25 anni senza Faber

Fabrizio De André, chi era il cantautore la cui vita è stata un capolavoro

Le liti con il padre, l’alcol, la passione per i dimenticati. Ma anche la poesia, Dori Ghezzi e il sequestro in Sardegna. La sua vita donata a piene mani è stata il suo capolavoro

Cultura - di Graziella Balestrieri

12 Gennaio 2024 alle 14:00

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Fabrizio De André, chi era il cantautore la cui vita è stata un capolavoro

“In un vortice di polvere, gli altri vedevan siccità, a me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa” (Il suonatore Jones).

L’11 Gennaio di 25 anni fa, a soli 58 anni, a causa di un carcinoma polmonare, se ne andava quello che è considerato da tutti, in maniera unanime, il più grande cantautore nella storia della musica italiana.

E per quanto questo grado sia assoluto, per Fabrizio De André il termine cantautore non è mai stato e non sarà mai abbastanza completo per descrivere un artista che, come nessuno mai, è stato ed è presente non solo nell’ambito musicale ma anche a livello sociale e politico. Anzi in realtà come per Bob Dylan o Leonard Cohen sarebbe necessario staccare De André dal cantautorato, perché è stato ed è altro.

Smuovere le coscienze, in un modo o nell’altro, leggere, acculturarsi, sapere per poter fare, conoscere prima e poi agire. Un intellettuale vero, nel più dignitoso significato che ha l’essere un intellettuale, di quelli che fanno dono della loro cultura, non di quelli che se la tengono nei loro salotti.

De André apparteneva a quelli che la portano in mezzo ai perdenti, ai dimenticati della società, agli alcolizzati, ai drogati, alle prostitute. De André viveva e poi lo raccontava in maniera del tutto unica, una specie di nobile della musica e della cultura che però si sentiva addosso il compito di diffonderla a tutti, di cantare a tutti.

E poi il pensiero, mai assoggettato ai potenti o a chi lo voleva etichettare e rinchiudere in una qualche sezione di partito. Fabrizio De André è stato un artista libero, di pari passo con l’essere un uomo libero. Una poetica profondissima, una scrittura meticolosa, e una capacità narrativa fuori dal comune disegno musicale, tanto da poterlo considerare poeta a tutti gli effetti.

Un poeta nato il 18 Febbraio del 1940 a Genova, nella sua amatissima Genova, dove sin da giovanissimo dimostra la sua poca inclinazione ad essere sottomesso e a subire ingiustizie.

Durante la frequentazione nella scuola media inferiore dei Gesuiti, Fabrizio subisce un tentativo di molestia sessuale, al quale reagisce e grazie all’aiuto di suo padre, fa sì che il gesuita venga allontanato dall’istituto.

Dopo aver terminato il Liceo Classico e uscito di casa, considerato il non facile rapporto con suo padre, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dove a fargli compagnia c’è il suo grandissimo amico Paolo Villaggio.

Ma i primi contratti discografici impediscono a De André, in un certo senso, di arrivare alla laurea, nonostante gli mancassero pochissimi esami, ed è anche in questo periodo però che Fabrizio inizia ad avere i primi problemi legati all’alcool.

Un artista devastante sotto ogni punto di vista, dal modo di vivere, prima di tutto quasi votato alla sregolatezza fra alcool, amici, divertimenti e prostitute come fidanzate e devastante perché in tutta questa sregolatezza riusciva a mantenere la solidità per scrivere e dedicarsi alla musica.

In quarant’anni di carriera ha inciso 14 album, ed ognuno di questi album ha donato alla nostra cultura e a quella che sarà una serie di capolavori come La canzone di Marinella, Il suonatore Jones, il bombarolo, Bocca di Rosa, Canzone dell’amore perduto, Il pescatore, la guerra di Piero, Creuza de ma, Via del campo, fino all’ultimo album datato 1996, Anime Salve, in collaborazione con Ivano Fossati.

