A destra volano cazzotti

Perché Santanché deve dimettersi: la ministra scaricata anche da Meloni

Il presidente del Senato da prassi smentisce che nel colloquio con Meloni si sia parlato di lei, ma in realtà, vicina ad altri due rinvii a giudizio, “Danielona” si farà da parte

Politica - di David Romoli

23 Gennaio 2025 alle 08:00 - Ultimo agg. 23 Gennaio 2025 alle 09:49

Condividi l'articolo

Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse
Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse

Il guaio più urgente, il caso Santanchè, sembra a un passo dalla risoluzione però non è detto. Quello più longevo, la nomina dei giudici vacanti della Corte costituzionale, resta nella palude. Quello più serio – lo scontro con la Lega – è in altissimo mare e questo invece è assolutamente detto. Il cerchio intorno a Daniela Santanchè si sta chiudendo.

In pole position, per subentrare come ministro del Turismo ci sarebbe ora il capo dei senatori FdI Lucio Malan. Il presidente del Senato Ignazio La Russa, politico della vecchia scuola, smentisce per principio: “Nel pranzo di martedì io e Meloni non abbiamo parlato del caso Santanchè”. Non pretende nemmeno lui, probabilmente, che qualcuno gli creda. È un fatto che le dimissioni della ministra rinviata a giudizio e con altri due fascicoli a fortissimo rischio di tradursi in altrettanti rinvii a giudizio ha preso la rincorsa dopo l’incontro tra la premier e il presidente del Senato. La Russa era il nome più pesante tra quelli che facevano scudo alla ministra. Il suo semaforo verde è quasi un via libera assoluto anche se voci in difesa della ministra non mancano e alcune molto autorevoli come il ministro della Difesa Crosetto, fondatore di FdI con Giorgia e La Russa.

I pareri contrari non bastano a far ricredere la premier. Il suo è un calcolo preciso e parzialmente dettato dall’esperienza. Con due possibili, anzi probabili, rinvii a giudizio, inclusa la vicenda più imbarazzante e spinosa di tutte, la truffa ai danni dell’Inps, fare muro intorno alla ministra del Turismo sarebbe uno stillicidio. A Meloni è bastata e avanzata la storiaccia Sangiuliano, pur essendosi prolungata solo per settimane. In questo caso sarebbero mesi. Meglio darci un taglio subito. Così, quando al termine di un vertice di maggioranza nel quale è impossibile che non si sia parlato anche del problema Danielona, arriva a palazzo Chigi Malan la faccenda sembra risolta con l’avvicendamento di Malan. Il capo dei deputati Bignami, a Chigi con Malan del resto è sibillino: “La presunzione d’innocenza è un principio fondante. Comunque valuterà la ministra”.

A sedare gli ardori provvede Tajani, che come tutta FI almeno ufficialmente è contrario alle dimissioni in nome del garantismo: “Nell’incontro di oggi di Santanchè non si è parlato. Noi siamo garantisti e finché una persona non è condannata in via definitiva è innocente”. Anche lui però lascia la porta spalancata: “Poi sono scelte che farà Santanchè”. Da palazzo Chigi arriva rapida una smentita secca: “Malan e Bignami erano a palazzo Chigi per parlare di autostrade. Il resto sono solo fantasie”. La deadline che la presidente si sarebbe data è il 29 gennaio, quando ci sarà la decisione sullo spostamento delle indagini da Milano a Roma come richiesto dalla difesa di Santanchè. La reticenza e le smentite di queste ore dovrebbero servire a non far precipitare la situazione con Santanchè, che si dice pronta ad accettare il verdetto della premier ma non ha alcuna intenzione di andarsene. Ma anche se ci vorranno ancora alcuni giorni tutto indica che la decisione sia stata presa, la manovra non è solo in corso ma in fase avanzata e dunque le dimissioni dovrebbero essere a un passo.

Per qualche ora, ieri, è sembrato che fosse arrivata al capolinea anche la tormentosa vicenda della Consulta. Niente da fare. Manca l’accordo di maggioranza ma anche l’opposizione non si è messa d’accordo sul nome del tecnico che deve proporre. Così Tajani ha gioco facile nel mascherare le divisioni della maggioranza dietro quello degli avversari: “Aspettiamo che la sinistra si metta d’accordo”. La musica diventa molto più tesa, roba da Goblin in un film di Dario Argento, quando si passa al problema più grosso con il quale Giorgia si sia trovata alle prese da quando è presidente del Consiglio: il braccio di ferro con la Lega su Veneto e Autonomia. La Lega ha fretta, insiste per accelerare al massimo adesso che la spada di Damocle del referendum non incombe più. Forza Italia è di opinione opposta e il governatore della Calabria Occhiuto, il più esposto e determinato nell’opporsi al testo per come lo aveva steso Calderoli, non potrebbe essere più chiaro: “Né fretta né melina. Il Parlamento dovrà lavorare per dotare il Paese di una legge realmente conveniente per tutti. Nel frattempo, sia chiaro, nessuna corsa alle intese tra Stato e Regioni”.

La Lega ha a proprio favore la spartizione delle riforme fra i tre partiti della maggioranza e la bocciatura del referendum, che peraltro va bene a tutta la destra perché quel referendum era considerato ad alto rischio di provocare emorragie di consensi nel sud. Ma Forza Italia, e in realtà anche FdI e la premier che mira a posticipare l’entrata in vigore dell’autonomia alla prossima legislatura, possono giocare una carta anche più pesante: l’impossibilità tecnica di limitarsi ad accogliere i rilievi avanzati dalla stessa Consulta con la sentenza dello scorso dicembre. I punti che la Corte chiede di cambiare sono nodali, impongono di riscrivere la legge. Luca Zaia se ne rende conto, cerca di sterzare con un appello all’opposizione: “È il momento del dialogo. Bisogna smettere di guardare al futuro con le divisioni del passato”. Ma che i tempi possano essere rapidi come si augura per primo proprio Zaia sembra difficilissimo.

L’autonomia, però, era la sola moneta di scambio grazie alla quale la premier poteva sperare di far accettare alla Lega il sacrificio di Zaia sul terzo mandato e del Veneto con una candidatura alla presidenza di FdI senza troppi traumi. Senza autonomia a breve e senza poter promettere che il Veneto resterà del Carroccio il congresso leghista di marzo diventerà per Salvini un’arena da gladiatore e a quel punto potrebbe succedere davvero di tutto: dalla detronizzazione del leader alla sua scelta di alzare la posta mettendo in pericolo il governo anticipando così gli agguati interni.

23 Gennaio 2025

Condividi l'articolo