Il Garante dei detenuti dovrà monitorare

L’Onu: “Il proibizionismo causa torture in carcere”

Il sottocomitato per la prevenzione della tortura delle Nazioni Unite inquadra le politiche sulle droghe come uno dei principali fattori di rischio per casi di tortura e maltrattamenti nei luoghi di privazione della libertà

Giustizia - di Leonardo Fiorentini

11 Aprile 2025 alle 09:00

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Photo credits: Clemente Marmorino/Imagoeconomica
Photo credits: Clemente Marmorino/Imagoeconomica

Da molto tempo la società civile italiana impegnata nella riforma delle politiche sulle droghe denuncia la pervasività della legislazione sulle sostanze illegali nella società e quindi, a valle, sulle patrie galere. Il libro bianco, promosso fra gli altri dalla Società della Ragione e Forum Droghe, da ben quindici edizioni sottolinea come la legge Jervolino-Vassalli sia il volano del sistema repressivo nel nostro paese, e porti sostanzialmente in carcere un terzo della popolazione detenuta (per la precisione, al 31/12/2024 il 34,16%). Una percentuale abnorme, sia rispetto alla media europea (18%) che rispetto a quella mondiale (22%).

È importante quindi che il Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura (SPT) abbia dedicato, nel suo diciottesimo rapporto annuale adottato nello scorso febbraio, un’intera sezione alla valutazione delle politiche sulle droghe, inquadrandole come uno dei principali fattori di rischio per episodi di tortura e maltrattamenti nei luoghi di privazione della libertà. Finalmente, da quando nel 2008 la Commission on Narcotic Drugs a Vienna ha introdotto per la prima volta in una sua risoluzione il tema del rispetto dei diritti umani, il sistema di controllo globale delle droghe ha cominciato a fare i conti con il resto del diritto internazionale. Per quasi 50 anni l’impianto proibizionista aveva viaggiato in un compartimento stagno, incurante delle tragiche conseguenze della repressione e dello stigma sulle persone che usano droghe e i loro diritti fondamentali.

Negli ultimi anni invece, anche gli organismi delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani, basati a Ginevra, hanno cominciato a mettere il naso all’interno agli affari di Vienna. In particolare, va ricordato il rapporto dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani che ha denunciato le palesi violazioni dei diritti umani e invitava ad “assumere il controllo dei mercati illegali delle droghe attraverso una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza” (vedi l’Unità del 22 settembre 2023). Nelle sue “raccomandazioni ai meccanismi nazionali di prevenzione sull’impatto delle politiche sulle droghe nella prevenzione efficace della tortura” l’SPT riafferma che le politiche repressive sulle droghe hanno avuto a livello globale e locale impatti sistemici. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite la zero tolerance e la war on drugs, e i conseguenti arresti diffusi, hanno alimentato il sovraffollamento carcerario, anche a causa di pene sproporzionate e a volte “obbligatorie”. Non solo: questi approcci ostacolano l’accesso alle cure e generano abusi nelle fasi di arresto e detenzione preventiva.

Le carceri, o le stazioni di Polizia, “di solito non sono attrezzate per offrire i servizi sanitari specifici richiesti dai detenuti che fanno uso di droghe”, compresi quelli legati alle crisi di astinenza. Nelle sue visite ispettive in giro per il mondo, la sottocommissione ha documentato l’assenza di programmi di trattamento “nel rispetto del principio dell’equivalenza delle cure” fra dentro e fuori i luoghi di detenzione. Il rapporto dell’ONU, tenendo conto degli “approcci istituzionalizzati al problema della droga in tutto il mondo”, chiarisce che le strategie efficaci sono la prevenzione, la riduzione del danno, l’offerta di trattamenti ambulatoriali efficaci, con un adeguato follow-up e l’offerta di cure e trattamenti diffusi nella comunità, al fine di “ridurre al minimo il ricorso alla privazione della libertà come parte della risposta al consumo di droga”. Perché anche i luoghi di cura, gli ospedali come i centri specializzati o le comunità, sono luoghi di privazione di libertà, e quindi contesti “rientrano nel mandato sia del Sottocomitato che dei meccanismi di prevenzione nazionali”. I trattamenti debbono essere volontari, basati sulle evidenze scientifiche, rispettosi della dignità e dei diritti umani e condotti da personale medico, al di fuori di contesti coercitivi o punitivi.

In Italia è il collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà ad essere stato formalmente riconosciuto come Meccanismo di prevenzione nazionale, sin dal 2014. Questo rapporto rappresenta quindi un’occasione concreta per il collegio di ampliare il proprio raggio di azione, inserendo sistematicamente le politiche sulle droghe, e i luoghi altri dove queste sviluppano i loro effetti, tra gli ambiti di monitoraggio. Va ricordato che l’Italia è già entrata nel 2021 nel rapporto del gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, direttamente per la sovra rappresentazione dei migranti in carcere per droghe (e indirettamente per l’eccessiva carcerazione), mentre nel 2023 è stato il Comitato per i diritti economici e sociali a esprimere preoccupazione per “l’approccio punitivo al consumo di droghe e per l’insufficiente disponibilità di programmi di riduzione e del danno” raccomandando di rivedere “le politiche e le leggi sulle droghe per allinearle alle norme internazionali sui diritti umani e alle migliori pratiche, e che migliori la disponibilità, l’accessibilità e la qualità degli interventi di riduzione del danno” anche riferendosi alle carceri.

Nel 2024 erano stati gli esperti del meccanismo dell’ONU per la giustizia razziale a segnalare l’Italia per le attività di profilazione etnica delle forze dell’ordine italiane e per la presenza di minori stranieri negli IPM, in particolare a seguito dell’aumento delle pene per lo spaccio di lieve entità e la maggior facilità di incarcerazione dei minori contenuti nel decreto Caivano. L’indicazione è quindi chiara: è impossibile prevenire efficacemente tortura e trattamenti inumani senza affrontare criticamente il paradigma proibizionista e le sue conseguenze strutturali. Il Garante nazionale dovrà tenerne conto e includere nelle proprie valutazioni le politiche nazionali sulle droghe e il modo in cui queste modellano le condizioni di detenzione e l’accesso ai diritti fondamentali. Dovrebbe tenerne conto anche il Governo Meloni, ma è come parlare ai sordi.

11 Aprile 2025

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