L'assalto della Libia
Perché i libici hanno sparato alla Mar Jonio, il racconto di Luca Casarini
Il governo italiano ha ingaggiato le guardie libiche per intercettare e affondare o catturare i profughi. Li pagano per questo. I sicari costano
Cronaca - di Luca Casarini
Ahmed, che è un nome di fantasia, si è tuffato due volte. Prima dalla motovedetta dei miliziani libici che lo avevano catturato e stavano per deportarlo nuovamente all’inferno, come agli altri cento, tenuti calmi a cinghiate seduti a prua.
E poi anche dal gommone che l’aveva ripescato, sempre dei libici, scesi in mare per affrontare direttamente i soccorritori di Mare Jonio, impegnati in una operazione di salvataggio di un’altra imbarcazione.
Ahmed ce l’ha fatta. Ha raggiunto il mezzo di soccorso di Mediterranea, e stretto alle braccia dei soccorritori si è catapultato dentro, finalmente tra persone normali, che in mare aiutano, non sparano.
I miliziani della “Fezzan”, la motovedetta classe “Corrubia” un tempo in dotazione alla nostra Guardia di Finanza e donata dal governo italiano alla Libia, erano a “caccia” dal mattino. Loro sono pagati per farlo. Devono coprire un’area di trecento chilometri quadrati di mare, la “zona SAR libica”, e catturare e deportare i profughi e richiedenti asilo che tentano di scappare dalla Libia verso le coste italiane ed europee.
Le “regole di ingaggio”, come si è visto anche questa volta, non si soffermano troppo sul “come”. Impedire che arrivino, così come prevede la linea politica europea con l’Italia in testa, può significare anche farli sparire in mare.
Farli affogare, affondando i barchini e i barconi, oppure, che dà meno nell’occhio, rinchiuderli dentro dei campi di detenzione che sono veri e propri lager, con stupri sistematici di donne e bambine, sventrate dalla furia di guardiani che si imbottiscono di viagra e cocaina e poi diventano belve.
Il “sistema Libia”, l’altro giorno, a 95 miglia di distanza dal porto di Tripoli, ha svelato le sue vere e complete sembianze. Un sistema criminale, ideato per rendere inservibili sia la Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, sia quella di Ginevra sul divieto di respingimenti di massa di donne, uomini e bambini.
L’obiettivo, dichiarato esplicitamente dalla presidente del consiglio in carica, e appoggiato dall’intera Unione Europea, è quello di “ridurre gli arrivi”. Via mare e via terra. Come si fa a ridurre gli arrivi se le persone continuano, irriducibilmente, a voler giungere da posti diventati ormai invivibili? Si riducono le persone che arrivano vive.
Poi, come ricordava il Ministro Piantedosi con i cadaveri che ancora venivano restituiti dal mare a Steccato di Cutro, il messaggio va lanciato: “è questa la fine che fate, se provate a fuggire dai vostri campi di concentramento in Siria, in Libia, in Grecia”.
Le raffiche di Kalasnichov prima in aria, e poi contro soccorritori e naufraghi in mare, hanno squarciato il velo dell’ipocrisia. Quale “guardia costiera” spara in mare contro chi sta salvando o contro chi sta annegando? Solo quella finta, che usa un travestimento confezionato in Europa, per agire da polizia illegale di frontiera.
Il “sistema” ha bisogno di una “narrazione” per coprire gli aspetti più truci, disumani. La prima è stata quella che con il fiume di milioni di euro conferiti alla Libia “per il controllo delle coste”, si sarebbe smantellata la rete delle mafie che hanno in mano il traffico di esseri umani.
Talmente falso questo, che nemmeno uno straccio di finte elezioni si è riusciti ad avere in Libia in questi anni. Le mafie invece, basate su clan familiari e su milizie armate che si vendono al miglior offerente dal dopo Gheddafi, si sono prese direttamente il governo.
Trabelsi, attuale ministro degli interni libico, è segnalato persino dagli USA come uno dei trafficanti più “intraprendenti” dello scenario. Faceva il camionista in Jhamairia. Poi è diventato commerciante di petrolio, gas e esseri umani.
Adesso è l’uomo forte del governo libico. Bija, uno che la motovedetta “Fezzan” la conosce bene, è un ricercato. Non solo dal Tribunale Penale Internazionale, ma anche dalle autorità italiane. Il Tribunale lo cerca per i crimini che ha commesso, l’Italia, sin dai tempi della riunione segreta a Mineo, in Sicilia, perché con il suo piccolo esercito di Zawhia, può garantire che la cosiddetta “guardia costiera libica” funzioni.
Non è un caso che questo ricercato personaggio, ricopra il ruolo di “ufficiale” proprio della “Lybian Coast Guard”. E dunque, il “sistema Libia”, per coprire la sistematica violazione dei diritti umani, aveva bisogno di una “zona” dove poter operare. Ed ecco, studiata dai tecnici di Minniti, l’auto-attribuzione della “responsabilità” dei libici su un’area di mare immensa.
Responsabilità su che cosa? La trama infinita delle pastoie burocratiche che hanno consentito in questi anni di riempire di milioni di euro dei miliziani per pagare il loro sporco lavoro, aveva bisogno di un nodo iniziale. La “zona SAR” lo è stato.
Quella in cui si è imbattuta la nave del soccorso civile Mare Jonio, gestita da Mediterranea, e unica della flotta civile ad avere bandiera italiana, era una operazione di cattura e deportazione di profughi, coordinata dalle forze armate maltesi per via aerea e messa in atto dalle milizie libiche finanziate anche dall’Italia.
L’assetto militare aereo AS1227 indicava alla “Fezzan”, numero ottico 658, le posizioni delle barche di migranti in fuga. La motovedetta ne ha intercettate due su tre. La terza non sono riusciti perché i soccorritori di Mare Jonio sono arrivati prima. Ecco perché, difronte alla determinazione e alla capacità operativa dei rescuers di Mediterranea, hanno aperto il fuoco.
Hanno perduto una “preda”, che in tempi come questi, di grande pressione di chi li paga per fermare esseri umani in ogni modo, non è cosa positiva per loro. Il “Piano Mattei”, quello propagandato dalla Meloni, non è gratis. E qui, i banditi arruolati dal nostro paese, hanno rischiato di perdere il “premio produttività”.
Ahmed, e altri 55 ce l’hanno fatta. Siria, Camerun, Bangladesh, Egitto…varia umanità, piena di speranze, di sogni, di paura. Ma ora sono in salvo, al sicuro. Come i soccorritori. In mezzo a questa fogna, fatta di doppi, tripli giochi sulla pelle dei più deboli, ci vuole qualcuno che dica di no. Quel famoso “granello di sabbia”. Sabbia di Cutro, sabbia di Lampedusa. E quel tuffo, due volte, verso la libertà.
*Capo missione della Mar Jonio