Il ricordo dell'inventore del simbolo
Chi era Filippo Panseca: addio all’artista di Craxi, l’architetto del garofano dei socialisti
È morto a 84 anni l’architetto Panseca, artista che adorava la modernità e il futuro, e che fu l’inventore dell’immagine del craxismo. Tutto iniziò una sera in trattoria, da Angelo...
Politica - di Bobo Craxi
È morto a 84 anni l’architetto Filippo Panseca, artista che ebbe molta fama negli anni ottanta e che fu vicino a Bettino Craxi. È morto per un infarto fulminante a Pantelleria, dove si era ritirato da molti anni.
Una fredda serata milanese degli inizi del ‘68. La trattoria era quella dell”Angolo” la gestiva un vecchio oste Comunista, si chiamava Angelo, amava gli artisti cui faceva pagare il conto solo con le opere. Eravamo in Brera. Normalmente il locale si riempiva dei pittori più conclamati dell’epoca e con loro si irava tardi, anche le due le tre di notte, ma non quella sera che gli avventori erano tre o quattro fra cui Filippo Panseca. Siccome era un po’ matto, Angelo a mezzanotte incomincio a sbottare: “ Avete rotto, voi tirate tardi e domattina non dovete fare un cazzo, mentre io devo andare al mercato alle sei. Andate affanculo, fuori tutti!”. Si ritrovarono sul marciapiedi.
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In un tavolo non distante aveva cenato di ritorno dal consiglio comunale un giovane sconosciuto politico, era mio padre Bettino, che si avvicinó ai commensali defenestrati: “che fate ragazzi? Se volete continuiamo la serata a casa mia…” E chiese a Panseca: “e tu che fai?” Filippo rispose “il pittore”; È probabile che per il suo talento spiccato, la sua verve creativa, l’irresistibile intelligenza empatica siciliana, Panseca avrebbe avuto una carriera artistica regolare; già era docente in Accademia, coccolato nella “nouvelle vague” milanese, epigono mediterraneo della cultura “beat” pre-sessantottina, da Palermo non disdegnava le puntate a Londra e Parigi; tuttavia lo spirito libertario conobbe una strada per sviluppare il proprio impegno civile. “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, recitavano Ungaretti, Vinicius de Moraes e Sergio Endrigo, e fu così che Filippo Panseca lega la sua vicenda artistica ad un uomo e ad una politica e ne illustra artisticamente la sua parabola. Non è per nulla paragonabile alla selva di artisti che si identificavano totalmente con il regime che descrivevano. Pagati, s’intende.
La fusione fra il suo genio creativo e l’azione politica socialista, che fu alla base del processo di rinnovamento generazionale ed ideologico del nuovo corso, non fu descritto o celebrato, ma piuttosto Panseca era parte di esso, e non era possibile immaginare un’opera artistica – perché tali erano gli allestimenti congressuali – separati dalla libertà di espressione concettuale e transitoria (bio-degradabile l’avrebbe definita ) propri dell’ esuberante siciliano. Era rovesciato il rapporto fra il committente e l’artista; era quest’ultimo che si inseriva quasi di prepotenza, insinuando la necessità di un linguaggio dell’arte che si fondesse con il movimento politico. Conosceva l’iconografia storica del movimento operaio e socialista, e per questa ragione, nella sete di rinnovamento, il mutamento delle simbologie diventava una dinamica necessaria e non accessoria, urgente e non rinviabile.
Il Garofano Rosso traduceva e sintetizzava, raccogliendo l’esigenza di una istanza politica, il desiderio di rinnovare il ruolo dell’arte nel linguaggio politico; d’altronde era nella tradizione socialista, libera ed aperta, il fatto di raccogliere dal mondo intellettuale lo spirito creativo, come fu con le vignette satiriche di Scalarini e Galantara, gli adattamenti musicali che misero in verso le parole di Filippo Turati nell’Inno dei Lavoratori: “Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoroo pugnando si morrà…” Il garofano stilizzato di Panseca fu simbolo del Socialismo italiano portato in tutto il mondo con una forza comunicativa pari a quella della rosa nel pugno dei socialisti francesi. Al congresso di Torino, che introdusse il suo garofano, Panseca chiese a Craxi di poter ricordare a Pertini, che era ostile al nuovo simbolo, che tra i vecchi simboli del Partito il garofano era sempre presente. Il nuovo simbolo fu introdotto durante il sequestro Moro. La lettera di Moro dal carcere BR, che invitava Craxi a svolgere un ruolo di socialista umanitario, venne ancora più evidenziata dal cambio del simbolo che la fine del riferimento al mondo della falce e martello.
