60 anni dall’elezione
Paolo VI, democrazia e libertà religiosa: perché segnò una svolta
Il 21 giugno 1963 il cardinale Giovanni Battista Montini viene eletto papa. Così facendo i cardinali intendono assicurare una conclusione ragionevole, di innovazione non dirompente del Concilio
Editoriali - di Stefano Ceccanti
Il 21 giugno 1963 il cardinale Giovanni Battista Montini viene eletto papa. Così facendo i cardinali intendono assicurare una conclusione ragionevole, di innovazione non dirompente del Concilio. La chiesa come sempre, filtra dentro di sé, coi propri criteri, la situazione storico-spirituale del tempo, anche nelle sue variabili politiche.
Riceve dal mondo esterno materiale che rielabora e rilancia. La difficoltà di fondo nel mondo moderno, ancor più accentuata in Italia, con la traumatica fine del potere temporale, era stata quella di superare una secca alternativa che sembrava ineluttabile: quello tra essere egemone o martire. Lo ha scritto alcuni anni fa con grande lucidità il teologo Severino Dianich: «Le due esperienze epocali quella della persecuzione e quella dell’egemonia cristiana sulla società, l’hanno segnata così profondamente che, talvolta, essa sembra addirittura incapace di vivere e operare in una situazione socio-politica nella quale non si danno né pericoli di persecuzione né possibilità di egemonia». Invece il contesto con cui la Chiesa arriva a ridosso del Concilio è di ragionevole fiducia nelle democrazie.
I partiti dc, pur nella loro grande diversità, si sono affermati in Italia e Germania e guidano stabilmente i loro sistemi. Quello italiano sorto per volontà anche decisiva di Montini, come partito eterogeneo dell’unità politica necessitata per far fronte alla sfi da comunista, di una religione secolare ancora legata all’Urss, è allora guidato verso il centrosinistra da Aldo Moro, a suo tempo cresciuto nella Fuci a cui Montini aveva dato il suo imprinting. Quello tedesco come partito di centro-destra destinato ad alternarsi in tempi non troppo lontani a una socialdemocrazia a cui si guarda con benevolenza dopo la grande svolta di Bad Godesberg e in cui sono presenti altri cattolici. Ma poi, ancor più, nel 1960 negli Usa è stato eletto Presidente il primo cattolico, John Kennedy.
Il rapporto fecondo tra cristianesimo e democrazia, teorizzato dal filosofo amico del papa Jacques Maritain, che solo qualche anno prima era a rischio di condanna, si è già rivelato storicamente fecondo. Da questa Costituzione materiale traggono alimento, come ratifica solenne nella Costituzione conciliare formale, innovazioni come l’opzione preferenziale per la democrazia (in luogo della precedente neutralità verso le forme di Stato) e il diritto di libertà religiosa come garanzia rispetto alle pretese dello Stato, sia esso confessionale o ateista (in luogo della precedente tolleranza religiosa). Sbagliata quindi la chiave di lettura di alcuni settori progressisti, spesso riproposta, secondo i quali, nel caso di prosecuzione del pontificato giovanneo, l’innovazione sarebbe stata più radicale.
Basti pensare alle reazioni disperate sin dalla sera della sua elezione del riferimento politico alternativo comune ancora a larga parte della curia romana, quella del dittatore spagnolo Francisco Franco, che vedeva nel nuovo papa, figlio di un deputato popolare antifascista aventiniano, una bomba a tempo destinata a delegittimare il suo regime. Non a caso lo aveva indicato ai cardinali spagnoli come il candidato da non votare assolutamente. Come in ogni dinamica storica, infatti, quell’elezione e quei documenti erano destinati per un verso a ratificare un’evoluzione già avvenuta in alcuni Paesi-chiave, ma per altro verso a stimolarla altrove.
Basti leggere La terza ondata di Samuel Huntington per capire come quel papa e quei testi fecero partire, a cominciare da due Paesi cattolici, il Portogallo e la Spagna l’espansione delle democrazie che inizia dal 25 aprile 1974, che sul momento colpisce i regimi autoritari di destra sopravvissuti grazie alla Guerra Fredda, ma che poi, grazie alla rinuncia a condanne frontali e alla scelta del ‘martirio della pazienza’ della Ostpolitik del cardinale Casaroli finì, col contribuire al logoramento del regimi comunisti, all’opposto di quello che avevano pensato i critici conservatori. Resta una specificità italiana, ma dovuta alla politica e non alla Chiesa.
I documenti conciliari e il loro seguito più immediato, la “Octogesima Adeniens” del 1971, enunciano il pluralismo politico come regola e questo consente una presenza qualificata in entrambi i poli delle nuove democrazie (a cominciare appunto da Portogallo e Spagna). Lo stesso schema che perseguono i vescovi francesi, accompagnando la nascita del nuovo Partito Socialista, col consenso del Papa.
Restava l’eccezione italiana, ma come spiega il Papa nel colloquio con uno dei vescovi francesi più impegnati, Gabriel Matagrin. il nostro Paese restava diverso, l’unità andava confermata per l’impossibilità dell’alternanza, per la presenza di un partito che ancora si chiamava comunista e che non aveva sciolto del tutto le sue contraddizioni, che nel frattempo il fidato Aldo Moro cercava di affrontare con la politica di solidarietà nazionale dentro la sempre più chiara condivisione della scelta euro-atlantica.