L’appello del mondo accademico
Cpr di Ponte Galeria: diritti fondamentali violati, sporcizia e abuso di psicofarmaci
Diritti fondamentali violati, sporcizia, abbandono, abuso di psicofarmaci: tutto documentato nel report “Chiusi in gabbia”. L’appello della Cild e del mondo accademico
Cronaca - di Andrea Oleandri
Chiudere il CPR di Ponte Galeria. È quanto ha chiesto ieri la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), durante una tavola rotonda tenutasi a Roma, momento utile anche per presentare il report “Chiusi in Gabbia. Viaggio nell’inferno del CPR di Ponte Galeria”. Questo rapporto nasce da un’attività di monitoraggio che CILD ha condotto negli ultimi mesi, anche con la collaborazione di parlamentari e esperti, possibile tanto attraverso ispezioni nel centro, quanto attraverso l’accesso agli atti a disposizione di diversi soggetti, Prefettura e Questura di Roma e Asl.
Il quadro che emerge è quello di un luogo dove esistono gravi e diffuse violazioni dei diritti fondamentali, dove l’accoglienza che la multinazionale ORS, società che gestisce il centro, ha voluto dare in un cartello presente all’ingresso, augurando un “piacevole soggiorno” alle persone detenute, è l’esatto opposto della situazione reale di questo “involucro vuoto” in cui le persone perdono la propria identità per essere ridotte a corpi da trattenere e confinare. Tanto l’area di detenzione maschile, quanto quella femminile (il CPR di Ponte Galeria è l’unico ad averne una in Italia, con una disponibilità attuale di 5 posti) condividono le stesse gravi problematiche. Condizioni igieniche insostenibili, sia per i locali di pernotto che per i bagni, con alcune persone detenute che hanno lamentato anche la presenza di cimici e casi di scabbia.
La mancanza di strumenti essenziali per la sicurezza e il benessere delle persone detenute, ad esempio l’illuminazione è centralizzata e i trattenuti non possono accendere o spegnere la luce autonomamente o, ancora, l’assenza di “campanelli d’allarme” nei moduli di pernotto che impediscono di richiedere un pronto intervento laddove serva o anche solo per poter comunicare con gli operatori. La severa limitazione della libertà di movimento con, ormai da diversi anni, le persone detenute “chiuse” nelle zone detentive per l’intero arco della giornata e con la possibilità di uscita dal modulo solo accompagnati dalle forze dell’ordine o dagli operatori del Centro per colloqui con avvocati, eventuali familiari e per visite mediche. Una fattispecie, questa, che contraddice il c.d. “regime aperto” richiesto dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT). Condizione di detenzione ancor più difficile nella sezione femminile, dove le detenute sono rinchiuse nei moduli di pernotto, spesso isolate fra loro stesse. Non a caso, come illustrato nel report, alla delegazione di CILD le stesse hanno raccontato del senso di “soffocamento” derivante da tale situazione.
A questa condizioni si aggiunge anche una qualità del cibo spesso scadente, con l’assenza di locali dedicati alla mensa, nonché l’assenza di qualsivoglia attività, cosa che ha portato lo stesso ex Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, a parlare dei centri come “involucri vuoti”. Le persone possono essere detenute fino ad un anno e mezzo in una condizione di totale abbandono e apatia, condizione tale da far emergere anche problemi di salute mentale. Cosa che porta anche ad un evidente abuso nella somministrazione di psicofarmaci e ansiolitici. Basti pensare che, nel 2021, la stessa ASL Roma 3, rispondendo ad un accesso civico promosso da CILD, aveva ammesso come ben il 65-70% della popolazione trattenuta fosse sottoposta a terapie richiedenti la somministrazione di psicofarmaci e tranquillanti. Alla recente richiesta di questa informazione i dati forniti sono stati parziali, ma confermano comunque un utilizzo sostenuto di questi farmaci.
L’attività di controllo sull’ente gestore da parte degli enti preposti appare poi molto parziale e, anche a fronte di alcune sanzioni erogate o decurtazioni operate dalla Prefettura di Roma per la mancanza del rispetto del capitolato d’appalto (ad esempio 108.241,68 euro tra febbraio e giugno 2023 per il mancato rispetto della dotazione minima di personale, 47.359 euro per i beni di prima necessità – non – distribuiti, per la qualità del cibo somministrato, per l’assenza di attività e per il diritto alla salute), la sostanza della detenzione non è cambiata, complice un sistema di affidamento ai privati che fa della privazione della libertà personale strumento di profitto, anche attraverso l’aggiudicazione dell’appalto con gare al massimo ribasso.
Non che la gestione pubblica, pur avuta in passato, modifichi l’essenza di questi luoghi. Da qui la richiesta di CILD di chiudere il CPR di Ponte Galeria. Un appello proveniente peraltro anche dal mondo accademico che, nei giorni scorsi, aveva inviato un’istanza al Sindaco di Roma, di cui primo firmatario è proprio l’ex Garante Palma, affinché il Primo Cittadino, esercitando i poteri previsti dal Testo unico sugli Enti Locali, si possa rivolgere al Ministro dell’Interno per disporre la chiusura immediata del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Roma Ponte Galeria.
*Co-direttore esecutivo CILD