Bocciati i quesiti
Autonomia differenziata, niente referendum: Salvini brinda, Meloni e Schlein non piangono
La Corte stoppa la consultazione popolare, perché - spiega - non si possono abrogare leggi costituzionali. Meloni evita così una campagna negativa contro FdI, mentre Schlein evita il rischio di un flop
Politica - di David Romoli

Una sentenza e passa la paura, per il governo ma anche per il Pd. La Consulta ha ammesso cinque referendum su sei. Quello bocciato era non il più temuto ma il solo temuto davvero da palazzo Chigi: l’autonomia differenziata. Gli altri referendum sia chiaro, riguardano temi fondamentali. Forse, dopo che l’intervento della stessa Corte costituzionale ha snaturato l’autonomia di Calderoli nei suoi elementi più contundenti, persino più vitali del quesito cestinato. C’è il dimezzamento dei tempi per la concessione della cittadinanza, e ci sono quattro quesiti che smantellano completamente il Jobs Act di Renzi. Ma il governo è sicuro che quei referendum al quorum non arriveranno mai e quasi certamente ha ragione.
Con l’autonomia le cose sarebbero state molto più difficili. Prima di tutto perché una riforma che penalizza mezzo Paese rischiava di portare alle urne tanta gente da varcare il solitamente inarrivabile quorum. Poi, e forse soprattutto, perché la prova referendaria avrebbe comunque messo la questione sotto i riflettori per mesi e non è uno di quei temi fatti per guadagnare consensi da Roma in giù. Infine il referendum incombente avrebbe portato alle stelle la tensione già fortissima nella maggioranza tra chi vuole procedere di corsa, limitandosi ad applicare le disposizioni della Corte, cioè la Lega, e chi vorrebbe invece cogliere l’occasione per ripensare profondamente l’autonomia differenziata, cioè Forza Italia ma in realtà anche FdI.
Per capire bene cosa ha convinto la Corte ha bocciare il referendum politicamente più sensibile, con una sentenza opposta a quella della Corte di Cassazione, bisognerà come sempre leggere per esteso il dispositivo, nella sentenza che sarà depositata nei prossimi giorni. Qualcosa però la Consulta ha anticipato. La Corte “ha rilevato che l’oggetto e la finalità del quesito non erano chiari” e che, di conseguenza, era “pregiudicata la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore”. Il problema, specifica il comunicato della Corte costituzionale, è che il quesito, per come è stato proposto, interviene sull’autonomia differenziata, cioè sulla riforma costituzionale varata dal centrosinistra nel 2001, con strettissima maggioranza e nelle ultime ore della legislatura, poco prima che le Camere venissero sciolte. Ma gli articoli costituzionali non possono essere oggetto di referendum. Per modificarlo occorre una revisione della Carta stessa. La legge di Calderoli, in effetti, è legge ordinaria e non costituzionale proprio perché non sancisce l’autonomia differenziata. Si limita a fare quello che tutti i governi dal 2001 in poi avevano evitato di fare: la applica.
Il Pd non si fascia la testa. Anzi, si percepisce chiaramente che la sentenza è di sua piena soddisfazione. La battaglia referendaria sarebbe stata un guaio per il governo ma anche per l’opposizione, perché comunque il rischio di non raggiungere il quorum e di essere sconfitti sarebbe stato altissimo, e in particolare per il Pd. Affrontare la sfida referendaria e la campagna elettorale senza prendere di mira una riforma costituzionale che a suo tempo fu voluta dal Pd stesso, prima da D’Alema e poi da Amato, sarebbe stato letteralmente impossibile. Di fatto il responsabile Riforme del Pd Alfieri gongola: “La decisione è la naturale conseguenza della sentenza della stessa Corte che a dicembre ha di fatto demolito la legge voluta dal centrodestra”. Subito dopo, però, lo stesso Alfieri rimarca il pericolo che la legge, anche se amputata, rappresenta e promette battaglia. Una certa contraddizione innegabilmente c’è.
Infatti la Lega tripudia, e il primo a sgolarsi è Luca Zaia: “La Consulta ha dichiarato il referendum inammissibile. E ora AVANTI TUTTA!”. Con tanto di maiuscole nel comunicato. La Lega ha molte ragioni di festeggiare. Dopo la sentenza di ieri il lavoro sotterraneo di tutto il resto della maggioranza per allungare a dismisura i tempi, modificare abbastanza radicalmente anche quel che resta della legge Calderoli e comunque far slittare la spinosa faccenda alla prossima legislatura, a elezioni celebrate, diventa molto più difficile. E per Giorgia, già alle prese con un braccio di ferro molto pericoloso con la Lega del nord, puntare i piedi sull’autonomia non sarà affatto facile.