Il membro della Segreteria nazionale Cgil
“La rivolta sociale è andare al voto, 5 sì ai referendum su lavoro e cittadinanza”, parla Ferrari (Cgil)
«Sia i 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil che quello sulla cittadinanza puntano a favorire una svolta che chi governa il paese vuole impedire. I cittadini hanno la possibilità di decidere e migliorare le proprie condizioni di vita. Meloni sbandiera record fuori dalla realtà, da quando si è insediata è iniziato il declino economico»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

“Ostaggio”, “prigioniera”, “succube”. Variano i termini, ma non la sostanza politica: per la stampa mainstream, e anche per alcune componenti del suo stesso partito, Elly Schlein sarebbe subalterna alla Cgil di Maurizio Landini. Christian Ferrari, membro della Segreteria nazionale della Cgil, a lei la parola.
Non spetta a me entrare nelle dinamiche del Partito democratico. Mi limito a considerare positivamente la nuova attenzione al mondo del lavoro da parte della segretaria del principale partito dell’opposizione. Dal salario minimo alla sanità pubblica, per arrivare alla sottoscrizione dei nostri referendum sul lavoro, c’è la sensazione che si voglia imprimere una svolta rispetto al passato, provando a recuperare un rapporto con larghe fasce popolari che non si sentono più rappresentate, al punto da disertare – in numeri sempre più ampi – le urne. Credo che ciò avvenga perché da tempo hanno la percezione che si sia innescato un pilota automatico che considera la svalorizzazione, la precarizzazione, l’impoverimento del lavoro come dati ineliminabili, se non addirittura indispensabili per tenere in equilibrio il sistema. Ecco, noi pensiamo il contrario: ossia che è necessario rimettere al centro un lavoro libero, ben retribuito e di qualità. E che il compito della Sinistra non sia garantire gli equilibri del sistema, ma cambiare un modello di sviluppo ormai insostenibile sia dal punto di vista sociale, che da quello ambientale. E riteniamo che sia i quattro referendum promossi dalla Cgil, che quello sulla cittadinanza, vadano nella direzione di favorire una svolta che chi governa il Paese vuole a tutti i costi impedire. Per questo la nostra campagna sarà unica e coerente nel chiedere 5 Sì alle cittadine e ai cittadini italiani che, con il loro voto, hanno la possibilità di decidere direttamente e migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Una campagna che può essere condivisa non solo dal Pd e dalle altre forze politiche progressiste che hanno firmato i nostri quesiti, ma anche da tanti elettori che hanno votato per i partiti di maggioranza sulla base di promesse che sono andate clamorosamente tradite. Basti pensare – solo per fare un esempio – al solenne impegno di cancellare la Legge Monti-Fornero. Alla fine, l’alternativa che avranno di fronte gli elettori è piuttosto semplice: se ritengono che le cose vadano bene come sono, possono votare No; se invece pensano che sia necessario cambiare la loro situazione e quella dell’Italia hanno un’occasione a portata di mano per farlo: votare Sì a tutti i quesiti.
Che in Italia crescano le disuguaglianze e il malessere sociale è documentato da rapporti, sondaggi, di fonti diverse e non certo estremiste. Sul banco degli imputati finiscono quelli che cercano di trasformare quel malessere in “rivolta”. Una colpa?
Secondo l’ultimo rapporto Oxfam, il 5% più ricco delle famiglie italiane è titolare del 47,7% della ricchezza nazionale, mentre il 50% più povero ne detiene appena il 7,4%. E il 63% della ricchezza si trasmette per via ereditaria: la famosa “meritocrazia”. Cosa deve succedere ancora prima di dire basta, prima di considerare tutto questo inaccettabile? La rivolta sociale che chiederemo nei prossimi mesi sarà andare a votare, per rianimare una democrazia sempre più asfittica, dove la rassegnazione ha preso il posto della partecipazione. Una rassegnazione alimentata dai tanti che raccontano, da una parte, che non ci sono alternative; dall’altra che le cose tutto sommato vanno bene. Il Governo, addirittura, sbandiera record e primati completamente fuori dalla realtà. È sufficiente considerare i dati sulla crescita per rendersi conto che questa narrazione fa acqua da tutte le parti. Il secondo semestre del 2024 ha visto un Pil fermo allo 0,0%. Questo avrà ricadute immediate anche sul 2025. E le conseguenze sono facilmente prevedibili: le crisi aziendali e di settore si moltiplicheranno anziché risolversi, con inevitabili effetti negativi sull’occupazione, con le diseguaglianze sociali che cresceranno ulteriormente, con un ulteriore compressione della domanda interna. È definitivamente finito l’effetto del rimbalzo post Covid favorito dalle politiche dei governi che hanno preceduto l’attuale, e che hanno spinto anche i dati dell’occupazione. Da quando si è insediato l’Esecutivo Meloni è cominciato il declino economico, con ben ventidue mesi di calo della produzione industriale e il ritorno a una crescita dello “zero virgola”. Questa è la situazione, anche se il dibattito pubblico è concentrato su tutt’altro. Anzi, è concentrato su tutt’altro proprio per non fare i conti con la realtà.
Il segno dei tempi sono i lavori poveri. Una nuova forma di sfruttamento di un mondo, soprattutto giovanile, che non ha tutele né sufficiente rappresentanza. È così?
