A rischio i rimpatri
Meloni bacchetta i giudici della Corte Europea: non bastano le intimidazioni a quelli italiani…
La premier a Montecitorio fa pressione pure sui giudici Cgue: “Sentenze italiane dal sapore ideologico che, se sposate dalla Corte di giustizia Ue, rischierebbero di compromettere i rimpatri”
Politica - di Angela Nocioni
Saranno contenti i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea di sentirsi dire da Giorgia Meloni cosa devono rispondere alle domande poste alla Corte dai tribunali italiani che hanno respinto la richiesta di conferma del fermo amministrativo di naufraghi deportati dalla corvetta militare italiana Libra nelle prigioni fatte costruire dal governo Meloni in Albania.
La Corte di giustizia (Cgue) ha il compito di garantire l’osservanza del diritto comunitario nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione europea. La presidente del Consiglio italiana l’ha esortata a respingere le obiezioni al piano del suo governo di trasferire i migranti via mare in Albania. Il Tribunale di Roma ha chiesto alla Corte nell’ottobre scorso se non sia in contrasto con il diritto europeo una disposizione che designa come Paese da considerare sicuro un Paese di origine che non può essere designato come tale per determinate categorie di persone. Anche altri tribunali sono ricorsi alla Corte perché si esprima in materia.
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Giorgia Meloni, parlando al Parlamento, ha definito la questione “argomento che è stato oggetto di recenti provvedimenti giudiziari, dal sapore ideologico, che se fossero sposati nella loro filosofia di fondo dalla Corte di Giustizia Ue rischierebbero di compromettere le politiche di rimpatrio di tutti gli stati membri”. “Si tratta di una prospettiva preoccupante e inaccettabile che occorre prevenire con determinazione”, ha detto Meloni. È da escludere che non ci sia stato finora un solo consulente giuridico di Palazzo Chigi in grado di spiegare a Giorgia Meloni che la definizione di “paese di origine sicuro” non è un bottino politico o comunque una nozione la cui interpretazione è nelle mani della politica decisa dal governo. Qualcuno deve averle pur detto, magari con molte accortezze, che si tratta di è un concetto giuridico definito dalla Direttiva 2013/32/Ue. Pretendere di imporre per legge che siano sicuri, per persone che ne sono scappate, paesi dove sono perseguitate alcune categorie di persone o che in alcune parti del loro territorio sono devastati dalla violenza politica, è un atto di arroganza evidente. E non compatibile con i principi previsti dal diritto europeo.
Ma il governo Meloni, visto che dall’Egitto, dalla Tunisia e dal Bangladesh arrivano molti dei migranti che approdano in Italia (la maggior parete di loro, peraltro, arrivano per poi per andarsene rapidamente in altri paesi europei) vuole considerare quei paesi sicuri per forza, pur sapendo che non lo sono per un migrante che lì viene respinto. Stracciando così il diritto d’asilo e l’articolo 10 della Costituzione italiana. In quella lista il governo italiano ha messo pure il Bangladesh mentre era in corso una caccia agli oppositori con centinaia di morti. Ha detto ieri Giorgia Meloni alla Camera dei deputati: “Se nessun Paese è sicuro compreso il Bangladesh e compagnia cantante, noi non possiamo rimpatriare nessuno e non possiamo fermare nessuno”. Poi, poiché l’obiettivo è sempre e solo rastrellare voti razzisti da alimentare con vagonate di balle, ha aggiunto: “Penso che alla fine, quindi, la soluzione del Pd sia quella che magari non facciamo il ponte sullo stretto tra Calabria e Sicilia, ma possiamo fare un bel ponte tra la Sicilia e il Nordafrica così da fare arrivare tutti”.