Naturalmente, col passare del tempo, trasformatosi e identificatosi col potere, questo prezioso contributo dell’artista veniva descritto in forme caricaturali, ad esse naturalmente si prestavano certe scenografie concettuali non sempre comprese come quella specie di discoteca anni 80 creata per il congresso di Verona che celebrava la modernità, quel tempio riminese omaggio ai “templa” romani o greci dove si svolgevano le riunioni del Senato o le assemblee del popolo. Sale e piazze colorate, Muri di Berlino in cartapesta, arcobaleni della pace, nulla a che vedere, con le plumbee sale con gli occhi di bue in faccia agli oratori alle quali ci hanno abituato le esigenze televisive della seconda Repubblica, alla rincorsa della politica-spettacolo senza creatività alcuna.
Filippo alternava la sua opera “politica” con il lavoro creativo per molte nuove forme di espressione artistica che si muovevano alla fine degli anni 70 ed all’inizio degli 80. Volò a San Francisco da dove giungeva voce di una nuova sperimentazione su computer, che elaboravano e stampavano immagini. Conobbe quei ragazzi che poi divennero i rivoluzionari del nostro tempo, partendo dal loro garage, carpí dallo Studio 54 le idee realizzative con le quali allestí la versione milanese gemella; mantenne insomma una creatività moderna in sintonia coi tempi senza farsi sopraffare dalla noia della ripetitività. Fu lui che scoprì l’Ansaldo, quella vecchia struttura cuore pulsante della prima rivoluzione industriale, come possibile sede di un congresso che rilanciasse la ragione sociale primaria di un partito del lavoro, che alla fine degli anni 80 rischiava di smarrire le proprie radici originarie. Ed in quella vecchia memoria metallica seppe costruire l’ideale ricongiunzione fra il passato del presente.
Quello schermo LED triangolare non solo fu un’ opera di ingegneria elettronica, perché i pezzi furono assemblati dopo averli importati dal Giappone, ma un’idea architettonica che consentiva la visione dell’oratore dai tre punti cardinali del salone centrale della fabbrica per l’occasione adibita a centro congressi. Nulla a che vedere con l’interpretazione fallace e comica della incoronazione del faraone. Panseca, nell’eclissi socialista, sopravvive e non spegne il proprio impulso creativo. Pierre Restany, uno dei maestri della critica dell’arte, scrisse di lui : “é stato maestro del riciclaggio planetario della comunicazione”. Si cimentò nell’arte del riciclaggio dei materiali poveri e scelse di ritirarsi a Pantelleria per proseguire la sua opera scultorea e pittorica. Sembrava un vecchio druido, quando lo rincontrai dopo che tutto si era oramai compiuto. I suoi amici di un tempo non c’erano più: non Cardella e Rostagno, non Rotella e Recalcati, non l’antennista Biasin, che condivideva con Fabrizio de André, che faceva spesso capolino alle sue personali.
Non c’era più quel giovane consigliere comunale socialista che gli “salvó” quella serata e che fu un pezzo importante della sua vita, ed al cui ricordo rimase legato sebbene negli anni tristi non fu solo il Canale di Sicilia a separarli. Chi passava da Pantelleria sapeva che se avesse bussato alla Caserma delle Arti, Panseca avrebbe spalancato le porte e offerto una sua invenzione artistica e culinaria. Sapeva che tutto era “biodegradabile” e si era preparato per la fine, con la saggia serenità dell’artista. Io lo rincontrai, ed assieme a Fulvio Abbate avevamo immaginato di chiedergli di progettare un ‘’opera consumabile” per celebrare la nostra ironica “Gauche Caviar” e che avesse riunito idealmente Bint’ar-riāh (Pantelleria, la figlia del vento) ad Hammamēt. Non sarà più possibile. Le sue ceneri artistiche resteranno sparse fra le due sponde del Canale.