L’appello dei genitori a giornali e tv

In silenzio per Cecilia, la richiesta della famiglia e la trattativa in corso: tutto quello che c’è da sapere sul caso Sala

La richiesta dei familiari è arrivata dopo le drammatiche telefonate della giornalista: niente letto, luce sempre accesa, occhiali requisiti. C’è il timore che troppo clamore possa far inalberare Teheran

Cronaca - di David Romoli

5 Gennaio 2025 alle 08:00

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Foto Andrea Alfano / LaPresse
Foto Andrea Alfano / LaPresse

I genitori di Cecilia Sala invocano il silenzio stampa. Più che la diffusione di notizie scomode temono un clamore mediatico fatto di polemiche su cosa il governo dovrebbe fare.

Scrivono infatti: “La situazione di nostra figlia, chiusa in una prigione di Teheran da 16 giorni, è complicata e molto preoccupante.  Per provare a riportarla a casa il nostro governo si è mobilitato al massimo e ora sono necessari oltre agli sforzi delle autorità italiane anche riservatezza e discrezione. In questi giorni abbiamo sentito l’affetto, l’attenzione e la solidarietà delle italiane e degli italiani e del mondo dell’informazione e siamo molto grati per tutto quello che si sta facendo. La fase a cui siamo arrivati è, però, molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione. Per questo abbiamo deciso di astenerci da commenti e dichiarazioni e ci appelliamo agli organi di informazione chiedendo il silenzio stampa. Saremo grati per il senso di responsabilità che ognuno vorrà mostrare accogliendo questa nostra richiesta”.

La richiesta dei genitori della giornalista detenuta in una delle più dure carceri iraniane, quella di Evin gestita dai Guardiani della Rivoluzione, è arrivata dopo che la vicenda, tenuta per molti giorni quasi sotto tono, si era improvvisamente drammatizzata dopo le telefonate della giornalista alla famiglia, nelle quali denunciava condizioni molto diverse da quelle sino a quel momento descritte: nessun letto, luce sempre accesa, sequestro degli occhiali, blocco dei pacchi del consolato italiano. Sino a quel momento la richiesta di massima discrezione avanzata subito dal governo, che nei primissimi giorni aveva anche evitato di pubblicizzare l’arresto, era stata universalmente rispettata. Sembrava infatti che fossero in corso trattative per il rilascio e soprattutto che le condizioni di detenzione, nonostante la durezza del carcere, fossero accettabili. Solo dopo le telefonate di Cecilia Sala il governo ha deciso di convocare l’ambasciatore iraniano per chiedere perentoriamente la liberazione della detenuta e comunque la garanzia di condizioni di vita civili in carcere. Identica richiesta ha poi avanzato ieri l’ambasciatrice italiana in Iran, ricevuta al ministero degli Esteri iraniano.

Cecilia Sala era stata arrestata il 19 dicembre, mentre si apprestava a imbarcarsi su un volo per l’Italia, con accuse mai specificate, tranne il generico addebito dell’aver contravvenuto alle leggi della Repubblica islamica. Il suo arresto era subito stato messo in relazione con quello, avvenuto tre giorni prima a Malpensa, dell’ingegnere svizzero-iraniano Mohammad Abedini, su mandato di cattura internazionale spiccato dagli Usa con l’accusa di terrorismo. Abedini è accusato di aver fornito “supporto materiale” ai Guardiani della Rivoluzione, organizzazione che negli Usa è considerata terrorista ma non in Italia né in Europa. Proprio due giorni fa, dopo la convocazione dell’ambasciatore iraniano al ministero degli Esteri di Roma, gli stessi iraniani hanno chiarito al di là di ogni possibile dubbio, pur senza renderla esplicita, la correlazione diretta tra i due arresti. Ieri una nota iraniana ha definito l’arresto di Abedini “illegale, in linea con gli obiettivi politici ostili degli Usa e tale da danneggiare i rapporti tra Italia e Iran”. Conclusione perentoria: “Roma rigetti la politica sugli ostaggi degli Usa e crei le condizioni per il rilascio” di Abedini. Un botta e risposta, come lo definisce la Farnesina, esattamente speculare.

Abedini ha chiesto gli arresti domiciliari. La Procura di Milano ha dato parere negativo. Gli inquirenti americani si sono rivolti alla Corte d’appello che dovrà decidere sulla richiesta insistendo perché i domiciliari vengano negati. La decisione verrà presa il prossimo 15 gennaio. I tempi saranno però molto più lunghi per quanto riguarda il vero nodo della vicenda: la risposta alla richiesta di estradizione avanzata dagli Usa. Tra l’istruzione del procedimento, l’appello e la Cassazione ci vorranno molti mesi. Del resto tutti i precedenti casi di cittadini occidentali arrestati e poi scambiati con detenuti iraniani o con forti somme di denaro si sono prolungati per anni, in un caso arrivando addirittura a sei anni di detenzione prima del rimpatrio.

Anche l’opposizione si era uniformata alla richiesta di quasi-silenzio del governo. La consegna è stata rotta, prima da Renzi, poi da Elly Schlein, sempre dopo le drammatiche telefonate della detenuta. Hanno allo stesso tempo proposto una collaborazione tra governo e opposizione e richiesto la condivisione delle informazioni sui passi che il governo sta intraprendendo. L’unità di crisi composta dalla premier, dai ministri Tajani e Nordio e dal sottosegretario Mantovano, ha deciso nel vertice di giovedì scorso di declinare sostanzialmente l’offerta per seguire una via molto più convenzionale e modesta. Mantovano riferirà al Copasir il prossimo 6 gennaio e solo “per suo tramite” al Parlamento.

5 Gennaio 2025

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