Il Consiglio a Bruxelles

Meloni dribbla tutti: l’Europa si arma e la premier del governo spaccato si nasconde

Al Consiglio europeo straordinario convocato per discutere il riarmo Meloni si nasconde dalle telecamere, in forte imbarazzo per la contrarietà del suo alleato Salvini e del suo ministro dell’Economia Giorgetti.

Politica - di David Romoli

7 Marzo 2025 alle 09:00

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AP Photo/Geert Vanden Wijngaert
AP Photo/Geert Vanden Wijngaert

A Bruxelles Giorgia Meloni s’imbuca nel palazzo dalla porta posteriore. Non è l’unica tra i capi di governo Ue arrivati per il Consiglio europeo straordinario a dribblare il plotone di telecamere e microfoni: lo fa anche Macron e sghiscia persino Orbàn. Lei però ha una ragione in più per svicolare. Il governo di Roma è al centro dell’attenzione più di ogni altro, escluso forse il nucleare Macron e la premier non hanno alcuna voglia di soffermarsi sulle divisioni interne al suo governo e alla sua maggioranza.

Quelle divisioni non le si può proprio nascondere. Salvini non se ne è stato zitto, nonostante cortese invito, neppure nella giornata clou. Ha ripetuto forte e chiaro che “Il ReArm Europe è una scelta sbagliata a partire dal nome”. Sul nome per la verità sono d’accordo tutti. Tajani neppure lo pronuncia, preferendo parlare di difesa. Giorgia propone di passare all’anagrafe e ribattezzare in sede di consiglio. Però è l’unico capitolo sul quale la maggioranza sia unita. Tajani, dopo un faccia a faccia con la presidente che firma il piano di riarmo, Ursula von der Leyen, conferma di non essere d’accordo neppure con Giorgetti, le cui critiche al piano sono più puntuali, più sobrie e molto meno propagandistiche di quelle del capo leghista: “Capisco le sue preoccupazioni ma per me è un buon piano”. FdI si espone di meno. Di fronte al Consiglio la premier chiede chiarimenti e correzioni. Ma a schierarsi contro il ReArm non ci pensa proprio.

In Italia la spaccatura fa poca notizia: il solito Salvini. Ma stavolta la divaricazione è meno di facciata e meno resolubile come al solito, con il vicepremier leghista che strepita e poi vota disciplinato. La posta in gioco è infinitamente più alta di quando si trattava solo di inviare un po’ di armi a Kiev e lo diventerà probabilmente molto di più nel prossimo futuro. Il piano, di riarmo o di difesa che dir si voglia, assume giocoforza il carattere di una contrappozione ai confini della guerra con Mosca. Ieri sono volate parole grossissime e la determinazione di Macron nel sostenere una missione in terra ucraina esaspera la tensione. Prima o poi la questione del riarmo dovrà passare per il Parlamento e a quel punto, per la prima volta dalla nascita del governo, la possibilità, ancora remota ma non inesistente di una frattura nel centrodestra c’è. Perché di mezzo, per la prima volta, ci sono veri venti di guerra.

Giorgia pensa di convincere il suo riottoso vice, e stavolta anche il molto più disciplinato ministro dell’Economia, impugnando quel che il governo italiano ha già ottenuto e quel che potrebbe ottenere nei prossimi mesi. Lo scorporo della spesa militare dal Patto di Stabilità era una richiesta essenziale per l’Italia già da mesi ma adesso, dopo la drastica svolta tedesca, si può puntare a un allentamento complessivo, non limitato alla difesa, delle maglie del patto. L’argomento è valido ma stavolta non è detto che basti a convincere Salvini, soprattutto se la situazione diventerà drammatica.

Anche Elly ha i suoi guai e non sono meno grossi di quelli della rivale. Ieri prima del vertice ha partecipato alla riunione dell’eurogruppo del Pse “Socialisti e democratici”. Non è riuscita a convincere le delegazioni degli altri Paesi a schierarsi contro il progetto di von der Leyen con l’argomentazione che si tratta non di difesa comune ma di un riarmo di 27 Paesi diversi. Non che sia una tesi infondata ma è anche una di quelle classiche argomentazioni capziose che si usano per bocciare una cosa chiedendo molto di più. Tutti hanno invece concordato sul contrastare l’uso dei Fondi di coesione per il riarmo. Ma anche quella è più sceneggiata che altro. L’uso dei Fondi è facoltativo e l’Italia, come quasi tutti, ha già detto che non se ne servirà. Il tema serve soprattutto a mascherare la divisione nell’eurogruppo.

Nel Pd la divisione è esplicita con esponenti della minoranza come Pina Picierno o Filippo Sensi che si spellano le mani applaudendo il piano che la segretaria vorrebbe affossare. Per una segretaria del Pd prendere una posizione opposta a quella del Pse con una parte non trascurabile del partito contro sarebbe già un grosso problema. In questo caso però il guaio va oltre. Tra i sostenitori del progetto ci sono infatti due numi tutelari del Pd: il presidente della Repubblica Mattarella e Mario Draghi. Il problema non è affatto risolto, per la segretaria, e non si risolverà rapidamente.

7 Marzo 2025

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