L'ex presidente di Md

Intervista a Nello Rossi: “L’imparzialità non sta nel giudice ma nel giudizio”

L’ex presidente racconta le origini della corrente progressista delle toghe: «Dalla metà degli anni 60 molti giovani magistrati si mossero alla ricerca di una nuova etica professionale. Sostituendo il valore della “credibilità” del magistrato al concetto, formale e astratto, di “prestigio” della magistratura. Fu una rivoluzione»

Interviste - di Angela Stella

2 Novembre 2024 alle 11:00

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Photo credits: Giuliano Del Gatto/imagoeconomica
Photo credits: Giuliano Del Gatto/imagoeconomica

Tra una settimana Magistratura democratica celebra i suoi sessant’anni. Nel parliamo con l’ex presidente e direttore della rivista Questione giustizia, Nello Rossi.

Sessant’anni fa nasceva Magistratura Democratica. Con quale spirito?
Tutto è nato – io credo – da un sentimento di insofferenza intellettuale e morale. Verso le ipocrisie ed i vuoti rituali della vecchia magistratura. Verso il chiuso conservatorismo di larga parte della cultura giuridica, incapace di cogliere i mutamenti profondi in atto nella società e di entrare in sintonia con essi. Dalla metà degli anni 60 in poi molti giovani magistrati – all’epoca la “bassa magistratura” – si mossero alla ricerca di un nuovo modello di giudice e di una nuova etica professionale. Rifiutando una interpretazione burocratica del ruolo del giudice. Sostituendo il valore della “credibilità” del magistrato al concetto, formale e astratto, di “prestigio” della magistratura. Praticando la libertà di criticare le sentenze – all’epoca ancora bollata come interferenza – di contro all’omertà della corporazione che non ammetteva critiche dall’interno. Preferendo la pubblicità del procedimento disciplinare al preesistente regime della segretezza. Una vera e propria rivoluzione, promossa – ricordiamolo, tra furibondi contrasti – dalla parte più viva della magistratura e che alla fine ha profondamente trasformato la fisionomia dell’intera magistratura italiana .

Le parole chiave della Md degli inizi, come lei ricordava in un suo scritto, furono: scelta di campo, rifiuto della neutralità rispetto ai valori, politicità della giurisdizione. Allora fu una provocazione. Ora è ancora così?
La storia fluisce, mutano i contesti, cambiano le persone. Quelle parole chiave nascevano da una volontà di disvelamento, nel fuoco di una polemica aspra con la magistratura conservatrice che pretendeva di essere perfettamente apolitica solo perché socialmente e culturalmente omogenea alle forze dominanti e totalmente allineata alle loro scelte ed ai loro valori. Per questo aspetto sono parole da lasciare agli storici che meglio di tutti possono spiegarne la genesi e la funzione di rottura. Ciò che contò davvero in quella stagione, ed è tuttora attuale, fu una lettura della Costituzione che vedeva nel progresso dell’eguaglianza sostanziale la condizione dell’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del paese e in tale partecipazione il più sicuro strumento per raggiungere nuove mete di eguaglianza. Per questo ancor oggi la vera scelta di campo è per la Costituzione. Per il suo catalogo di libertà da preservare, per i suoi sapienti equilibri istituzionali che si vogliono malamente alterare, per il suo slancio nel campo del sociale, per il nesso indissolubile tra democrazia sociale e democrazia politica.

Berlusconi oltre 20 anni fa invocò l’abolizione di Md. Cosa ricorda di quel periodo?
Confesso che non avevo memoria di quella singolare affermazione che ho ritrovato nella cronaca di un lontano discorso romano di Berlusconi all’Auditorium, nell’aprile del 2011. Era, ed è rimasta , una battuta da comizio, nel quale ci si prende la licenza di dimenticare che la libertà di associazione è un pilastro dello Stato democratico di diritto. Più sorprendente, invece, la rappresentazione polemica che, nella stessa occasione, Berlusconi dava della proposizione da parte di un giudice di una questione di legittimità costituzionale. Il tutto veniva presentato come una sorta di accordo sotterraneo tra un giudice di sinistra cui non piaceva una legge e la Corte costituzionale che, su sua richiesta, la dichiarava illegittima cancellandola. La vis polemica del politico finiva col dare una immagine distorta e caricaturale del rapporto tra giudici ordinari e giudice costituzionale, fondamentale per capire il rapporto tra giudice e legge in uno Stato democratico di diritto.

