Lo stop della Procura di Milano

Cecilia Sala, governo in tilt: congelato lo scambio con Abedini che resta in carcere

“È pericoloso e deve restare in carcere”, scrivono gli inquirenti. Parole che sono fumo negli occhi di Meloni. La trattativa con Teheran è in salita

Cronaca - di David Romoli

3 Gennaio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 3 Gennaio 2025 alle 09:43

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Foto Matteo Secci/ LaPresse
Foto Matteo Secci/ LaPresse

La procura generale di Milano ha dato parere negativo alla richiesta di arresti domiciliari per Mohammad Abedini, lo svizzero-iraniano che l’Iran intende “scambiare” con la giornalista italiana Cecilia Sala. Contrari, e non è una sorpresa anche gli Usa: “È un soggetto pericoloso e deve rimanere in carcere”, scrivono gli inquirenti del dipartimento di Giustizia ai giudici milanesi della quinta sezione d’appello, quelli che dovranno decidere sull’estradizione.

La scelta sui domiciliari arriverà entro il 14 gennaio ma le possibilità che Abedini venga spostato in un appartamento affittato all’uopo sembrano ridotte proprio perché l’arrestato era solo di passaggio in Italia. Negare i domiciliari potrebbe però essere preso dalle autorità iraniane come un segnale di chiusura al quale la repubblica islamica potrebbe rispondere con una mossa molto temuta a Roma: accusare la giornalista italiana di spionaggio. Tutto diventerebbe in quel caso molto più difficile. A Roma sia il governo che l’opposizione sono passati da una immobilità apparente (nel caso del governo) o sostanziale (per quel che riguarda l’opposizione) a una improvvisa frenesia.

In realtà c’è voluto Renzi perché il Pd uscisse dallo stato letargico nel quale versava e si decidesse a farsi sentire sull’arresto di Cecilia Sala. “Le ultime notizie – ha detto Renzi – sono molto gravi e preoccupanti. Chiedo alla premier di riunire in sua presenza tutti i leader di maggioranza e opposizione oppure i capigruppo”. Poco dopo una nota congiunta della segretaria del Pd Schlein e del responsabile Esteri Provenzano spiega il silenzio sin qui mantenuto con la discrezione richiesta dal governo ma ora, prosegue la nota, “chiediamo al governo, nelle forme che la delicatezza della vicenda prevede la condivisione con tutte le forze politiche delle iniziative intraprese per la sua liberazione”. Stessa proposta di collaborazione è arrivata dai capigruppo del Pd Boccia e Braga ma la premier non sembra per il momento interessata.

Anche il governo, dopo l’understatement prudenziale dei giorni scorsi, ha alzato di molto i toni. Il ministro degli Esteri Tajani ha convocato l’ambasciatore iraniano reclamando la liberazione immediata della giornalista. Poco dopo a palazzo Chigi si è riunita una sorta di unità di crisi, con la premier, i ministri Tajani e Nordio, il sottosegretario Mantovano e i rappresentanti dei servizi segreti. Ma l’Iran non ha perso tempo prima di rispondere esattamente con i medesimi toni adoperati dall’Italia.

L’ambasciata a Roma replica con un comunicato nel quale dà conto del colloquio tra l’ambasciatore Sabouri e il segretario generale della Farnesina Guariglia. Parla di Mohammad Abedini, lo svizzero iraniano arrestato il 16 dicembre a Malpensa, come vittima di “false accuse” e ne chiede l’immediata liberazione. Assicura che a Cecilia Sala sono state fornite subito “tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari”. Si tratta probabilmente di un messaggio preciso. L’Iran sarebbe infatti molto irritato perché ad Abedini non è stato sino al 31 dicembre permesso di mettersi in contatto telefonico con la famiglia ed era stato anche trasferito a Rossano, carcere pieno di sunniti considerati pericolosi per uno sciita come Abedini: decisione peraltro poi rientrata.

La partita diplomatica si è rivelata nelle ultime 48 ore molto difficile. Gli estremi per negare l’estradizione probabilmente ci sarebbero. I Guardiani della Rivoluzione, ai quali Abedini avrebbe fornito secondo le autorità americane “componenti elettroniche per la fornitura di armi letali” sono considerati organizzazione terrorista negli Usa ma non in Italia. In base al principio della “doppia incriminazione”, per cui l’illecito di cui è accusato l’estradando deve essere tale sia nel Paese che chiede l’estradizione che in quello che deve concederla ci sarebbe pertanto un margine legale per negare l’estradizione. Ma alla fine, per quanto il governo si sforzi di scaricare sulla magistratura la responsabilità di una scelta molto difficile, la decisione sarà politica.

3 Gennaio 2025

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