Il convegno sul leader del Pci

Enrico Berlinguer, nostalgia del futuro: non un santino ma un ribelle di razza

Era tutt’altro che il pacioso buonista che alcuni hanno tentato di dipingere. Era un eretico, un irregolare, un uomo affilato che osò sfidare il Partito comunista a Mosca e che nel 1981 dichiarò esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione russa. Celebriamolo, ma prima studiamolo

Politica - di David Tozzo

22 Novembre 2024 alle 15:00

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Enrico Berlinguer, nostalgia del futuro: non un santino ma un ribelle di razza

Il quarantennale della scomparsa del leader comunista, dopo il grande successo della mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” a Roma e Bologna, e l’altrettanto felice esito ai botteghini del film di Andrea Segre La grande ambizione, si conclude oggi con un rilevante convegno, “Nostalgia del futuro”. Sinistra Italiana e il gruppo Avs al Senato organizzano qui, su idea del Presidente del gruppo Peppe De Cristofaro, un’iniziativa che nelle intenzioni va oltre il Dolce Enrico, il San Berlinguer ridotto a santino di brava persona con buona morale, come sottolineato polemicamente da un commentatore di area moderata come Marcello Sorgi.

Se a partire da Occhetto, e passando per D’Alema e Veltroni, la scelta compiuta dai dirigenti post-comunisti è stata imperniata sulla volontà di preservare il senso di appartenenza prodotto da una figura come quella di Berlinguer, inserendolo sì nel proprio pantheon, ma valorizzando scientemente solo quegli aspetti e quei tratti caratteriali compatibili con un nuovismo vuoto, l’impostazione del convegno che chiude idealmente l’anno delle celebrazioni berlingueriane punta a restituire tutta la visione lunga del pensiero pesante (mai fumoso, liquido o gassoso), e loro prospettive, di Berlinguer. Non dunque un Berlinguer dimezzato, proprio come nel capolavoro del suo quasi coetaneo e a sua volta membro del Pci Italo Calvino, ricordato insomma essenzialmente per la sua capacità di creare empatia e connessione sentimentale con un “popolo della sinistra” oramai sempre più rarefatto, ma sostanzialmente depoliticizzato, senz’anima né carne, bensì un Berlinguer plurisfaccettato di cui ogni relazione tratterà un aspetto tracciandone una prospettiva.

Enrico Berlinguer era d’altra parte tutt’altro che il propagato e propagandato, un leader irregolare e innovatore, disallineato e dissidente ad un tempo e a più riprese con capitalismo e con comunismo. Irregolare anche rispetto a quest’ultimo, per paradossale che paia a dirsi del Segretario, con 12 anni di servizio, più longevo della non breve storia del Partito Comunista Italiano dopo Togliatti. Eppure – e anzi, di apparente antinomia in antinomia, proprio in questo – l’archetipo del comunista. Certamente, di come intendeva e incarnava lui l’essere comunista. Probabilmente, oltre lo spettro entro cui il comunismo potesse definire sé stesso. Presumibilmente, ancor più in là di quanto e come i comunisti italiani durante la sua segreteria e sino ad allora, potessero pensare di osare e osare ridefinirsi, reinventarsi, rilanciare. Considerato, come nella preziosa intervista del direttore Sansonetti ad Aldo Tortorella, “un po’ bizzarro” dai dirigenti comunisti.

Berlinguer mantenne questa postura politico-esistenziale del tutto precorritrice e protesa al poi e al loro, gli altri, rivolta al fuori, sino alla fine, se possibile esasperando questa posa nel partito e oltre irregolare. Di certo, non un uomo unidimensionale, ripiegato su sé stesso, richiuso nell’ortodossia dell’ottemperanza al ruolo come tradizionalmente inteso e svolto. E oltreché irregolare, eretico, come si vide tra le tante volte e vertenze, per il già ricordato strappo con l’Unione Sovietica in seguito ai fatti polacchi e non solo quelli. Il tutto, non una contraddizione: una complessità; non un controsenso: una completezza. E una cocciuta contemporaneità. Un comunista internazionalista senza essere comunista internazionalista, oggi potremmo dire mondialista (non globalista). Per essere comunisti internazionalisti bisognava accettare la leadership dell’Urss. Lui non l’accettava.

Il 31 ottobre 1977, a Mosca, in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, parla nella tana dell’orso di democrazia come valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista, di carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale. Riesce a tornare, da Mosca – come riuscì da Sofia quattro anni prima – e in quello stesso novembre in Parlamento firma il documento comune di politica estera con Dc, Psi e Pri (è la prima volta che si firma un documento comune di politica estera), e infine nell’81, dopo la crisi polacca, dichiara esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione russa. Al contrario evidentemente di Enrico Berlinguer, il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare, e la visione, se non la possiede, difficilmente se ne può dotare, ancor meno agevolmente se l’orizzonte è tanto al di là da venire. Un orizzonte politico ed etico alto, e aperto all’altro. Che nel convegno di oggi si proverà a non mortificare.

22 Novembre 2024

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