Parla l'europarlamentare

Intervista a Marco Tarquinio: “Perché ho detto no al von der Leyen 2, con Fitto rotto l’argine alla destra anti-Europa”

«Il ritorno di Trump alla Casa Bianca è una sfida che richiede una Unione europea solida e unita. Proprio per questo un’alleanza tra Ppe, meloniani e orbaniani e nostalgici tedeschi dell’Afd sarebbe un incubo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

28 Novembre 2024 alle 09:00

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Photo credits: Giulia Palmigiani/Imagoeconomica
Photo credits: Giulia Palmigiani/Imagoeconomica

Marco Tarquinio, europarlamentare, già direttore di Avvenire. “Votarlo è un rischio”: così l’Unità titola un articolo molto impegnato di Goffredo Bettini. Si tratta del voto per Raffaele Fitto come vicepresidente della Commissione europea. Lei come la vede?
Penso che votare la Commissione Von der Leyen 2 con la vicepresidenza esecutiva di Raffaele Fitto sia un errore e per me è stato semplicemente impossibile farlo. Non per la persona del commissario, liberamente indicato dal governo italiano, ma perché si tratta di una vicepresidenza Ecr. Non c’è in ballo l’interesse dell’Italia, ma un’operazione politica: la rottura definitiva del cordone sanitario nei confronti della destra sovranista e anti-Ue. È una prova di forza contro il Parlamento europeo e la maggioranza europeista che tra giugno e luglio era stata costituita con qualche fatica e non banali speranze.

Dicono l’esatto contrario, e cioè che la vicepresidenza spettava all’Italia, grande Paese fondatore, e che dire di no significa essere anti-italiani.
“Anti-italiano” la premier Meloni lo dica al vicepremier Salvini, se proprio vuole. È già che c’è se lo dica da sola. Visto che anche lei fece votare contro Paolo Gentiloni, che cinque anni fa divenne commissario di gran peso, all’Economia, nella Commissione Von der Leyen. Assegnare una vicepresidenza all’Italia non è un obbligo, è una scelta. Tant’è che Gentiloni non divenne vicepresidente. Stavolta, invece, Von der Leyen ha indicato per questo ruolo il rappresentante di un partito della destra sovranista e xenofoba che si colloca apertamente al di fuori della maggioranza europeista che lo scorso luglio aveva rieletto la stessa Von der Leyen alla guida dell’esecutivo comunitario. Sono per il dialogo sempre e con tutti, ma amo la chiarezza.

È questo l’unico motivo del suo no?
Non apprezzo e non intendo avallare col mio voto anche le posizioni espresse, tra durezze e ambiguità, da diversi nuovi membri della Commissione. Cito in particolare coloro che portano la responsabilità della Difesa, dei Partenariati internazionali, delle Migrazioni e di una flebile, ma purtroppo bellicista, Politica estera e di sicurezza.

Le pulsioni belliciste sul fronte ucraino che seguono le ultime decisioni di Biden, danno la possibilità a Putin di minacciare un conflitto atomico. In questo quadro, sostiene Bettini, “l’Europa non è in grado di indicare un sicuro indirizzo democratico; piuttosto si sta verificando nel suo Parlamento e nel suo governo, un possibile spostamento a destra”. Avverte questo pericolo?
Certo. Lo spostamento a destra della politica europea è legata a fatti concreti che stanno creando un circuito pericoloso che parte dall’indebolimento delle appartenenze ideali e della chiarezza programmatica delle grandi famiglie democratiche, produce crescente anti-politica e forte polemica anti-istituzionale, accompagna la crisi – e la deliberata destrutturazione – della nostra economia sociale di mercato e porta a quella minore partecipazione elettorale che in ormai troppi Paesi del Vecchio continente contribuisce a gonfiare i muscoli di minoranze nazionaliste e illiberali. Se poi a tutto questo si aggiungono, come sta avvenendo, un pesante clima e pratiche di guerra – addirittura con rischi nucleari – soprattutto nell’Est europeo, ma anche nel vicino Oriente, tutto torna… È anche un dato di fatto che diversi governi europei sono di orientamento iperconservatore o reazionario, fino al punto di sfidare ostentatamente il tabù del razzismo, che la tradizione del popolarismo cristiano democratico è in crisi o in mutazione genetica, che le forze socialiste democratiche e quelle ambientaliste sono in difficoltà o sulla difensiva.

Un quadro fosco…
È così, ed è meglio esserne consapevoli. Ma bisogna anche aver chiaro che non si tratta di un processo inesorabile, o addirittura di un destino. A mio parere è giusto fare i conti adesso, con fermezza, senza illusioni e senza rassegnazione, con il progetto del centro-destra o destra-centro europeo. È stato propiziato dal berlusconismo ed era apertamente vagheggiato dall’ultimo Berlusconi, e oggi ha il più solerte e attivo sostenitore in Manfred Weber, capo di una frazione minoritaria dei cristiano sociali bavaresi, ma presidente del Ppe e capogruppo europopolare a Strasburgo.

