L'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

“L’Europa torni padrona del suo destino. Piano von der Leyen? Puramente finanziario”, parla il generale Camporini

«La ritrovata sintonia di Londra con Parigi e quindi con l’Ue mostra che sta nascendo un nuovo quadro di solidarietà. Il piano Von der Leyen? Ben venga la disponibilità a nuovi investimenti, purché si metta mano a una seria politica industriale europea»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

8 Marzo 2025 alle 09:00

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Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica
Photo credits: Canio Romaniello/Imagoeconomica

Lo scontro tra Trump e l’Europa sull’Ucraina. La risposta del vecchio continente al “ciclone The Donald”, il futuro di una difesa comune europea. Ne abbiamo parlato con il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali).

Generale Camporini, qual è il segno politico dell’umiliazione inflitta da Donald Trump a Zelensky?
Ci vedo un segno politico ed un segno “economico”. Partiamo da quest’ultimo: la stella polare di Trump è quella di ottenere un utile, da poter sbandierare come una personale vittoria, grazie ad uno spregiudicato uso della forza, a prescindere dalle ragioni del diritto, diritto a cui si sente superiore. Vede la tragica vicenda dell’invasione russa dell’Ucraina come un’opportunità per trarne un utile ed avanza richieste esorbitanti, motivandole con dati falsi e fuorvianti: prescindere dalla quantità dei fondi stanziati da Washington per sostenere Kiev, si dimentica che buona parte di quei quattrini è rimasta negli USA, per pagare le industrie della difesa nazionali. Il segno politico è ancora più grave: avallando in modo plateale la narrazione di Mosca, afferma esplicitamente che l’era delle relazioni internazionali basate su regole e istituzioni per lui è terminata: si torna ad un sistema destrutturato in cui conta solo la forza e la spregiudicata volontà di impiegarla per il conseguimento dei propri fini. Siamo tornati indietro di secoli ad una visione Hobbesiana di tutti contro tutti e vinca il più forte. In ciò si è perfettamente allineato con gli altri due campioni: Putin e Xi Jinping . Noi europei dobbiamo prenderne atto e dobbiamo attrezzarci per tornare ad essere padroni del nostro destino.

“Non sei nelle condizioni di rifiutare il cessate il fuoco”: Trump lo ha sbattuto in faccia al presidente ucraino. Mettendo da parte la ruvidezza del personaggio, cosa non funziona in questo messaggio del presidente USA?
Mi domanderei piuttosto che cosa funziona. Funziona l’intimidazione arrogante di chi crede che solo la forza sia il parametro intorno a cui costruire i rapporti fra gli attori internazionali. Un’intimidazione rivolta a un personaggio che il 23 febbraio di tre anni fa rifiutò orgogliosamente l’offerta di un dorato esilio per sé e la sua famiglia, interpretando lo spirito e la volontà di un popolo che lo aveva eletto a suo leader con il 73% dei voti. Non funziona nel senso che vengono messi in discussione i principi stessi alla base di qualsiasi rapporto di alleanza, come mirabilmente scolpiti nel preambolo del trattato del Nord Atlantico, e che val la pena di rileggere: “Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto”. Se la validità dei principi dipende solo dalle “carte che hai in mano” stiamo solo giocando a poker con il benessere e le vite dei nostri concittadini

L’Europa fa quadrato, almeno a parole, attorno a Zelensky. Starmer e Macron evocano invio di soldati ma nei fatti c’è poco. Siamo alle solite?
I fatti si costruiscono con i fatti, e non sembri un gioco di parole. Veramente può apparire non degna di nota la ritrovata sintonia di Londra con Parigi e quindi con un’Europa che, con uno sciagurato referendum, aveva deciso di abbandonare? È al contrario evidente che sta nascendo un nuovo quadro di solidarietà, una solidarietà europea, che si concretizza nella volontà di elaborare processi e progetti per affrontare ogni situazione che si possa presentare. Questa ipotesi di un contingente militare franco-britannico che si schieri in territorio ucraino dopo l’eventuale conclusione di un accordo tra l’aggressore e l’aggredito risponde a un’esigenza ineludibile. Non si tratta certo di una forza di interposizione, che per definizione viene dislocata in una fascia idealmente demilitarizzata ed è composta da paesi non considerati ostili da una delle due parti in lotta. Piuttosto sarebbe una garanzia simil-art.5 del Trattato del Nord Atlantico: se Mosca dovesse decidere di riprendere l’offensiva contro Kiev, lo farebbe anche contro le bandiere di Francia e Gran Bretagna, schierate sul territorio Ucraino, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Per questo il rifiuto americano di dare una propria copertura operativa a un contingente così delineato, peraltro sollecitato dalla Casa Bianca, costituisce una cesura che mette in discussione i principi stessi della solidarietà transatlantica.

