Ammazzato il guardacoste libico
Perché è stato ucciso Bija, il trafficante di esseri umani che era protetto dall’Italia
Criminali ricercati a livello internazionale in Italia ricevono una sorta di immunità. Questo perché fungono da garanzia nel respingimento dei profughi al di fuori dell’Europa
Cronaca - di Luca Casarini
Abdurahman Al-Milad, conosciuto come “Bija”, uno dei trafficanti assoldato dai vari governi italiani per catturare e detenere i richiedenti asilo altrimenti in procinto di raggiungere le nostre coste, è stato ammazzato ieri davanti all’Accademia navale di Janzour, poco fuori Tripoli.
Bija è il nome più noto della indicibile connection che lega le milizie libiche e i governi di Italia e Malta in particolare, ed è anche quello più conosciuto dai migranti che da Tripoli a Zawiya, tentano di salvare la pelle dalle scorribande dei cacciatori di schiavi che spesso, in Libia, portano le divise dei vari corpi armati inventati dai signorotti della guerra che si spartiscono la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan. Bija, dicono le agenzie, era un ricercato internazionale, colpito anche da un’ordine di rintraccio dell’Interpol, accusato insieme al cugino “Osama” delle peggiori efferatezze contro esseri umani.
Eppure, guarda un po’, era anche un alto ufficiale della cosiddetta “Guardia costiera libica”, e in una delle ultime foto si era fatto ritrarre a bordo di una delle motovedette fornitegli dal governo italiano per fare il lavoro sporco in mare che conosciamo tutti. L’hanno eliminato, chissà per quale regolamento di conti, come si usa in un paese dove vige la legge mafiosa e i gangster, se sono più bravi degli altri, li ritrovi al governo o con i gradi di generali. Quelli come lui, oltre al traffico di esseri umani, gestiscono la “protezione” dei pozzi petroliferi che Eni e Total sfruttano, e del gas che corre sulle pipeline strategiche per l’Europa. Era un uomo d’azione, come lo è l’attuale ministro degli Interni Imad Mustafa Trabelsi, vero capo del governo fantoccio messo in piedi dall’occidente per fronteggiare Khalifa Haftar, il capo della Cirenaica, molto amico di Putin.
Nei video che circolano, lo si vede spesso a bordo delle motovedette italiane classe Corrubia, risistemate dai nostri militari di stanza nel porto di Tripoli, mentre deporta donne, uomini e bambini, spesso legati, che poi spariscono una volta giunti al porto. Questi criminali ricercati godono dell’immunità totale in Italia, e mai uno straccio di interrogazione parlamentare ne ha chiesto conto al governo, proprio per la loro funzione strategica di “garanzia” per gli interessi nazionali, e fra questi c’è il “respingimento”, ad ogni costo e con ogni mezzo, legale ed illegale, di persone migranti, profughe, richiedenti asilo.
Bija è uno dei fondatori del “sistema” Italia-Libia, quello che ha introdotto l’arruolamento di trafficanti e miliziani come vera e propria polizia di frontiera illegale, squadroni della morte e deportazione, al servizio dell’Italia. Famosa la foto che lo ritrae con i nostri funzionari dell’Aise e del ministero degli Interni, a Mineo, in provincia di Catania, durante il vertice segreto organizzato da Minniti e dal governo Gentiloni, nel 2017. Teoricamente, come ricercato internazionale dalla giustizia, avrebbe dovuto essere arrestato. Ma, invece, partecipò a quel vertice e venne protetto in Italia, come è successo al figlio di Haftar, Saddam, pochi mesi fa. Giunto a Fiumicino con jet privato e documenti falsi, e nonostante un mandato di arresto internazionale, dopo un’ora di fermo operato dalla polizia di frontiera, agenti dei servizi segreti qualificati come operanti sotto il controllo della “presidenza del Consiglio”, hanno intimato alla polizia di rilasciarlo, e l’hanno fatto ripartire.
Qualcuno ne ha chiesto conto a Piantedosi? No. La “lotta ai trafficanti” sbandierata dal governo, è un’enorme menzogna, perché i grandi trafficanti, come lo era Bija, sono indispensabili per portare avanti quel “Piano Mattei” che ha due facce: una di propaganda, fatta di viaggi ed incontri pomposi e conferenze stampa senza giornalisti, e l’altra, nascosta, di accordi intessuti dai funzionari operativi sul campo, che portano a casa il risultato accordandosi per soldi in cambio di blocco degli esseri umani. Il livello “politico” ovviamente, sa esattamente ogni dettaglio di questi accordi: le torture, i lager, le catture in mare, in violazione delle convenzioni internazionali, le fosse comuni dove vengono fatti sparire i cadaveri delle vittime innocenti, gli stupri, il traffico di organi. Ma quando stringono le mani dei loro corrispettivi, come il pluri-indagato Trabelsi, gli basta che il sangue non sgoccioli. Sono in doppiopetto, sfoggiano divise e medaglie, soggiornano a Roma al Plaza e allo Sheraton. Il lavoro sporco lo fanno i loro operativi, i Bija, gli Osama e da noi l’Aise e qualche esponente della Marina militare. Questi ultimi avranno stappato una bottiglia ieri, alla notizia dell’uscita di scena di uno come Bija.
La procura di Agrigento, ma anche la Corte penale internazionale, stavano proprio indagando su di lui, anche sui rapporti con funzionari italiani, e sul ruolo svolto dalla sua milizia, il clan Al-Nasr di Zawyah, nel quadro degli accordi per fermare i migranti stipulati con Italia e Malta. Sembra che ultimamente proprio la minaccia di Bija, che tentava l’espansione del controllo per il business di petrolio, armi e migranti verso la città di Zwara, di rivelare alcuni “segreti” che avrebbero fatto male a qualche alto papavero nostrano, avesse destato una certa preoccupazione negli ambienti dell’Aise e della Marina militare. Di certo, con l’eliminazione di uno dei più intraprendenti banditi libici, divenuto scomodo anche per la Marina di Tripoli e per Trabelsi, che lo ha protetto fino ad ora, nonostante le richieste delle Nazioni unite, qualcuno si è tolto un pericoloso testimone a carico, e questo non fa mai male a chi “lavora sistematicamente” – come dice papa Francesco – al respingimento degli esseri umani. Questo lavoro, una porcheria che passerà alla storia per il livello di disumanità e inciviltà che esprime, nonché per il numero di morti che provoca in terra e in mare, ha bisogno ogni tanto che qualcuno cancelli le tracce.
Resta il fatto che tutte le agenzie internazionali raccontano che Bija era un trafficante ricercato ufficiale della cosiddetta “Guardia costiera libica” a cui l’Italia fornisce mezzi e soldi per fermare i migranti. Speriamo che la Corte dell’Aja non perda anch’essa le tracce di questa complicità. E i nomi e cognomi, italiani, che ci sono. Il sistema Italia – Libia, con il foraggiamento a suon di milioni di euro della mafia dei traffici, ha distrutto non solo le vite di decine di migliaia di innocenti, ma anche la possibilità che un paese come quello potesse avere un percorso minimamente democratico, incentrato sulle esigenze di un popolo e non dei signorotti della guerra. E questa distruzione di possibilità di democrazia, in favore di autocrazie compiacenti e funzionali, sta accadendo anche con la Tunisia.