Il portavoce di Oxfam Italia
Intervista a Paolo Pezzati: “La loro Grande Israele fondata sul massacro dei palestinesi”
«Era un piano in atto da tempo, il 7 ottobre l’ha solo accelerato. Quest’ultimo governo dimostra com’è cambiata la società israeliana: “dal fiume al mare” è diventato un programma politico di consenso»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia: Oltre 41mila morti, in maggioranza donne e bambini. Scuole dell’Unrwa bombardate, personale dell’Onu ucciso, come anche personale sanitario, giornalisti, testimoni scomodi di una “soluzione finale” a Gaza.
Quello che è certo è che quella che stiamo vivendo è la più grave crisi umanitaria del XXI secolo, frutto di una condotta politico militare determinata da sistematici crimini di guerra: sfollamenti forzati, bombardamenti indiscriminati in zone densamente popolate, uso della fame e della sete come arma di guerra, impedimento all’accesso umanitario, sanitario e al mantenimento dell’igiene pubblica nel territorio occupato. Tutto questo sta continuando sotto i nostri occhi e ancora non si capisce come si possa fermare.
“Mentre Israele è impegnato in una devastante guerra di vendetta, riconoscere lo Stato di Palestina –è un’assunzione di responsabilità non solo verso il popolo palestinese ma per ridare una chance ad una pace giusta, duratura. Una pace tra pari”. È l’appello lanciato dalle pagine de l’Unità dal ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese, Riyad al-Maliki. “Occorre fermare il genocidio in atto – sottolinea al-Maliki – prima che la Palestina sia cancellata e il suo popolo annientato”.
Capisco l’importanza dal punto di vista politico di questa richiesta. Tuttavia, guardando quello che sta succedendo sul campo mi chiedo quale sia il percorso che non lo renda un atto puramente simbolico. Ancora non siamo arrivati al cessate il fuoco né ad un pieno accesso umanitario. Gaza è rasa al suolo e ci vorranno decenni per una sua ricostruzione sia fisica che del tessuto sociale. In Cisgiordania, dagli accordi di Oslo in poi il numero dei coloni è più che triplicato e oggi supera le 700 mila unità, grazie ad un sistema giudiziario che ha consentito e consente l’annessione de facto di terre palestinesi – 2400 ettari nel solo 2024, il record annuale dal 1967- e che ha creato i presupposti per l’annessione de jure che alcuni ministri stanno spingendo in queste settimane, tra tutti Smotrich. Se a questo poi aggiungiamo la debolezza delle istituzioni palestinesi e il tema della rappresentatività della loro classe dirigente – visto che il 62% della popolazione non ha mai votato dal momento che ha meno di trent’anni – il quadro che ne esce è quello di una totale assenza di condizioni per le quali un possibile Stato Palestinese possa esercitare la sua sovranità.
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Alla mattanza di Gaza si aggiunge la colonizzazione forzata da parte d’Israele della Cisgiordania. Questo giornale l’ha denunciato: il governo peggiore nella storia d’Israele sta cancellando la Cisgiordania per realizzare il “Regno di Giudea e Samaria”. E il mondo sta a guardare.
Sembra che si stia realizzando il sogno di Kahane e della Grande Israele. Il piano era già in atto da tempo, il 7 di ottobre non ha fatto altro che accelerare, rendendoli più espliciti, dei processi già in atto da più di due decenni. A mio parere sarebbe un errore pensare che la questione riguardi solo l’ultimo governo, epifenomeno di una trasformazione della società israeliana che ha normalizzato l’occupazione.
Chi denuncia il genocidio in atto nella Striscia di Gaza e chiede sanzioni contro chi ne è responsabile, viene subito tacciato di antisemitismo. Il marchio d’infamia.
Questa è la vecchia tecnica retorica che punta a delegittimare chi avanza una critica ai comportamenti di Israele, piuttosto che controbattere sui contenuti della critica. Quello che sfugge a chi si difende lanciando questo “marchio di infamia” è che non affrontare le cause profonde di questo conflitto, ovvero l’occupazione illegale e prolungata del territorio palestinese, l’impunità di fronte alle palesi violazioni del diritto umanitario internazionale che tali politiche comportano, provare a soffocare la legittima aspirazione palestinese di autodeterminazione è uno dei principali motivi che ha portato al punto in cui ci troviamo adesso.
Haaretz, il più diffuso quotidiano d’Israele assieme a Yediot Ahronot, ha bollato come “fascisti” ministri come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. L’Unità ne ha dato conto. Ma questa parola, “fascisti”, è bandita dalla stampa mainstream.
Più che altro sono disponibili dichiarazioni dove essi stessi si dichiarano fascisti. Come detto in precedenza, gli esponenti di questo governo mostrano plasticamente anche una progressiva mutazione della società israeliana che, con l’aumento significativo dei coloni, notoriamente con posizioni di carattere messianico di estrema destra, ha visto cambiare la narrazione pubblica dentro il paese. Ed ecco che la grande Israele, dal fiume al mare è diventato un programma politico di consenso, anche quando per ottenerlo si debbano compiere i più atroci crimini a spese del popolo palestinese. Questo i media mainstream faticano a spiegarlo, un po’ per un radicato senso di colpa tramandato nei paesi occidentali, un po’ per non offrire del fuoco amico – all’interno di una dinamica di politica internazionale in cerca di nuovi equilibri – a paesi schierati su fronti diversi rispetto al blocco occidentale.