del fare. Non basta però scrivere sicurezza in un decreto per assicurarla ai cittadini, che continuano ad essere più preoccupati dello stipendio che vale di meno ogni fine del mese, o delle nuvole che si avvicinano, temendo l’ennesimo nubifragio. Ma il dover dimostrare di aver fatto qualcosa, senza risolvere nulla, è una necessità così disperata che si raggiungono vette panpenaliste mai toccate prima. Basti pensare agli iperbolici emendamenti leghisti presentati alla Camera per vietare gli scioperi ai riders o per alzare le pene per furti in casa e scippi, superando addirittura nel minimo quelli per violenza sessuale.
Il Governo ha deciso di criminalizzare comportamenti non pericolosi, come le proteste degli attivisti del clima, e colpire in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili della popolazione con l’estensione del Daspo e delle zone rosse.
La restrizione degli spazi di dissenso, la detenzione delle madri e dei loro figli, e in genere le norme contenute nel decreto sono l’esito naturale di una concezione populista del diritto penale che purtroppo si è impadronita del dibattito pubblico negli ultimi trent’anni. Si arriva a criminalizzare le infiorescenze di canapa industriale, ignorando le evidenze scientifiche, le convenzioni sulle droghe e il diritto comunitario. Lo si fa mettendo sul lastrico un intero settore economico legale, con la perdita stimata di oltre 22.000 posti di lavoro e un danno economico di circa 2 miliardi di euro. L’allargamento dei confini di azione dei Servizi Segreti, che arrivano sino al poter creare e dirigere organizzazioni terroristiche, parrebbe una mossa da Mission Impossible. Nel paese di Piazza Fontana, della Stazione di Bologna e della strategia della tensione è semplicemente inquietante.
Forse è solo una coincidenza, ma già nel primo fine settimana di applicazione del decreto, il clima nelle piazze, nei parchi e nei capannoni abbandonati è cambiato. Le cariche a Milano durante la manifestazione per la pace in Palestina, lo “sgombero” dei rave prima a Torino e poi in Val Lomasona, con manganelli e lacrimogeni a illuminare una notte di terrore, lo dimostrano. Oggi al Senato – diretta su fuoriluogo.it – i promotori del digiuno a staffetta ribadiranno le ragioni di questo atto di protesta nonviolenta collettiva contro un decreto nato per creare paura, alzare il livello dello scontro con il solo scopo di colpire i più deboli e chi si oppone alle politiche autoritarie della destra.