Il discorso di fine anno
Carceri e migranti: Mattarella sfida il governo
Lo schiaffo del presidente a Salvini-Meloni. Non ha fatto sconti di sorta. Ha confutato, senza averne l’aria, buona parte del trionfalismo del governo.
Politica - di David Romoli
Nel suo decimo messaggio di fine anno rivolto agli italiani Sergio Mattarella ha lavorato di fioretto. Attento a evitare ogni accento apertamente polemico ha però passato in rassegna, spesso quasi telegraficamente, tutto ciò che nella società italiana, e nel mondo, non sta funzionando. Non ha fatto sconti di sorta. Ha confutato, senza averne l’aria, buona parte del trionfalismo del governo.
La situazione dell’occupazione è “incoraggiante”, senza dimenticare però “precarietà, salari bassi, lavoratori in cassa integrazione! Export e turismo registrano dati positivi” ma “con questo aspetto confortante stride il fenomeno dei giovani che vanno a lavorare all’estero perché non trovano alternative”. E i progressi della scienza medica si accompagnano alle “lunghe liste d’attesa per esami che se tempestivi possono salvare la vita” e al fatto che “numerose persone rinunciano alle cure e alle medicine perché prive di mezzi necessari”.
Su un punto però la medaglia presenta una sola faccia, quella oscura, e sono le carceri. Non a caso si tratta di uno dei pochissimi guasti che il capo dello Stato non cita in modo telegrafico. “L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili. Abbiamo il dovere di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere”, ricorda. Ma non si ferma qui. Bersaglia indirettamente ma in modo molto chiaro il viceministro della Giustizia Delmastro, con la sua oscena “gioia” nel vedere che “non lasciamo respirare chi si trova sui furgoni della penitenziaria”. L’approccio del presidente è diametralmente opposto all’intera concezione della pena che la destra non manca mai di esaltare: “I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine. Su questo sono impegnati generosi operatori, che meritano di essere sostenuti”. Difficile credere che quella scelta di usare il verbo “respirare” sia casuale.
Altrettanto impossibile è pensare che la premier Giorgia Meloni abbia equivocato sul serio le parole di Mattarella sul patriottismo. Ieri mattina ha telefonato al presidente per esprimere l’apprezzamento suo e del governo per l’intero discorso ma in particolare per i riferimenti al “valore fondamentale del patriottismo”. Mattarella il patriottismo lo aveva esaltato davvero ma assegnando al termine un significato molto diverso e a tratti opposto a quello che adotta la destra. Patriottismo è quello “dei medici che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose”, degli insegnanti, “di chi si impegna nel volontariato”. E anche “quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità”. Dunque “è fondamentale creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro delle nostre società”.
Alla destra Mattarella riserva anche un terzo colpo, sempre indirettamente e con diplomazia consumata. Ricorda che quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della Liberazione e specifica: “È fondamento della Repubblica e presupposto della Costituzione, che hanno consentito all’Italia di riallacciare i fili della sua storia e della sua unità. Una ricorrenza importante. Reca con sé il richiamo alla liberazione da tutto ciò che ostacola libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia”. Una Liberazione, dunque, che deve ancora in larga parte verificarsi, nel solco di quella di 80 anni fa.
Su un fronte, però, la visione del presidente e quella della premier coincidono però davvero e senza sbavature: quello della guerra in Ucraina. La guerra è il primo passaggio che il presidente affronta nel suo messaggio augurale, per esclamare che “mai come adesso la pace grida la sua urgenza”. In Ucraina come a Gaza e per gli ostaggi di Hamas. Stavolta, a differenza che nel precedente discorso ai vertici istituzionali, Mattarella non cita apertamente la necessità di far nascere lo Stato palestinese ma indica abbastanza evidentemente quella strada. Sull’Ucraina il discorso è molto più complesso perché pace “non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi”. Deve essere “la pace del rispetto dei diritti umani, la pace del diritto di ogni popolo alla libertà e alla dignità. Perché è giusto. E – se questo motivo non fosse ritenuto sufficiente – perché è l’unica garanzia di una vera pace, evitando che vengano aggrediti altri Paesi d’Europa”.
Dunque il sostegno armato all’Ucraina deve proseguire a ogni costo e Putin costituisce una minaccia che obbliga al riarmo. Certo è orribile che la spesa mondiale per gli armamenti sia “otto volte più di quanto stanziato dalla recente Cop 29 di Baku per contrastare il cambiamento climatico”. Ma questo obbrobrio, la crescita della spesa militare, è stata “innescata nel mondo dall’aggressione della Russia” e dunque bisogna adeguarsi. Su questo punto l’apprezzamento della premier è certamente sincero e anche sulla cautela mostrata da Mattarella sul caso di Cecilia Sala: “Le siamo vicini in attesa di rivederla al più presto in Italia”. Più prudente di così non avrebbe potuto essere. Ma su tutto il resto del discorso del presidente di “apprezzabile”, da parte del governo, c’era davvero ben poco.