Perché insiste sul ruolo di Weber?
All’indomani delle audizioni dei nuovi Commissari europei nella sede di Bruxelles dell’Eurocamera e mentre si siglava un faticosissimo compromesso tra Ppe, S&D e Renew per tenere insieme le vicepresidenze delle socialiste Ribera e Minzatu e quella del meloniano Fitto, Weber si è fatto intervistare da Telemeloni, al Tg1, per annunciare urbi et orbi la fine del centro-sinistra europeista e la nascita di una nuova maggioranza di centro-destra, la cosiddetta “maggioranza Venezuela” per via di un passaggio parlamentare che ha visto Ppe e destre estreme scrivere e votare insieme il testo di una risoluzione di politica internazionale. In questi giorni Weber l’ha definita con orgoglio “la mia maggioranza”. Poiché la matematica non è un’opinione, per esistere una simile coalizione deve trasformarsi in un asse stabile tra Ppe, meloniani, orbaniani e nostalgici tedeschi dell’Afd. Beh, questa non sarebbe una nuova maggioranza, ma un incubo. E dagli incubi è meglio svegliarsi subito. Il compito del centro-sinistra italiano in Italia e in Europa per me dovrebbe essere quello di spendersi, nella condizione data, per offrire un pacifico sogno europeo, di giustizia sociale e di sostenibilità ambientale a concittadine e concittadini.

“L’elezione di Trump”, riflette ancora Bettini, “tra tanti elementi negativi che certamente ha determinato, pone all’Europa nuove responsabilità”. L’Europa è oggi attrezzata a far fronte a queste responsabilità?
Le responsabilità dell’Europa verso sé stessa e sulla scena globale sono enormi. Prima fra tutte quella di sottrarsi, e di sottrarre i popoli vittime, nel continente e altrove, al martello e ai calcoli brutali dei signori della guerra e di un mercato in cui esiste solo la libertà delle merci e non delle persone. Abitano a est e a ovest questi signori, a Mosca come a Washington. E agiscono ovunque. Donald Trump e la sua nuova amministrazione portano una sfida che pretenderebbe la replica di un’Europa unita e solidale. E noi stiamo rispondendo con un esecutivo europeo che preannuncia non avanzamenti, ma arretramenti e snaturamenti nel cantiere comunitario. La storia va veloce e la dura spinta suprematista di Trump la farà accelerare, noi non possiamo continuare a esser lenti e testardamente – e persino rabbiosamente – escludenti e divisi.

Gli Usa armano l’Ucraina, e anche Israele. Rivolgono pesanti accuse ai giudici della Corte penale internazionale (Cpi) per aver spiccato mandati di cattura nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, oltre che per l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e alcuni capi di Hamas, per crimini di guerra e contro l’umanità. Diversi analisti sostengono che queste posizioni fi lo-israeliane hanno pesato e non poco nella sconfitta di Kamala Harris.
Penso anch’io che l’irresolutezza dell’amministrazione Biden-Harris, al cospetto dei crimini che il signor Netanyahu sta ancora commettendo contro la popolazione di Gaza, della Cisgiordania e del Libano abbia pesato e sottratto consensi alla “vice” che voleva diventare “numero uno” negli Usa. La Cpi con i suoi mandati di arresto per il capo militare di Hamas e per i vertici israeliani costringe tutti, in America e non solo, a misurarsi con la cruda realtà dei fatti e con l’orrore che non sappiamo fermare e del quale, così, ci rendiamo complici. C’è un giudice all’Aja, teniamocelo caro.

Per aver usato la parola “genocidio”, come atto da indagare, in riferimento a Gaza, Papa Francesco è stato tacciato di antisemitismo…
Papa Francesco ha il vizio di farsi le domande giuste e di offrire risposte non allineate al pensiero mainstream. Dopo esser stato attaccato come “putiniano” per il suo magistero di pace che “ripudia la guerra”, ecco che lo si accusa di “antisemitismo” per lo stesso motivo e per scegliere sempre e solo la parte delle vittime, in questo caso israeliane e palestinesi. Io sto con il Papa. Ho parlato di “caccia all’ebreo di stampo nazista” da parte di Hamas e di “pulizia etnica” anti-palestinese pianificata dal governo di Tel Aviv. Ma mi faccio la stessa domanda di Francesco su quanto sta accadendo in Palestina. Intollerabile non è usare la parola “genocidio”, è premeditarlo o lasciare che venga fatto.

 

28 Novembre 2024

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