La risposta al filosofo
Così ci siamo inariditi: la società distrutta dal profitto
La scristianizzazione della comunità non è un fenomeno recente, ma è vecchio quanto l’imborghesimento del mondo che ha messo al centro dell’azione umana la legge del mercato
Editoriali - di Filippo La Porta
Davvero la scristianizzazione della società italiana è la radice di ogni male, come lamenta Massimo Cacciari in un’intervista, aggiungendo che il Vangelo non parla più a nessuno (sono un fedele lettore delle interviste di Cacciari: quando parla è di trasparente chiarezza, e non ricorre all’uso estenuato di suffissi e prefissi, come quando scrive !)? Forse sì, ma la scristianizzazione (intrecciata con la secolarizzazione) della società – non solo italiana – prende avvio da molto tempo, almeno dall’inizio della modernità. Per caso i miei genitori, quelli di Cacciari, etc., ci hanno educato alla carità, alla condivisione dei beni, all’assistenza ai bisognosi, all’amore attivo, e non invece al successo, all’autoaffermazione individuale?
Suggerisco un aureo libretto di Lucien Goldmann – sociologo e filosofo, marxista originale – L’illuminismo e la società moderna (Einaudi 1967), molto amato fra l’altro da Augusto Del Noce ( a sua volta amato da Cacciari). Vi spiega come l’attività economica, indifferente ai valori e orientata all’unico, immanente criterio del successo o dell’insuccesso, punta sull’inesistenza di Dio. Nel Medioevo, quando la vita quotidiana era imbevuta di fede, ancora si parlava di un prezzo equo o non equo, poi non si conosce che un prezzo giusto o sbagliato, cioè tale da assicurare il massimo profitto o non assicurarlo. Secondo l’antico criterio il perseguimento del guadagno, la brama di arricchimento appariva come attitudine egoistica contraria al bene, con l’affermarsi della società borghese l’utile privato tende a coincidere con l’utile sociale. Chi vuole arricchirsi svolge un’attività meritoria, che favorisce l’intera comunità.
Da allora il povero è tale perché considerato pigro e poco intelligente, e certo non gode del favore di Dio. La stessa carità, “quando intaccava la sostanza patrimoniale, come accadeva nel Medioevo, veniva ora considerata come una spoliazione dei propri figli”. Insomma, la questione sollevata da Cacciari – scristianizzazione (comunque intrecciata con la secolarizzazione) è rilevante, ma non riguarda solo gli italiani vieppiù incarogniti da Salvini & Meloni: “un tempo la miscredenza era individuale e la fede era collettiva; ora, divenuta la miscredenza un fenomeno sociale, la fede diventa spesso un fatto individuale”, che, in quanto tale, non incide più sul senso comune, sulla vita sociale, sull’agire delle persone, sul loro modo di vivere, di lavorare, di curarsi, di immaginare il futuro, di relazionarsi all’altro. Gli illuministi, quando non erano atei, come Diderot, professavano una religione naturale (Rousseau), vagamente panteistica e priva della rivelazione: Dio visto come orologiaio, demiurgo benevolo e razionale, creatore di un ordine finalistico (nel ‘900 la fiducia in un ordine razionale del cosmo ha subito alcuni scossoni). In ogni caso “il tribunale della Storia ha sentenziato che il cristianesimo deve considerarsi come un evento spirituale superato”, e la fede si riduce sempre più a “una faccenda psicologica personale e privata, puramente interiore”.
Singolare come un po’ di cristianesimo evangelico tornasse nel ‘68 – sia pure in un modo deviato – in certe pratiche legate alla militanza politica dei “rivoluzionari”. C’era uno dei tanti gruppi della sinistra extraparlamentare, la Unione dei marxisti-leninistì (se tento di parlarne a mio figlio mi sembra di raccontare un fantasy), i cui membri si vendevano giradischi, televisore, auto, financo la casa per destinare i soldi alla causa (certo, non ai poveri ma al Partito, tuttavia in quell’agire disinteressato, “irragionevole”, socialmente scandaloso e incomprensibile – un agire che oggi non dovremmo deridere e o giudicare con sufficienza! – , si celava un’eco della carità dei primi cristiani). D’altra parte bisogna pure dire che il nostro marxismo di quell’epoca era contrarissimo all’elemosina, che non risolve i problemi, attutisce le contraddizioni e lascia inalterati i rapporti di classe. Formidabile alibi ideologico per la nostra immensa tirchieria e il nostro gelido egoismo borghese!
Anche condividendo la diagnosi cacciariana cosa fare per provare a ricristianizzare la società, per consentire al Vangelo di parlarci e di ispirarci (anche a prescindere dalla nostra fede religiosa: qui intendo farsi toccare dalla sua verità profonda sulla condizione umana)? Non servono convegni, libri e talk televisivi. Mi viene in mente una cosa sola: darsi da fare, individualmente, senza delegare niente a nessuno, compiere subito qualche gesto caritatevole che abbia un valore esemplare e che possa essere anche minimamente contagioso.
Se stasera, poniamo, mi porto a casa il barbone che dorme sul marciapiedi davanti, gli permetto di fare una doccia calda e gli do da mangiare .- e soprattutto se faccio tutto questo “gioiosamente” e non per un dover essere – ecco che il Vangelo torna a parlarmi. In fondo non occorre molto. Anzi, soltanto mostrare agli altri il nesso possibile – non garantito ma appunto possibile – e tra aiuto concreto a chi ha bisogno e (relativa) felicità, sarebbe un piccolo grande contributo alla auspicata cristianizzazione.