In tutto questo, emerge l’imbarazzo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, irritata dal protagonismo anglofrancese. Ma non doveva essere la “facilitatrice” nel rapporto tra Trump e l’Europa?
Non è più il tempo di equilibrismi. Se non fosse stato sufficientemente chiaro prima, il discorso di Trump sullo Stato dell’Unione non lascia alcuno spazio per dubbi di sorta: Washington ha deciso che il rapporto con quelli che una volta erano gli alleati si è trasformato: oggi Canada ed Europa sono terre da sfruttare, anche a costo di farsi male. Qualsiasi economista, anche alle prime armi, può spiegare l’effetto boomerang dei dazi che, attenuando l’effetto della competizione, spingono verso l’alto i prezzi al consumo, oltre a generare aumenti di costo per la maggiore onerosità dei prodotti intermedi. In questa situazione, cercare di ritagliarsi una posizione oggettivamente ambigua per acquisire dubbie benemerenze ha il solo risultato di isolarsi e di essere emarginati nei processi decisionali. Un pontiere, per essere efficace, deve essere credibile sulle due sponde e in questo specifico frangente temo che a Palazzo Chigi ci si illuda circa la considerazione nutrita dagli americani nei confronti dell’Italia, mentre cresce la consapevolezza dell’isolamento crescente da parte dei leader trainanti, Macron, Starmer e in prospettiva Merz, con un ruolo determinante di Tusk.

Il predecessore di Trump alla Casa Bianca, Joe Biden, aveva raccontato la guerra in Ucraina come lo scontro tra democrazia e autocrazia. Con Trump tramonta l’Occidente e entriamo nell’era del “patto degli autocrati”?
Negli Stati Uniti è seriamente a rischio il concetto stesso di alternanza politica, quello per cui si argomentava un tempo che i due partiti egemoni fossero divisi circa le soluzioni da dare ai problemi, ma non rispetto ai principi di base dei rapporti di potere. Il Trumpismo rappresenta una novità assoluta, che demonizza gli avversari e ipoteca la futura gestione in termini di esclusione. Il sistema americano dell’equilibrio dei poteri, enunciato con l’espressione “check and balances” viene messo in discussione, mediante l’utilizzo generalizzato di “executive order”, decreti-legge su cui la voce in capitolo del Congresso è molto limitata; la reazione della magistratura viene accolta con un’alzata di spalle, creando un caos perfettamente funzionale alla volontà dell’Amministrazione. Mi pare questa la descrizione di un deciso avvio sulla strada dell’autocrazia. La sintonia con Mosca e Pechino si fa sempre più chiara. Con buona pace di come concluse Lincoln il suo mirabile discorso a Gettisburg il 19 novembre 1863, con affermazione che “l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra.”

Generale Camporini alla luce di quanto sin qui detto, come valuta l’andamento e le conclusioni del vertice UE? È da convinto sostenitore di una difesa comune europea può ritenersi soddisfatto?
Innanzitutto, dobbiamo osservare ancora una volta come la regola dell’unanimità per il Consiglio rappresenti un inaccettabile ostacolo alla possibilità di prendere decisioni rapide ed efficaci: sappiamo che per modificare questa norma occorre mettere mano ai trattati, il che è oggi francamente una prospettiva assai remota.
In merito al piano presentato da van der Leyen, osservo che si tratta di un progetto puramente finanziario, che comunque non sarà di agevole attuazione, mentre per il mondo militare la quantificazione delle risorse necessarie viene a valle della definizione delle esigenze operative, che poi verranno armonizzate in funzione dei fondi disponibili. I paesi europei, dal punto di vista militare hanno carenze assai importanti nel settore dell’intelligence (sistemi satellitari da ricognizione, piattaforme aeree per le intercettazioni elettromagnetiche e per la sorveglianza dello spazio aereo e di quello extraatmosferico), in quello della difesa contro attacchi missilistici come quelli portati quotidianamente contro le città ucraine (ci manca completamente la capacità contro missili balistici e ipersonici a media e lunga gittata); abbiamo serie vulnerabilità nel campo delle comunicazioni e della connettività, in ambiente cyber. Per i sistemi d’arma, bisogna ricostruire le capacità nel settore dei mezzi corazzati, settore in cui soffriamo di una frammentazione industriale su base nazionale che moltiplica i costi di sviluppo e quelli di produzione.
I rimedi non sono immediati e sono costosi: ben venga quindi la disponibilità a nuovi investimenti, purché si metta mano a una seria politica industriale europea, che superi i miopi egoismi fin qui dominanti. Con queste osservazioni dobbiamo dare il benvenuto all’iniziativa della Commissione, che si fa interprete della consapevolezza che non si tratta di scegliere fra burro e cannoni, ma di avere i cannoni che ci garantiscano il burro.

8 Marzo 2025

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