La magistratura è tornata in questi giorni al centro di feroci polemiche. Rimprovera qualcosa al dottor Patarnello?
Anche se avessi il potere – che non ho – di rimproverare qualcosa a Marco Patarnello, non troverei nulla da addebitargli. Chi non ricorda la celebre frase del Cardinale Richelieu “Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini , e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare”? In questo caso non si è trattato neppure di una frase ma dell’aggettivo “pericolosa”, riferito a Giorgia Meloni. Ma se io sostengo una tesi – nella specie quella dell’unicità delle carriere di giudici e pubblici ministeri – e ho di fronte un agguerrito campione della tesi opposta (che non ha scheletri nell’armadio né meschine ragioni personali per sostenerla) posso ben ammettere, con tutta serenità e assoluta onestà intellettuale, che il mio contraddittore è particolarmente “pericoloso” per la mia tesi. Ora è esattamente questo che Patarnello ha scritto in una mail indirizzata non alla mailing list di Md ma a quella dell’intera associazione nazionale magistrati. E lo ha capito Giorgia Meloni, più intelligente di tanti suoi cortigiani, che ha così icasticamente commentato la frase incriminata: “Confermo e ringrazio”.

Ritiene che sia sufficiente come garanzia di imparzialità per un magistrato che critica le scelte dell’Esecutivo la circostanza che poi assuma un dovere di indipendenza da sé stesso e renda conto mediante la motivazione del provvedimento giurisdizionale dell’effettiva assunzione di quel dovere?
Domanda tanto complicata quanto cruciale. È evidente che il tema dell’imparzialità è centrale per la legittimazione della magistratura e per l’accettazione delle sue decisioni. Perciò, quando è scoppiato il caso Apostolico – autrice di un provvedimento sgradito in materia di immigrazione e violentemente attaccata per la partecipazione ad una manifestazione pro migranti di cinque anni prima indetta dal vescovo – la Rivista Questione Giustizia promossa da Md ha chiamato a ragionare di imparzialità alcune delle migliori intelligenze del Paese. Ne è nato un volume della Trimestrale liberamente consultabile in rete, come tutta la stampa promossa da Md. Per parte mia posso dire in poche battute che l’imparzialità del magistrato non è un dato a priori, un tratto della personalità esistente una volta per tutte, ma il “risultato” di una consapevole tensione verso l’imparzialità all’atto del decidere. In una parola la più alta prestazione professionale di chi giudica, ma anche di chi accusa, che scaturisce da una intelligenza sorvegliata in grado di fare la tara, nel momento del giudizio, non solo alle proprie convinzioni e ai propri pregiudizi ma anche alle proprie esperienze di vita, che non sono meno influenti delle idee.

Una componente dell’Anm, Magistratura Indipendente, non ha sottoscritto la pratica a tutela della giudice Silvia Albano. Sarebbe stata necessaria compattezza invece?
Accade sempre più spesso che provvedimenti giudiziari, che nel mondo del diritto e dei giuristi vengono giudicati normali e fisiologici, siano oggetto di scomuniche e di furiosi anatemi da parte dei politici che ne sono contrariati. Con il corredo della richiesta di misure punitive e magari del licenziamento in tronco (sic) nei confronti dei loro autori. Il Consiglio Superiore fu voluto dai Costituenti proprio per mettere al riparo i magistrati da questi attacchi d’ira parossistici e da queste pulsioni ritorsive. In questo contesto le pratiche a tutela sono state uno strumento importante per restituire serenità ai magistrati investiti, loro malgrado, dal rumore e dalla furia delle polemiche politiche. Oggi, alla luce di quanto avviene quasi quotidianamente, indebolire questa frontiera di protezione mi sembra miope e incomprensibile.

