Il romanzo di Simenon
Il Grande Bob, la rilettura di Simenon: sicuri di non trovare una rivolta regressiva contro le regole anche nei grandi leader?
L’indagine avviata da Charles sul misterioso suicidio del protagonista è un viaggio nella miseria della borghesia, fatta di puntigli, ossessioni e regressioni infantili che oggi improntano certa politica
Cultura - di Filippo La Porta

La saggezza propria del romanzo – l’arte più europea di tutte – è una saggezza dell’incertezza, una saggezza ironica, scettica, venata di umorismo e paradosso, capace di demolire tutte le certezze ideologiche e tutti gli integralismi. Nasce per Milan Kundera dalla risata di Dio, il quale in un proverbio ebraico ride guardando l’uomo che pensa, poiché l’uomo pensa e la verità gli sfugge sempre. In un certo senso il genere del romanzo potrebbe perfino aiutarci anche a capire il terremoto geopolitico di questo momento.
Ma soffermiamoci su un celebre romanzo di Simenon ora ripubblicato da Adelphi, nella traduzione di Stefania Mambrini: Il Grande Bob (appena 166 pagine). Come tutti i grandi romanzi ci chiede se abbiamo fatto bene a vivere come abbiamo vissuto finora, se abbiamo fatto bene a sposarci (o a non sposarci), ad avere figli (o a non averli), a cercare (o non cercare) il successo, ad avere il lavoro che abbiamo, etc. Il Grande Bob è Robert, capelli biondo ramato e occhi grigio chiari, un 49enne sempre allegro e pronto a scherzare, che sposa Lulu – radiosa e un po’ volgare – più giovane di tre anni, vive con lei in un alberghetto a Montmartre, si diverte a frequentare tutti i bar e i bistrot consumando i suoi “bianchini”, ascoltando il chiacchericcio della gente. Poi si sposta in campagna sulla Senna a pochi chilometri da Parigi, dove Lulu possiede un atelier di moda (con varie lavoranti) e anche lì passa il tempo a bere nei locali pubblici e a giocare a carte con la gente del posto. Un giorno Lulu telefona al dottor Charles Coindreau, io narrante (“un medico di base che più di base non si può”, con la sua clientela prevalentemente di prostitute), e gli comunica che Bob si è suicidato gettandosi nel fiume con un peso di ghisa da 5 chili.
A questo punto comincia l’indagine di Charles – quasi un Maigret dell’anima – sulle cause della morte, frequentando la sorella di Bob, Lulu stessa che nella calura estiva lo riceve in sottoveste (il suo ritratto è fulminante: “sempre stata impudica, senza sfrontatezza, quasi senza rendersene conto e di certo senza alcuna malizia”), i suoi amici e conoscenti. Ma presto scopriamo che la sua è un’indagine su di sé, sulla borghesia, sull’esistenza stessa. Non possiamo svelare nulla intorno al motivo reale del suicidio, ci limitiamo a dire che è più banale di quanto il lettore pensi all’inizio, e alla fine ci sembra di poco conto. Intanto Simenon si è calato nel cuore di tenebra dell’essere umano, di cui ci rappresenta – essendo lui di formazione cattolica – la irredimibile colpevolezza, legata al peccato originale, e cioè alla sua imperfezione e incompiutezza.
A un certo punto Charles confessa le proprie innocenti fantasie di pedofilo: guarda ossessivamente una ragazzina sulla spiaggia, con un costume rosso così aderente che sembra fatto di gomma (“per tre giorni ho vissuto in intimità, per così dire, con lei”), poi scopre arrossendo che ha solo 12 anni! Pochi scrittori come Simenon – in ciò fedele al suo Maupassant o a certi quadri impressionisti di Renoir – sono stati capaci di ritrarre la vita quotidiana della piccola borghesia e della gente comune, la spuma che si raccoglie alla superficie della loro esistenza ordinaria, fatta sia di miserie morali che di slanci inaspettati, sia di banalità che di passioni disinteressate. Aggiungo solo che politicamente fu conservatore, certo, mai però collaborazionista, come pure è stato insinuato.
Dialogando con la moglie Charles dice: “Che cosa ne sappiamo degli altri, in definitiva quando neanche di noi stessi sappiamo granché”, e pensa a come la moglie – una donna severa, incline a giudicare tutto e tutti – avrebbe reagito al proprio suicidio, probabilmente risposandosi subito. Poi andando a trovare Lulu si troverà ad avere una relazione con una lavorante, Adeline, senza sapere bene perché, dal momento che non lo attrae per niente: “Se fossi in grado di spiegarlo, sarei senz’altro in grado di far luce su uno dei lati più oscuri della natura umana”. Lei non è né bella né brutta, la pelle è flaccida, troppo diafana, oltretutto “fa l’amore piuttosto male”, però quello che conta “è la sua capacità di turbarmi”, e anzi durante l’amore “spia il mio turbamento invece di pensare al proprio piacere”. Forse quell’adulterio non è che una “reazione contro la società e le sue regole”, il desiderio di un “accoppiamento puro e semplice, privo del complicato apparato di legalità, moralità e sentimentalismo di cui l’abbiamo circondato”. E ripensa al Grande Bob, un brav’uomo ma debole, che “si è lasciato sprofondare a poco a poco nella vita dissoluta di Montmartre”, con le sue innumerevoli avventure fugaci (come quelle che intratteneva lo stesso Simenon), con i suoi mille lavoretti e la sua anarcoide indolenza. A volte gli appare come uno spirito libero, altre volte come un fallito, una personalità inconcludente e irrisolta, forse disgustata di sé.
Inoltre uno che “non ha mai pensato in modo semplice”: frustrato nelle sue contraddittorie ambizioni (aspirava a diventare scrittore, poi soldato coloniale ma sognava di fare il muratore!) e inutilmente complicato. Eppure, conclude Charles nella sua indagine, uno che “adottando” Lulu, assumendosene la responsabilità (lei viveva interamente in lui, nelle sue parole), ha fatto una scelta di vita radicale: “Dopo aver desiderato di essere un santo del deserto, poi un umile tra gli umili, aveva semplicemente scelto, come aveva detto alla sorella, di dedicarsi a rendere felice una persona”. Un giorno all’università doveva presentarsi a un esame decisivo per la sua carriera (è iscritto a Legge), con dei professori amici del padre (preside della facoltà), ma lui non si presenta neppure, deludendo e anzi umiliando il padre. Sceglie di dedicarsi a Lulu (dal padre avversata), di guidarla come una bambina nella vita.
Torniamo alla considerazione iniziale: l’indagine del dottor Charles Coindreau – le sue “riflessioni contorte” – , sull’enigma del suicidio del Grande Bob, riguarda infine ogni lettore, le ragioni di vita di ciascuno. Ma riguarda anche, sia pure indirettamente, la vita politica, dove l’agire umano appare governato non tanto e solo dalla razionalità (dagli interessi) quanto da puntigli, ossessioni identitarie, rovelli segreti, fantasmi personali, pulsioni inconfessate. Charles dirà tra sé e sé: “Sottrarsi alle regole per alcuni minuti significa rivendicare il diritto di comportarsi una volta tanto da animale”. Siete sicuri che una rivolta così regressiva, infantile contro le regole – e che coincide con un lato oscuro dell’animo umano – non possa trovarsi anche nei potenti e nei grandi leader politici?