La dura discussione in Senato

Meloni fa la bulla: strilla in Senato sulla camorra ma non sa cosa dire

La premier si vanta di aver cacciato i mafiosi da Caivano suscitando l’ilarità di palazzo Madama. Poi le saltano i nervi. Tra Ue e Ucraina per lei saranno dolori

Politica - di David Romoli

19 Dicembre 2024 alle 10:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Capita molto raramente, tanto più in un bicameralismo quasi posticcio come è ormai quello del Parlamento italiano, che due dibattiti consecutivi, sullo stesso tema e introdotti dalle stesse comunicazioni del governo vadano oltre il livello della fotocopia. Eppure, anche se per accorgersene era necessaria una certa attenzione, tra il dibattito di due giorni fa a Montecitorio sulle comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo e quello con il medesimo odg di ieri a palazzo Madama la differenza c’è stata. Non è un caso. In mezzo c’è stato il discorso di Sergio Mattarella ai vertici delle istituzioni di martedì pomeriggio.

Al Quirinale circola una notevole irritazione per la sottovalutazione con cui sia una platea distratta che il sistema mediatico hanno accolto un discorso che il presidente considerava e considera invece della massima importanza. Tanto da spingere gli apparati del Colle a far sapere in anticipo quanto fondamentale il capo dello Stato ritenesse quel discorso. Il fatto che la politica e l’informazione non lo abbiano considerato a dovere si spiega in realtà facilmente. La reprimenda era rivolta a tutti: non solo all’intero sistema politico ma anche a quello informativo e culturale. Il presidente ha chiesto a tutti, con toni quasi apocalittici, di smettere di portare in scena o fomentare lacerazioni totali e inconciliabili, perché in questo modo a rischio finisce per essere la stessa democrazia. Il monito tocca il governo più di chiunque altro per il solo fatto di essere appunto il governo, ma era rivolto anche all’opposizione e ai media.

Di conseguenza tutti hanno preferito far finta di non aver sentito o non aver capito, cogliendo nella maggior parte dei casi solo il passaggio rivolto quasi esplicitamente al governo, quello nel quale il presidente ricordava a chiunque abbia responsabilità istituzionali l’obbligo di esercitarla “sapendo che le istituzioni sono di tutti”. Ma il senso del messaggio non è sfuggito alla premier, decisa a fare il possibile per evitare frizioni con il Quirinale. Dunque ieri, pur se in una replica particolarmente rissosa, la presidente ha infilato alcuni segnali di disponibilità al dialogo. Ha ringraziato il Pd Alfieri per aver riconosciuto l’importanza del piano Mattei e se anche il Pd considera quella strategia utile e importante perché non collaborare per metterla a punto? Sulla fiducia alla Camera sulla legge di bilancio ha giurato di vederla anche lei come fumo negli occhi.

L’unico motivo che spinge il governo, ha assicurato, dipende dal calendario, cioè dall’obbligo di approvare la legge entro il 31 dicembre pena l’esercizio provvisorio. Ma se si trovasse un accordo con l’opposizione per garantire comunque l’approvazione nei tempi utili nessuno sarebbe più di lei contento nel rinunciare alla fiducia. Sono solo segnali, certo, ma dei quali non c’era traccia appena 24 ore prima. Va detto che le peraltro timide aperture non si conciliano con la rissosità dei toni della replica di ieri al Senato, persino più ruggenti di quelli della Camera il giorno prima. Il colmo si è raggiunto quanto, mentre vantava lo sgombero delle case occupate dai camorristi a Caivano, qualcuno dall’aula ha fatto il verso con cui si bolla di solito l’esagerazione trionfalista di un oratore e la premier, su tutte le furie, si è messa a ripetere il verso a tono altissimo e poi letteralmente a sbraitare rivendicando il merito di aver cacciato i camorristi come nessuno aveva fatto prima. Naturalmente mezza aula ha preso a intonare il medesimo verso che aveva scatenato le ire dell’oratrice, in un quadretto che definire increscioso è ancora molto poco. Il problema, in tutta evidenza, è che la premier ormai fatica a tenere a bada il nervosismo.

Già ma cosa la preoccupa tanto? Probabilmente il quadro nel quale si troverà a dover agire da protagonista e non da comprimaria tra meno di un mese, quando Trump sarà a tutti gli effetti presidente. Nelle informative dei due giorni scorsi la premier non ha fatto cenno a ripensamenti strategici sull’Ucraina. La linea dell’Italia e peraltro dell’Europa resta arrivare a una pace basata sulla sostanziale sconfitta di Putin. “Anche Trump dichiara che la pace è possibile perché Putin ha perso”, ha risposto in aula a chi le rinfacciava la vicinanza a un presidente la cui visione delle cose su quel conflitto è molto diversa da quella di Joe Biden e della stessa Giorgia.

Stessi toni con riferimento ai rapporti con Musk: “Posso avere rapporti di amicizia senza per questo obbedire e infatti siamo il primo governo in Italia ad aver regolamentato l’attività dei privato nello spazio”. Ma sono schermaglie. La premier sa perfettamente che conciliare il progetto di un’internazionale di destra con Trump e Milei, a cui tiene più di quanto non ammette, con l’alleanza di ferro europeista con il Ppe sarà un’impresa. Sa anche che, essendo realmente oggi il capo di governo più influente d’Europa, la responsabilità di cercare la mediazione con il prossimo inquilino della Casa Bianca, sia sull’Ucraina che sui nodi spinosissimi dei dazi e delle spese militari, ricadrà in buona parte sulle sue spalle. Sin qui ha gioito per gli onori che la centralità ottenuta in Europa le riserva. Presto dovrà vedersela anche con gli oneri e il nervosismo è comprensibile.

19 Dicembre 2024

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