Anime Salve ancora oggi, all’ascolto, fa capire, quanto ancora De André avesse da dare e consegnare, e quanto la sua poetica scavasse ancora in profondità, e in nessun modo il passare del tempo aveva scalfito la sua arte, anzi. Capolavori assoluti come Dolcenera, Disamistade o come Ho visto Nina Volare.

Eppure per quanto legato alla scena dei grandi cantautori come il francese George Brassens , per poi avvicinarsi a Leonard Cohen fino allo stesso Dylan, con una predilezione mai nascosta per Cohen (basta pensare alle canzone di L. Cohen tradotte da De André) De André non hai mai messo in secondo piano la ricerca musicale e l’aspetto estetico delle canzoni, per questo sin dall’inizio si è servito della collaborazione dei grandi musicisti come Ivano Fossati, Mauro Pagani, Nicola Piovani, fino alla collaborazione storica con la Premiata Forneria Marconi, nell’indimenticato e insuperabile concerto del 1979.

Se all’inizio la vita di Fabrizio sempre destinata ad essere un tumulto di emozioni, arte e sregolatezza, tutto inizia a cambiare quando dapprima incontra e sposa Enrica Rignon, e da questo matrimonio nasce il primo figlio Cristiano, che seguirà le sue orme e lo accompagnerà come musicista nei suoi concerti e porta avanti ancora oggi l’arte del padre, e poi l’altro grande amore della sua vita Dori Ghezzi, conosciuta nel 1977, che le donerà la seconda figlia Luisa Vittoria.

L’amore con Dori Ghezzi è l’amore della vita, quel sempre nel bene e nel male che riescono a dare a Fabrizio la giusta posizione e una stabilità sentimentale. Con lei non solo condivide l’amore e la sua vita artistica, ma nel 1979 sono protagonisti di una delle più terribili pagine dei rapimenti avvenuti in Sardegna, dove Fabrizio viveva insieme alla sua famiglia.

E nonostante questa terribile esperienza De André non si sentì mai in grado di colpevolizzare i suoi rapitori. Rapimento e dolori vissuti che De André racconterà nella struggente Hotel Supramonte, nell’album l’Indiano del 1981. Sempre acuto, sveglio, De André non ha mai concesso la sua dignità di cantautore a nessuno, a nessuno ha prestato il suo nome, a nessuno ha mai fatto sconti.

Ha vissuto e raccontato la sua vita, come ha voluto e in ogni suo album c’è la visione di un uomo che costantemente non solo cercava di migliorare se stesso, scavando nelle sue paure e nei suoi orrori, ma cercava di migliorare chiunque si fosse avvicinato alla sua arte.

Dal 16 Febbraio tutti i suoi 14 dischi saranno ripubblicati, nell’ambito del progetto “Way point. Da dove venite…dove andate?” Questo progetto nasce per ridare e celebrare ancora una volta De André, tutta la sua conoscenza e per far capire alle nuove generazioni (ma anche un po’ alle vecchie) che nella nostra cultura c’è stato un uomo che ha saputo donare se stesso completamente attraverso la sua arte, agli altri.

La differenza di De André con tutti gli altri forse è stata proprio questa: ha reso l’arte, la conoscenza, la storia, la sofferenza, i drammi dell’uomo – anche facendo riferimenti alla letteratura – a tutti: De André appartiene a tutti: all’operaio come al medico, all’assassino, come alla vittima.

A 25 anni dalla sua scomparsa la sua impronta sul Paese è palpabile: gli sono state dedicate piazze, strade, scuole, e più volte è stato tirato dalla giacchetta da politici, scrittori, intellettuali e opinionisti a vario titolo.

Tutti a ricordare una frase o una strofa di una qualche canzone di De André o anche solo a citarne il pensiero, ma tutti o quasi a dimenticare le fondamenta della sua poetica: quella che ci dice chiaro e tondo che bisogna accogliere e non gettare in mare, che bisogna cercare la pace e non cercare di dare un senso alle guerre attraverso le bugie che i media raccontano e che di fatto ancora non siamo stati in grado di dare risposte a quello che la sua arte ci chiedeva: “Che ci fanno queste anime davanti alla chiesa, questa gente divisa, questa storia sospesa?”

12 Gennaio 2024

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