La condizione giovanile, come quella delle donne, è ovviamente la più penalizzata. I salari sono più bassi, la precarietà è più diffusa. Una precarietà che, come abbiamo detto tante volte, da lavorativa diventa sempre più spesso esistenziale. È per sfuggire a un destino che sembra segnato, che migliaia di ragazze e ragazzi ogni anno emigrano dal nostro Paese, peggiorando l’inverno demografico in cui siamo immersi da ormai troppo tempo. I giovani sono sempre meno, e questo fa sì che le loro istanze abbiano un peso inferiore anche a livello politico. Il classico cane che si morde la coda. L’approccio al tema da parte del Governo è noto: quando parla di nuove generazioni usa un unico linguaggio, quello della repressione – dal decreto rave al ddl sicurezza – con il dichiarato obiettivo di criminalizzare il dissenso. Anche la maggiore sensibilità giovanile sul tema ambientale viene dileggiata, con un approccio che sfiora, quando non supera, il confine del negazionismo climatico. Invece di contrastare la precarietà e il lavoro povero, come ha fatto efficacemente la Spagna (che non a caso chiude il 2024 con un Pil al +3,2%), si va nella direzione opposta. L’Italia, proseguendo su questa strada, sarà sempre meno un “paese per giovani”.
Dal punto di vista della Cgil cosa c’è di pessimo nella legge di Bilancio del governo e approvata a maggioranza dal Parlamento?
È una legge di bilancio pessima sia per ciò che contiene, sia per quello che manca. Non contiene un solo provvedimento in grado di invertire il declino economico e produttivo di cui abbiamo parlato. Anzi, riuscirà perfino ad aggravarlo con il ritorno all’austerità e ai tagli lineari alla spesa pubblica e agli investimenti. Così come peggiorerà la crisi sociale con il definanziamento della sanità e l’indebolimento di un welfare che, di questo passo, diventerà sempre meno pubblico e universalistico. Anche per quanto riguarda il brutale impoverimento di chi vive di salario o di pensione, causato da un’inflazione da profitti, non si intravede alcun rimedio. La fiscalizzazione del cuneo contributivo viene finanziata interamente da lavoratori e pensionati che, a causa del drenaggio fiscale, hanno pagato, nel 2024, oltre 17 miliardi di gettito Irpef in più. Oltretutto, fino a 35.000 euro di reddito, la gran parte di lavoratrici e lavoratori vedranno ridotto il netto in busta paga, con un inaccettabile accanimento verso le fasce più povere (tra gli 8.500 e i 9.000 euro si perdono 1.200 euro all’anno, praticamente due mesi di stipendio). Il Governo, dopo la nostra denuncia, si è preso l’impegno di rimediare a questa clamorosa ingiustizia. Vigileremo affinché almeno questa promessa venga mantenuta. In definitiva, siamo di fronte a una linea economica che – quando va bene – lascia irrisolti i problemi; quando va male, accelera la deindustrializzazione del Paese.
La Cgil oltre la dimensione strettamente sindacale è parte di un movimento solidale che si batte contro il securitarismo criminale che ha contribuito a fare del Mediterraneo il “Mare della morte” e la Libia uno “Stato-lager”.
Il 27 gennaio abbiamo celebrato la Giornata della Memoria, per ricordare l’apertura dei cancelli di Auschwitz e per far sì che gli orrori della Shoah non possano più ripetersi. A ridosso di quella data, il Governo italiano ha liberato il torturatore libico Almasri, riaccompagnandolo nel suo paese con un volo di Stato, pur sapendo che in questo modo continuerà a perpetrare gli orribili crimini contro l’umanità già commessi, al punto da meritarsi un mandato di cattura dalla Corte penale internazionale. Sarebbe questa la lezione che abbiamo imparato dal nostro terribile passato? Ma tutto ciò è solo la punta dell’iceberg delle politiche migratorie di un Esecutivo che invece di ringraziare e sostenere le Ong che salvano vite in mare, le ostacola in ogni maniera possibile e ne criminalizza l’operato. E come se non bastasse, continua a costringere decine di persone a fare la spola attraverso l’Adriatico per riempire i centri di detenzione che ha costruito in Albania, senza peraltro riuscirci perché viviamo, per fortuna, ancora in uno stato di diritto che la magistratura italiana si ostina a far rispettare. Una politica disumana e inefficace, che tenta di cavalcare l’onda sovranista che sta travolgendo, sia in Europa che al di là dell’Atlantico, i principi fondamentali su cui si reggono le nostre democrazie. Le forze democratiche e progressiste non hanno alternative a opporsi con tutte le loro forze a questa vera e propria deriva, proponendo un modello alternativo che garantisca la sicurezza dei cittadini attraverso la giustizia sociale e politiche migratorie che favoriscano l’integrazione di chi vive e lavora in Italia. Si fa il contrario: non cancellando una legge come la Bossi-Fini che spinge tantissime persone verso la clandestinità, mettendole nelle mani della criminalità e dello sfruttamento; alleandosi con quei governi europei che rifiutano qualunque solidarietà nell’accoglienza dei migranti; stringendo patti indicibili con regimi che opprimono i loro popoli; non muovendo un dito per risolvere i conflitti in corso e promuovere la pace; negando un cambiamento climatico che, se non sarà fermato, renderà invivibili zone sempre più estese del mondo, costringendo chi le abita a cercare salvezza ad altre latitudini.