Come giudica l’atteggiamento del Ministro Nordio nei confronti della magistratura?
In linea di massima ritengo preferibile che il ministro della giustizia sia un giurista perché la cultura giuridica e l’appartenenza al mondo dei giuristi fanno da argine naturale ad una certa spregiudicatezza propria della politica nell’affrontare le questioni di giustizia. Il caso Nordio smentisce però clamorosamente questa convinzione giacché il Ministro ha spesso superato in disinvoltura ed egotismo i politici più stagionati. Così non ha esitato a promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei giudici del caso Artem Uss accusati di negligenza grave e inescusabile per un provvedimento di concessione di arresti domiciliari dal quale in realtà il Ministro dissentiva nel merito, suscitando le critiche delle Camere penali di Milano e ricevendo una netta smentita con la pronuncia di assoluzione della Sezione disciplinare del Csm. Inoltre, in contrasto con tutta la riflessione giuridica sulla categoria dell’abnormità, ha bollato come sentenza “abnorme” i “decreti” di mancata convalida dei trattenimenti dei migranti in Albania senza minimamente curarsi della sentenza della CGUE sui paesi sicuri che è vincolante per i giudici italiani… E così via in un crescendo di commenti sbrigativi, superficiali e talora sprezzanti su provvedimenti dei magistrati.

L’Anm sostiene che sulla riforma della separazione delle carriere, del Csm, dell’Alta Corte non si tratta. Non lo giudica un atteggiamento troppo arroccato?
Uno scacchista le direbbe che la tattica dell’arrocco non è una ottusa pratica difensiva ma una mossa che offre una lunga serie di vantaggi “anche” sui terreni della mobilità e dell’attacco. Fuor di metafora, sulle diverse proposte di legge di revisione costituzionale il contrasto è di fondo. E non investe solo la separazione delle carriere (che nei fatti è già praticamente realizzata ) ma anche la provvista e il ruolo dei Consigli superiori separati che si vogliono istituire e l’equilibrio tra poteri dello Stato.

Dalla maggioranza politica si sostiene che dallo scandalo Palamara non è cambiato molto. Quindi giusto proporre il sorteggio per il Csm. Come replica?
Ormai tramontato, ingloriosamente, il postulato politico “uno vale uno” , il Ministro Nordio lancia per il mondo della giustizia un nuovo assioma: il sorteggio dei rappresentanti togati per il quale “l’uno vale l’altro”. È la logica di chi vede nella magistratura una corporazione indifferenziata, portatrice di elementari interessi di categoria che possono essere curati indistintamente da ciascuno dei suoi membri, senza spazio per l’espressione di differenti culture, idealità, visioni della giustizia. Senza contare che l’opzione per il sorteggio secco cancellerebbe anche tutti i criteri in grado di dar vita ad una rappresentanza adeguata del corpo dei magistrati: la parità di genere, il rispecchiamento delle diverse realtà territoriali, le distinzioni sulla base delle funzioni svolte. Infine il sorteggio proposto è asimmetrico giacché i membri laici dei Consigli sarebbero estratti a sorte all’interno di un “paniere” votato dal Parlamento. Ma così rinasce la corporazione. E nell’Alta Corte disciplinare rinasce la gerarchia per effetto della proposta che circoscrive il sorteggio dei giudici togati ai magistrati di cassazione.

Siamo arrivati a 77 suicidi nelle carceri. Ma nulla si muove. Luigi Manconi, Glauco Giostra ed altri fanno un appello per amnistia e indulto per i reati e i residui di pena fino a 2 anni. Sarebbe d’accordo?
Per sbloccare questa tragica impasse occorre, prima di tutto, rilanciare la proposta di revisione costituzionale in tema di amnistia a suo tempo presentata da Luigi Manconi. È cioè necessario modificare l’art. 79 della Costituzione che per l’approvazione delle leggi di amnistia e di indulto richiede la maggioranza – rivelatasi impossibile da raggiungere – dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Per tornare in questa materia, alla regola della maggioranza semplice.

Qual è lo spazio oggi per continuare ad esistere come Md?
A rispondere a questa domanda saranno i giovani magistrati che, nel vivo della prassi, dovranno trovare spazi di azione all’interno ed all’esterno della magistratura, dove il brand di Magistratura democratica continua a suscitare, come è sempre avvenuto, vivaci consensi e aspri dissensi. Io posso solo dire che sarà importante tenersi fermi ad alcuni aspetti della pluridecennale esperienza di Md: il garantismo, la critica del corporativismo, l’attenzione a far vivere nella giurisdizione i valori di eguaglianza e libertà . E poi si vedrà chi ha più filo da tessere.

2 Novembre 2024

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